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 2013  marzo 18 Lunedì calendario

DISNEY INSEGNA: COGITO, ERGO TOPO

Che il mondo di Topolino sia una cosa seria, oggi si potrebbe negarlo soltanto con sprezzo del ridicolo. Sono troppe ormai le dimensioni, interpretazioni, metamorfosi riconosciute dell’universo disneyano; a ottant’anni dal Big Bang esso si è trasformato definitivamente in metafumetto, deposito di idee e suggestioni, tessuto connettivo dei miti contemporanei. Si illude insomma, la potente Walt Disney Company, se crede di governarne insindacabilmente i diritti: in realtà il Topo e i suoi amici già le sfuggono e sempre più in futuro se ne renderanno autonomi, alla stregua di un patrimonio dell’immaginazione collettiva degno della protezione dell’Unesco.
Così, quando un filosofo di prima grandezza come Giulio Giorello decide di affrontare l’universo di Pippo, Pluto e Macchia Nera — il saggio che ha scritto con Ilaria Cozzaglio e pubblicato dalla Mursia è intitolato La filosofia di Topolino — non si deve affatto pensare alla civetteria pop di un intellettuale che «prenda spunto» da personaggi immaginari dei fumetti per parlare d’altro, o intenda usarli allo scopo di rendere più accattivanti i concetti difficili. Tutto il contrario: Giulio Giorello è in pieno, irrevocabilmente dentro il mondo che intende descrivere: è insomma un vero e proprio abitante di Topolinia.
E qui dobbiamo rendere omaggio, insieme alla sua incredibile capacità di immedesimazione nei personaggi, alla capacità dell’autore di riviverli dall’interno, confrontandoli con i grandi classici del sapere, allo scopo di farne risaltare le profonde motivazioni. Quando Giorello affronta il tema faustiano dell’eterno femminino, centrandolo sul carattere di Minni, è rigorosamente filologico. Se si dedica al professor Enigm, inventore eccentrico rifugiatosi nell’iperspazio per nascondere le sue pericolose scoperte atomiche, il parallelo che traccia con la scomparsa dello scienziato Majorana possiede la stessa serietà di un saggio storico. Le indagini sulla natura dei fantasmi, della criminalità, dei selvaggi, dei diritti degli animali, dei viaggi nel tempo o delle discese nell’inconscio — tutti riferimenti a classiche storie topoliniane che gli appassionati riconosceranno al primo accenno e che persino i lettori più tiepidi qui si vedono spiegare nella maniera più semplice e convincente — il tutto si sussegue certo con profondità umanistica, ma anche con intatta allegria fumettistica.
Se al centro del discorso c’è «Topolino giornalista», il punto capitale riguarda sia il dovere della verità che il diritto all’errore. La celebre avventura che l’eroe dalle orecchie tonde vive al fianco dell’ambiguo idraulico Giuseppe Tubi riporta senz’ombra d’ironia al complesso rapporto fra Leopold Bloom e Dedalus nell’Ulisse di Joyce. La «Casa stregata» in cui Pippo e Topolino si trovano a tu per tu con i fantasmi rivela la matrice speculativa di Lucrezio e Spinoza, nel senso che un autentico pensiero filosofico non può delegare la spiegazione dei fatti a cause soprannaturali. La «Lampada di Aladino» non si rivela una favoletta divertente, ma il modo in cui il nostro razionalistico eroe rifiuta l’idea che il bene possa essere imposto all’umanità attraverso la magia. L’incontro con Giovedì, piccolo selvaggio irriducibile alla civiltà occidentale, non è solo un’ironica allusione letteraria al Venerdì di Robinson Crusoe, ma una manifestazione moderna di relativismo, intesa come accettazione della insopprimibile differenza tra le culture. La battaglia d’amore per conquistare il cuore di Minni, in «Topolino e l’illusionista», è puro proseguimento della politica con altri mezzi, e insieme rivincita della realtà sull’apparenza. Un’altra avventura famosa, quella della «Casa misteriosa», ha a che fare con il tema della differenza femminile e del suo rapporto con il crimine. La storia che si svolge nel «deserto del nulla», annunciato dallo sconvolgente cartello «Niente. Fine della pista», si tinge addirittura di riflessi agnostici, se non apertamente antimetafisici. E qui dovremmo fermarci, per non lasciarci condurre da Giorello in un labirinto disneyano senza ritorno.
Vediamo di trarre qualche conclusione, riguardo al Topo. Giorello vede in lui un genio perturbatore, «capace di mettere in discussione la costellazione degli stereotipi», senza aver nulla da invidiare a Bertrand Russell, Claude Lévy-Strauss o a Paul Feyerabend. Lo segue con amore, avventura dopo avventura, trovandolo costantemente in precario equilibrio fra le sue due nature topesca ed umana, «sempre più dubbioso sul significato dell’Universo e il complicato mondo di idee che uomini e topi hanno costruito». Giorello fa di Micky Mouse, insomma, un intellettuale liberal a tutto tondo. Ma è troppo, o troppo poco, definirlo così? Può bastare la filosofia della scienza, o magari una spruzzata di Popper, per definire la sua anima (posto che i personaggi dei fumetti ne abbiano una)?
E qui il dubbio ritorna: non potrebbero esistere, del misterioso e ineffabile Topo, mille altre dimensioni e incarnazioni? Non è un po’ icona magica, modello d’arte pop, materia per la psicanalisi, archetipo dell’eroismo? Non è lui, il portatore di una nostalgia struggente per l’infanzia, la vera guida di Giulio Giorello quando confessa nell’ultima pagina di avere «negli occhi e nel cuore il suo sorriso, un’espressione — anche di fronte al pericolo — ben lontana dal ghigno di qualsiasi Gambadilegno, ma così incredibilmente umana?». Insomma il meno che si possa promettere ai lettori di questo libro è una certezza: dopo averlo letto, per loro Topolino non sarà più lo stesso.
Dario Fertilio