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 2013  marzo 18 Lunedì calendario

AEREI. MOLTI DUBBI IN CIELO, GRANDI BUSINESS A TERRA

Per volare, vola. Regolarmente, tutti i giorni, dalla base dell’aeronautica americana a Eglin, nel nord della Florida, l’F-35, il cacciabombardiere più discusso nella storia, decolla, vola e atterra. Nonostante le recenti critiche non si incendia, non vede spegnersi il motore in volo, sembra del tutto un aereo normale, anche se ancora non vola di notte e deve tenersi lontano dai temporali, per ora. Di normale, in verità, nel progetto di sviluppo di questa potentissima macchina da guerra, c’è ben poco. Compreso un business da 8,6 miliardi di dollari per 90 aziende italiane coinvolte nel progetto. Il salto di qualità tra la quarta e la quinta generazione degli aerei da caccia — sintetizzata nel passaggio dagli F-16 agli F-35 — è nel ruolo dell’informatica, oltreché nella tecnologia stealth, che rende gli F-35 quasi invisibili ai radar.
La capacità dell’F-35 di acquisire, mixare e utilizzare i dati non ha confronti. Il singolo velivolo usa le informazioni recuperate dagli altri F-35 in volo e dalle basi a terra combinandole con le proprie e ne trae la sintesi: le informazioni sono disponibili per ogni pilota, ai cui occhi appare — sulla visiera del casco — una realtà virtuale a 360°, la maggior copertura possibile dello spazio aereo.
Interessi enormi
Il progetto muove interessi enormi. Le concorrenti di Lockheed Martin non perdono occasione per evidenziarne i punti deboli. Su tutti, i lunghi tempi di realizzazione e i costi elevatissimi. Il prezzo di ogni singolo velivolo è una variabile influenzata da molte voci. Al momento, gli ultimi aerei venduti — tra cui tre destinati all’Italia — costano 120 milioni di dollari l’uno, pari a 93 milioni di euro. Una cifra da brividi, specie di questi tempi. Con l’aumento della domanda, sottolinea Lockheed Martin, il prezzo scenderà: saranno 70 milioni di dollari dal 2018.
I tempi sono un’altra criticità. «Il progetto — ricorda Tom Burbage, che ne era il responsabile — divenne esecutivo il 26 ottobre 2001, quarantacinque giorni dopo l’attacco alle Torri gemelle». L’Italia guardò all’F-35 per la prima volta nel 1996, primo governo Prodi, Andreatta ministro della Difesa. È del 2002 invece, premier Berlusconi, la firma del Memorandum of understanding per la fase di produzione e sviluppo. «L’Italia — dice Steve O’Bryan — vice presidente di Lockheed Martin e responsabile del progetto — è il primo partner industriale degli Stati Uniti, dopo la Gran Bretagna. E oggi siamo a una svolta: il 2013 vede l’inizio del training per i piloti, l’apertura della linea di Cameri, vicino a Novara e la consegna di circa 30 aerei».
Tecnologia al centro
Ma perché l’F-35? «Il progetto è l’unico in sviluppo negli Usa, è sottoposto a un continuo upgrade ed è destinato a sostituire nove modelli di aerei oggi esistenti, con un orizzonte di vita di cinquant’anni, durante i quali vogliamo mantenere il vantaggio tecnologico nei confronti di Cina, India e Russia», dice O’Bryan. La settimana scorsa, dopo ripetuti interventi del ministro della Difesa, Leon Panetta, anche il responsabile delle acquisizioni per la Difesa, Frank Kendall, ha chiarito che il progetto non subirà tagli a causa del cosiddetto sequester.
Tecnicamente, l’F-35 è una centrale informatica. «È un altro modo di volare — spiega Andrew Toth, responsabile degli istruttori di volo alla base di Eglin — inizialmente manca il secondo pilota, ma la macchina è in grado di fornire tutte le informazioni necessarie». Elemento centrale nell’equipaggiamento dell’F-35 è il casco. Da solo costa 650 mila dollari, peraltro compresi nel prezzo dell’aereo. Davanti agli occhi del pilota, sulla visiera, propone tutte le informazioni di volo oltre alle indicazioni relative agli obiettivi sensibili, agli armamenti e ai possibili target. Una realtà virtuale, ma concretissima. Senza vincolo di esclusiva: l’F-35 si pilota anche senza cyber-casco.
A Fort Worth l’aereo è in produzione. La linea di assemblaggio misura 1.600 metri lineari. Qui c’è il primo aereo destinato all’Italia. Il 14 maggio, incompleto, lascerà il Texas e sarà trasferito a Cameri dove, dopo l’inaugurazione dell’impianto novarese, il 18 luglio, realizzeranno le ali.
In produzione
Quel primo F-35 italiano sarà pronto nel maggio 2015. Nel progetto, il governo di Roma ha investito 2,5 miliardi di dollari, 796 milioni solo nel quinquennio 2010-2015 per l’impianto di Cameri, che ha un ruolo strategico: sarà l’unico «Faco» al di fuori degli Usa. Faco è l’acronimo di Final assembly & Check-Out, un impianto dove gli aerei verranno ultimati e consegnati. A Cameri si produrranno ex novo le ali dell’F-35 e soprattutto sarà l’unico centro di manutenzione per Europa, Medio Oriente e Africa. «Cameri si sviluppa su un’area di 500 mila metri quadrati — spiega il colonnello dell’Aeronautica Giuseppe Lupoli — di cui 124 mila metri destinati a infrastrutture. È un progetto che coinvolge 90 imprese italiane e che permetterà il rispetto dei trattati internazionali. Sarà complementare all’Eurofighter, non contrapposto. Ed è un aereo a elevato contenuto tecnologico, che premia le nostre imprese e garantisce un orizzonte lungo, almeno 40 anni, che grazie all’impianto di manutenzione consentirà di rientrare dell’investimento». I ritorni previsti per le imprese italiane, sono pari a 8,6 miliardi di dollari, con ulteriori 4 miliardi possibili. Novanta gli F-35 destinati all’Italia, di questi, 15 per la Marina.
Stefano Righi