Alessandro Penati, la Repubblica 16/3/2013, 16 marzo 2013
CRISI IMMOBILIARE UNA MINA VAGANTE
L’AGENZIA del Territorio ha comunicato che le transazioni immobiliari sono crollate di 330 mila unità rispetto al 2011 (-25%). Confesercenti stima che 15mila esercizi commerciali chiuderanno nel primo trimestre, lasciando mezzo milione di negozi sfitti. Assogestioni avverte che nei prossimi tre anni arriveranno a scadenza molti fondi chiusi, con 5 miliardi di immobili da liquidare. Compratori cercasi disperatamente.
È legittimo chiedersi se sull’Italia incomba anche il “rischio mattone”. Secondo la Banca d’Italia (Rapporto sulla Stabilità Finanziaria, 11/2012) non ci sarebbe pericolo. Non sono altrettanto ottimista. Non scoppierà una bolla come quelle di Spagna, Usa o Irlanda, ma si sta sottovalutando la portata del ridimensionamento dei valori e del mercato immobiliare, e le conseguenze recessive dell’effetto ricchezza sui consumi degli italiani e sulla disponibilità di credito. Le argomentazioni della Banca d’Italia sono sostanzialmente tre: (1) i prezzi sono cresciuti meno che altrove e l’aggiustamento tra domanda e offerta passa dalla rarefazione delle transazioni, più che dalla caduta dei prezzi; (2) se i prezzi sono rapportati al reddito disponibile e/o agli affitti non c’è segno di valutazioni eccessive; e (3) l’indebitamento degli italiani è basso, le garanzie richieste dalle banche elevate e la loro esposizione al settore contenuta.
E’ vero che il prezzo medio degli immobili è salito meno che in altri Paesi, ma dal 1998 al picco del 2008 è pur sempre raddoppiato (+60% in termini reali). E poiché da allora si è ridotto del 14% circa (4% nell’ultimo anno), c’è spazio per un’ulteriore, consistente, diminuzione. Il crollo delle transazioni indica che i valori attuali non sono significativi e che si sta accumulando un disequilibrio tra offerta e domanda che alla lunga troverà sfogo in una riduzione dei prezzi. Parecchi i segnali.
Il sondaggio Banca d’Italia tra gli agenti immobiliari mostra come nell’ultimo anno, con prezzi in discesa e vendite in picchiata, il numero di agenti che pure hanno visto aumentare i mandati a vendere è aumentato dal 35% al 45%; e come un quarto delle transazioni nell’ultimo trimestre si sia concluso con uno sconto tra il 20% e il 30%. Inoltre, negli ultimi 15 anni, molti italiani hanno comperato a scopo di investimento, puntando dunque ai guadagni in conto capitale, in alternativa ad azioni e obbligazioni. Questi avranno quindi un incentivo a vendere per incassare la notevole plusvalenza accumulata fin qui, e non rischiare di vederla andare in fumo aspettando tempi migliori. Oltre a sopportare costi di mantenimento e tasse crescenti. C’è poi la valanga di immobili di Fondi, Stato, Casse e Istituti previdenziali, Enti pubblici, e Società immobiliari che incombe sul mercato.
Secondo Banca d’Italia, il prezzo degli immobili rispetto ad affitti e reddito disponibile è oggi in linea con la media degli ultimi 20 anni. Ma questo rapporto (come l’analogo prezzo/utili per la Borsa) ha una scarsa capacità previsiva, perché può deviare significativamente dal livello medio, e per molti anni. Negli Usa il rapporto è oggi circa 30% sotto alla media storica. Potrebbe capitare anche da noi. Infine la leva. Non conta l’indebitamento medio degli italiani, ma quello di chi ha comprato, specie a scopo di investimento, fra 1998 e 2008. Per prevedere la dinamica del mercato conta l’investitore marginale, non quello medio. Qui il dato è poco rassicurante perché fino al 2006 il mutuo arrivava a 80% del costo dell’immobile. Inoltre è la stessa Banca d’Italia a mostrare che il principale pericolo immobiliare per le banche non viene dalle famiglie ma dalle imprese. A fronte di 280 miliardi di mutui alle famiglie, le banche avrebbero un’esposizione quasi analoga nei confronti di imprese edili costruttrici e società di servizi immobiliari (ovvero 31% dei prestiti complessivi alle società non finanziarie). Senza contare l’esposizione indiretta (credito ottenuto con il capannone o lo spazio commerciale dato in garanzia). Non sarà bolla come in Spagna, ma non si può ostentare indifferenza di fronte a una crisi immobiliare che nei prossimi anni potrà acuire la depressione dei consumi e limitare la disponibilità del credito.