Edoardo Segantini, Corriere della Sera 18/03/2013, 18 marzo 2013
QUEI ROBOT SEMPRE PIU’ UMANI. IL RINASCIMENTO DELLE MACCHINE - C’è
un campo dell’alta tecnologia in cui il nostro Paese, tra tanti guai, vive una sorta di «nuovo rinascimento». È la robotica. E non solo quella tradizionale, che costituisce un punto di forza storico dell’industria. Roberto Cingolani, direttore dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova (Iit), la descrive così: «Enormemente più evoluta di quella meccanica, la nuova robotica nasce dalla convergenza di quattro filoni scientifici prima separati: biologia, nanotecnologia, scienza cognitiva e informatica».
Questa evoluzione oggi produce risultati spettacolari provocando un effetto rete tra i laboratori italiani e internazionali. Da qui nascono il robot umanoide creato a Genova, i nano sensori «a sciame» che imitano i movimenti degli uccelli, la bioingegneria della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, i robot spaziali della Thales-Alenia di Torino, i robot chirurghi dello Ieo di Milano e le piovre robotiche per scandagliare i mari del centro Nato Cmre di La Spezia.
Ma in che cosa consiste la nuova robotica? «La tecnologia — risponde Cingolani — è sempre più bioispirata, cioè copia l’evoluzione della vita. Le macchine artificiali avranno strutture fibrose in carbonio, capaci di crescere e rigenerarsi; motori molecolari pronti a intervenire e a riparare i guasti dall’interno. Con strumenti tecnologici biocompatibili e materiali di partenza abbondanti in natura; e che nella natura dovranno rientrare a fine ciclo».
Alla Sant’Anna di Pisa per esempio sperimentano robot «indossabili», calzati sulle braccia o sulle gambe, che possono agevolare i movimenti durante la riabilitazione di un paziente oppure amplificare la forza umana alla stregua di un servosterzo. «Abbiamo sviluppato un sistema — dice Massimo Bergamasco, direttore del laboratorio di robotica percettiva — che moltiplica la forza di venti volte: a braccia estese regge cento chili in piedi». Da altre ricerche è nato il «Museo delle pure forme», che permette di «toccare» virtualmente, a distanza, e con guanti speciali, i capolavori della scultura.
Sempre alla Sant’Anna, all’Istituto di biorobotica diretto da Paolo Dario, si studiano i robot «companion», con l’obiettivo di farne dei veri e propri assistenti in grado di aiutare le persone in tutte le faccende domestiche. «Lavoriamo a una robotica biologica — spiega Dario — e per questo sperimentiamo pesci automi che imitano il polpo e la lampreda, una specie di anguilla che risale a cinquecento milioni di anni fa. Ma studiamo anche i grilli con l’obiettivo di riprodurne la capacità di saltare, i vermi e i ragni».
La chirurgia è uno dei principali campi applicativi. Per esempio l’intervento assistito dal robot da Vinci per rimuovere il tumore della prostata, come racconta Ottavio de Cobelli, direttore della divisione di Urologia dello Ieo di Milano: «È una tecnica che consente una precisione e una finezza operativa prima impossibili, con meno tagli e meno sangue. E con una riduzione drastica degli effetti collaterali, l’impotenza e l’incontinenza, e della durata dei ricoveri, che oggi scende a tre giorni. La tecnica attuale è già mini invasiva: presto disporremo di macchine che ci consentiranno di operare attraverso un unico micro foro nell’addome contro i quattro attuali».
Dalla chirurgia allo spazio il passo è più breve di quanto non si immagini, perché anche qui si realizzano strutture «esoscheletriche» per gli astronauti, guanti speciali che consentono di superare la rigidità della tuta e materiali che riproducono la sensibilità della pelle umana. Il centro più avanzato in Italia è il Center for Human Space Robotics dell’Iit e del Politecnico di Torino, che collabora con Thales-Alenia, il cui direttore, Fabrizio Pirri, dice: «Sviluppiamo polimeri che possono produrre batterie flessibili, pannelli fotovoltaici per ricaricare le batterie e celle combustibili che funzionano secondo principi biologici. Oggi stiamo collaborando ad accessoriare il veicolo europeo per le missioni di esplorazione e nei prossimi mesi, sulla Stazione spaziale europea, sperimenteremo Eurobot con un nostro sistema di movimentazione della mano dotato di sensori tattili».
Le altezze vertiginose dello spazio, così come le profondità degli abissi, sono gli ambienti ideali per la robotica. Il Cmre della Nato di La Spezia è considerato, per gli studi sottomarini, un centro unico al mondo. «Le nostre applicazioni — spiega Jean-Guy Fontaine — vanno dalla Difesa allo studio dell’ambiente, dalla guerra sui fondali alle ricerche sui mammiferi. La prima qualità che caratterizza il Cmre è l’autonomia dei nostri robot, una peculiarità preziosa e fondamentale in un contesto difficile come le profondità dei mari. La seconda è l’abilità di creare automi non isolati ma capaci di collaborare tra loro. Robot dotati di una sorta di "coscienza collettiva"».
Insomma, per l’Italia si apre l’opportunità di contribuire a una nuova, grande scienza e di eccellere internazionalmente in un’altissima tecnologia dalle vaste applicazioni e dalle importanti ricadute economiche. Tanto da far dire a Cingolani, che ha l’entusiasmo del manager-scienziato: «Vorrei vivere cinquecento anni per vederne completamente gli sviluppi».
Edoardo Segantini