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 2013  marzo 16 Sabato calendario

“UN ALTRO AMORE TOSSICO TRENT’ANNI DOPO”

Lungomare di Ostia, il dialetto, il nichilismo e l’autodistruzione. La siringa. Lo schizzo. L’idroscalo di Pasolini. Un film recitato da un gruppo di attori non professionisti. Eroinomani reclutati mentre facevano la fila per il Metadone, chiamati a mettere in scena, a tinte iperrealiste, la loro discesa all’inferno. Tutti morti, oggi. Piegati dalla disperata ripetizione, dai sogni friabili e dalla finzione sintetica. Bruciati come il Giordano Bruno in odor di eresia che con la voce alterata da una recente operazione alle corde vocali, l’ovale magro e la lucidità del predestinato, non nega di essere un regista e di chiamarsi Claudio Caligari. Girò, nell’adorante plauso della critica, Amore tossico. Un’opera senza budget e con molta anima premiata al Festival di Venezia del 1983. Per firmare il successivo L’odore della notte (Mastandrea, Giallini, tocco e direzione degli attori molto personali) Caligari attese 15 anni. Dal ’98 a oggi, nonostante la mano non sia stanca: “Ho scritto almeno altre 9 sceneggiature”, il suo posto nell’asfittico cinema italiano è fuori dalla porta. Qualche ironico dubbio: “C’è stato un momento in cui nella difficoltà di portare avanti i miei progetti, il rammarico diede duri colpi all’orgoglio. Ragionavo e mi ripetevo: ‘Sarebbe stato meglio girare una cazzata, non avrei avuto problemi’”. Invece, con il primo piano della “pera” l’acquisto della brown sugar a “dù scudi” e il faro a illuminare la raggelante normalità dei ventenni di Roma “a rota di ero”, venne il disturbante Amore tossico.
Un germe da estinguere. Un baco del sistema: “Quando Marco Ferreri vide per la prima volta il film non si trattenne: “Questo fa una barca di soldi!”. Invece uscì a gennaio, a 4 mesi da Venezia, in sole 15 copie, con tutti gli esercenti d’Italia a chiedere vanamente il film. La magistratura, a causa dei guai della produzione, aveva sequestrato il negativo. Amore tossico scomparve rapidamente, con piena soddisfazione dei censori: “Sa cosa dicevano? ‘Questo sa come comunicare. È pericoloso’”.
L’idea come le venne?
Nel ’76 andai a Milano. Volevo indagare sul mondo del proletariato giovanile. In quei mesi, incontrai il professor Guido Blumir. Aveva scritto un best-seller per Feltrinelli, Eroina. Gli proposi di pensare a un film.
Con quale ottica?
Fino ad allora la peste della droga era stata descritta a metà. Denigrandone gli aspetti deteriori, senza sforzarsi di intuire perché la gente ci precipitasse con illusorio piacere. Io e Blumir decidemmo di fare Amore tossico, raccontando anche la fascinazione della droga. L’iniziale divertimento nell’assumerla, l’inganno non esplicitato. Nulla di apologetico. Un punto di vista onesto e che almeno fino alla tragedia conclusiva suonasse uno spartito distante dalla disperazione.
Fu difficile?
Eroico. Per dare forma all’idea, annusare le tracce di Pasolini che aveva previsto la devastante comparsa della droga nelle borgate romane e ambientare il racconto nel sottoproletariato cittadino, impiegammo 5 anni. Qualcuno proponeva Verona. Mi imposi su Roma, le cui borgate erano già nella storia del Cinema. Per trovare gli attori cominciammo a frequentare realtà borderline. A improvvisare provini felliniani. Sei mesi di lavoro. Tre per penetrare nello scetticismo, tre per spiegargli che a differenza di quanto gli avevamo inizialmente detto, non avevamo intenzione di scrivere un saggio, ma di girare un film.
Poi partiste.
Quando ci fu totale fiducia, a Cesare, il protagonista, rivelai la vera intenzione. Ci pensò, poi mi disse: “Lo faccio perché condivido l’operazione politica”. La diffidenza era normale. Commettevano dei reati. Rischiavano l’arresto. Nelle case che frequentavamo la possibilità che irrompesse la Polizia era altissima. Ferreri, nume tutelare dell’operazione, pretese la presenza di due medici sul set dove è ovvio, i ragazzi non si iniettavano droga ma sostanze non nocive.
I suoi colleghi dubitavano della
riuscita.
I registi ci dicevano che non ce l’avremmo mai fatta. Ma non aveva torto, l’impresa era lunare. Ma chi osservava da fuori non conosceva il rapporto personale che si era instaurato tra noi e gli attori. Vidi il primissimo materiale girato nell’estate dell’82 e nonostante le casse vuote, mi convinsi che avremmo dovuto proseguire comunque. Anche gratis. A gennaio si presentò Nocella, un costruttore che aveva fatto fortuna con Donà delle Rose in Sardegna e aveva prodotto Antonioni, Rosi e Ferreri.
Problema risolto?
Nocella, travolto dai debiti, fuggì in Argentina. Quando entrai per la prima volta nel suo ufficio aveva sul tavolo il plastico della stazione di New York: ‘Devo ristrutturarla’ diceva. A metà lavorazione mi chiedeva di lasciargli il pacchetto di sigarette. Dei 400 milioni della Gaumont, che produceva, nessuno, tranne lui, vide mille lire. Il film venne girato in condizioni disperate ma arrivò a Venezia.
Conferenza stampa memorabile.
Due ore e mezza. Fo, Rame e Monica Vitti, scandalizzata. Prima dell’avvio si avvicina Tatti Sanguineti e propone: ‘Facciamo un po’ di canile?’. ‘Neanche per sogno’ rispondo secco, sto faticando da tre anni.
Canile fu.
Tatti contestò il sonoro in presa diretta, Marco Ferreri, con un cappello da cowboy gli urla di tutto, volano le sedie per aria, Cavallo pazzo voleva drogarsi sotto l’occhio delle telecamere. Corriere, Stampa e Repubblica gridarono al capolavoro. Libération di più. Peccato non essere andati in concorso. Con quella giuria, da Bertolucci a Oshima, avremmo vinto il Leone d’Argento.
Vinse comunque il De Sica.
Ferreri provò a proporlo a Rondi per il concorso, ma lui fu chiaro: ‘La Gaumont ha preferito un altro film, Lontano da dove, accontentatevi’. Quando Rossellini, il proprietario di Gaumont, si accorse del valore di Amore tossico telefonò a Rondi indignato: ‘Come avete potuto escluderlo? Siete pazzi?’ E Rondi, alterato: ‘Ma se l’avete voluto voi?’.
Come mai Caligari non gira più?
L’establishment si oppone. Sono fuori dalle consorterie e i miei film sono politicamente scorretti. Avevo un progetto in piedi con Gifuni, mancavano i soldi per chiuderlo sopra un livello minimo di decenza, preferisco evitare.
È solo questo?
Cosa vuole? I produttori sono in genere ladruncoli e avventurieri padroni in un paese ipocrita. Non appartenendo all’altra chiesa, quella del Pci, Ds, Pd, sono fermo. 30 anni fa qualcuno mi disse prendi Amore tossico e vai in America. Covavo la stupida illusione di poter essere parte della cultura che esprimeva l’Italia. Mi sbagliavo. Ci sono quelli che devono lavorare, e quelli a cui si può dire la prossima volta. E la prossima volta non arriva mai.
Progetti?
Scrivo soggetti, ricevo complimenti da produttori e colleghi, ma alla fine vengono finanziati sempre gli altri. E io capisco che sono finito. L’unica ipotesi è sul tavolo grazie alla passione di Valerio Mastandrea. Un amore tossico 30 anni dopo con la tragedia che si sostituisce alla cronaca. C’è già il titolo. Non essere cattivo. Tengo a una cosa. Nell’intervista non vorrei apparire rivendicativo.
Perché?
Io non mi lamento. Lotto.