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 2013  marzo 18 Lunedì calendario

I MARÒ RIMANGONO IN PATRIA MA LO SPREAD MORALE PEGGIORA

La marò è tornata d’attualità. I rapporti tra India e Italia risultano deteriorati e mi sembra che il buon nome di entrambi i Paesi ne esca ridotto male. Non mi sembra che la decisione italiana di venir meno alla parola data sia una legittima ritorsione a una pretesa violazione di accordi internazionali e altrettanto sconcertante mi appare la decisione della Corte Suprema indiana, di vendicarsi sull’ambasciatore italiano. Altro avrei da dire e se la psicoanalisi si potesse applicare agli Stati, ci troviamo di fronte a un esempio di regressione infantile.
Pietro Bognetti
bognetti.pietro@gmail.com
A proposito del mancato rientro dei marò, Edward Luttwak, noto saggista americano, ha detto al Corriere del 16 marzo che «pacta sunt servanda» (i patti si rispettano). Vorrei chiedergli se ricorda la strage in Val di Fiemme in cui morirono 20 persone a causa di una spericolata bravata di due aviatori Usa. Fu promessa giustizia in Italia, ma il processo farsa si svolse in Carolina del Nord con una mite condanna dei piloti per aver sabotato la registrazione della cassetta a bordo dell’aereo.
Antonio Borin
tony.bor@libero.it

Cari lettori, un americano potrebbe rispondere che i patti, nel caso del Cermis, furono rispettati. Il processo ebbe luogo negli Stati Uniti perché così prevedevano la convenzione di Londra del 1951 e gli accordi fra i due Paesi sullo status giuridico dei militari americani nell’esercizio delle loro funzioni. Credo che quegli accordi siano ineguali e che occorrerebbe rinegoziarli. Ma nessun governo italiano, di destra o di sinistra, ha osato sinora sollevare il problema e chiedere l’apertura di un negoziato.
Il caso dei marò, quindi, è completamente diverso. Forse l’Italia avrebbe dovuto appellarsi immediatamente alla giustizia internazionale, ma è possibile che anche Roma avesse qualche dubbio sull’esatta collocazione della nave e del peschereccio al momento dell’incidente. A torto o a ragione, comunque, il governo italiano ha deciso di perseguire una linea dialogante e pragmatica, fatta di contatti e sollecitazioni, forse nella speranza che le arti della diplomazia e il passaggio del tempo servissero a modificare gradualmente la posizione delle autorità indiane. Quella linea sembrò dare qualche risultato. Alcuni carabinieri hanno potuto assistere, in veste d’osservatori, agli esperimenti balistici. I due marinai italiani sono stati trattenuti agli arresti, ma alloggiati in un albergo. E sono stati autorizzati a venire in Italia, su cauzione, per le feste di Natale e Capodanno. Più recentemente, quando hanno avuto il permesso di tornarvi per il voto, è parso che il clima fra i due governi fosse considerevolmente migliorato. Ma il governo italiano, improvvisamente, ha cambiato la sua tattica e ha deciso di trattenere i marò in Italia. Se avesse potuto accusare il governo indiano della violazione di un impegno assunto precedentemente, la decisione sarebbe stata forse giustificata. Ma non sembra che agli indiani possa essere mosso questo rimprovero. Allo stato delle cose l’Italia, quindi, è un giocatore che cambia improvvisamente le regole della partita e butta via il mazzo di carte di cui si era servito fino a quel momento. Può darsi che il governo Monti volesse terminare la sua esistenza con una decisione popolare, gradita a una buona parte del Paese. Ma ha dimenticato che nei rapporti internazionali non esiste soltanto lo spread finanziario. Esiste anche lo spread morale, vale a dire il divario fra la parola di un Paese affidabile e quella di un Paese non affidabile. Il governo se ne va lasciando al suo successore il compito di sbrogliare una brutta crisi con l’India: una eredità singolare per un esecutivo che, dopo lo scioglimento delle Camere, avrebbe dovuto occuparsi soltanto di «affari correnti».
Sergio Romano