Gian Guido Vecchi, Corriere della Sera 18/03/2013, 18 marzo 2013
«IL MIO LIBRO CITATO? GLIEL’HO DATO PRIMA DEL CONCLAVE» — «Sì
gli avevo dato questo libro prima del Conclave e lui lo ha letto...». Il cardinale Walter Kasper, grande teologo e «grande anima» nella Sistina, è «sorpreso» e sorride felice, «mi ha fatto molto piacere»: più ancora che per l’inedita citazione di papa Francesco all’Angelus («il libro del cardinale Kasper mi ha fatto molto bene»), per ciò che significa nella prospettiva del Pontificato. Il libro è Misericordia (ed. Queriniana), tema centrale anche per Bergoglio: «Quando lo ha guardato, mi ha detto: sì, misericordia è il nome di nostro Signore».
Eminenza, il Papa ha parlato della tentazione farisaica di «condannare gli altri» opposta alla misericordia di Gesù...
«La misericordia c’è già nell’Antico Testamento, ma è soprattutto nel Nuovo che diventa centrale. Gesù annuncia un Dio misericordioso, e questa è la differenza specifica del cristianesimo: non un Dio qualsiasi ma un Dio che "è" misericordia. Senza, saremmo perduti. E questo corrisponde anche all’opzione preferenziale di papa Francesco per i poveri: la misericordia e la Chiesa povera, con e per i poveri, sono due facce della stessa medaglia».
Significa anche uno stile diverso nell’evangelizzare?
«Sì, certo. Lui pensa a una Chiesa umile, che significa anche una Chiesa rispettosa delle convinzioni altrui. Mi è molto piaciuta la "benedizione silenziosa" durante l’udienza con voi giornalisti. Non dare la classica benedizione apostolica significa dire: non voglio forzarvi, vi rispetto, abbiamo qualcosa da dire ma nel rispetto. Questo non significa rinunciare alla missione, al contrario: è un’attività missionaria dialogante. Il problema è come comportarsi in una società pluralista. Dialogo e missione non sono contrapposte ma vanno insieme, la missione si fa anche sulla via del dialogo».
Francesco si è subito definito «vescovo di Roma». Si annuncia un modo nuovo di essere Papa, di esercitare il «primato» di Pietro?
«Può darsi, sì, anche se non ne ha fatto riferimento esplicito. Io spero che lo farà! C’è da dire che l’essere vescovo di Roma non è accidentale all’essere Papa, al contrario. Il Papa è anzitutto vescovo di Roma e, come tale, pastore della Chiesa universale. Però è importante che abbia citato Ignazio di Antiochia...».
Quando ha parlato della «Chiesa di Roma che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese»?
«Proprio così: è la "Chiesa di Roma", città del martirio di Pietro e Paolo, che presiede nell’agápe, la carità, nella comunione di agápe tra le Chiese. Questo può significare non una nuova, ma una rinnovata comprensione del primato di Pietro: il Papa è certamente il primo dei vescovi ma in comunione con gli altri vescovi. È un rafforzamento della collegialità. Ma non solo...».
Che altro?
«La frase di Ignazio, un padre della Chiesa indivisa dell’inizio del II secolo, è sempre citata dagli ortodossi. Certo, non è semplice, si tratta poi di discutere che cosa significhi "presiedere nella carità", ma tale concezione è essenziale per il dialogo».
Francesco ha detto anche di non cedere al «pessimismo»...
«Viviamo in un modo che soprattutto in Occidente ha un po’ perso la speranza. Ma un cristiano non può perdere la speranza perché crede in un Dio misericordioso che non abbandona nessuno. Eppure molti fedeli si mostrano pessimisti, tutte queste lamentele sul mondo cattivo... Le cose cattive ci sono, ma chi crede sa che Dio ci mostra la via d’uscita».
C’è chi parla di «pauperismo» del Papa, che ne dice?
«In Francesco è fondamentale la spiritualità dei gesuiti. E l’opzione per i poveri non è una cosa sociologica, è il Vangelo: Gesù, Dio incarnato, si è fatto povero con i poveri per arricchirci».
Gian Guido Vecchi