Elena Tebano, la Lettura (Corriere della Sera) 17/03/2013, 17 marzo 2013
HO I REUMATISMI, SMETTO
Louise si è ritirata: ha l’artrite e muoversi è diventato troppo faticoso. Alla soglia dei 71 anni, invece, la sorella gemella Martine ogni domenica fa mezz’ora di autobus per raggiungere il centro di Amsterdam e andare al lavoro. A volte significa indossare stivali alti fino al ginocchio, arrampicarsi su un letto e camminare addosso al cliente, restando in equilibrio precario sui tacchi a stiletto. Louise e Martine Fokkens, due signore rubiconde dai capelli bianchi vestite allo stesso modo, sono le più anziane prostitute di Amsterdam, un titolo che portano con orgoglio: ai loro tempi erano una leggenda.
Nate nel 1942 nella capitale olandese da una donna di origine ebraica e da un assicuratore che ha fatto parte della Resistenza antinazista, insieme hanno collezionato un secolo di (non per tutti) onorata carriera. E la loro storia è anche quella del quartiere a luci rosse più famoso del mondo, De Wallen: una volta popolato solo da olandesi, oggi una babele di provenienze e destini. La raccontano in un’autobiografia, Una vita in vetrina (in Italia uscirà a luglio per Vallardi), e in un documentario che sta girando per i festival europei, Meet the Fokkens («Vi presento le Fokkens»).
A segnare la vita delle gemelle è un ragazzo bello e vanesio, Willem. Louise lo conosce che è poco più di una bambina e a 17 anni è già incinta. Si sposano: «Abbiamo dovuto chiedere il consenso della regina, perché io ero minorenne e così imponeva la legge», spiega Louise al telefono dalla sua casa di Ijmuiden, a nord di Amsterdam. «Insieme a lui ho passato nove anni di inferno», aggiunge. A venti Louise si ritrova con tre figli e un marito violento, che pensa solo a divertirsi e sparisce per mesi interi. Finché un giorno del 1963 le promette che tornerà a stare con lei e i bambini: a patto che Louise inizi a prostituirsi. Lei dice di no, lui la trascina al bordello a pugni. «Sarei voluta scappare urlando», scrive Louise nell’autobiografia. Invece rimane.
Martine all’inizio non lo sa. Lei ha trovato un uomo migliore, Jan, e ha appena avuto un figlio. È la famiglia a dirle che Louise si prostituisce ormai da mesi. «Non volevo crederci», racconta. Va su tutte le furie: «Dovevo ascoltarmi tutti i commenti, tutte le critiche. Nessuno faceva più caso a me e al mio bambino appena nato. Ma io che potevo farci? Louise aveva la sua vita».
Eppure il legame con la sorella gemella è troppo forte e Martine accetta un impiego al bordello come donna delle pulizie. I clienti spesso la scambiano per Louise, lei tira avanti. Passa un anno, suo marito rimane disoccupato, le chiede se anche lei può «guadagnare qualcosa» dove lavora la gemella. Martine dapprima si rifiuta, poi cambia idea: «Se mia sorella non lo avesse fatto, non lo avrei fatto neppure io», dice quasi cinquant’anni dopo. «La gente la giudicava. E siccome io ero la sua gemella, giudicava anche me», tanto valeva tirarne fuori dei soldi. «Louise ha capito al volo: non ci pensare neanche, mi ha detto». Ma è troppo tardi: ormai si è messo in moto il meccanismo del destino — quella serie di piccole scelte e occasioni che si legano insieme in un risultato irrevocabile. A metà degli anni Sessanta Louise e Martine sono insieme nello stesso bordello di Oudezijds Voorburgwal.
«Era il periodo in cui alle donne che si prostituivano toglievano i figli», racconta Louise. È la sua paura più grande. Per evitarlo, li affida a una famiglia che vive fuori città e li va a trovare solo nei giorni liberi: su Willem non può fare affidamento. È anche il periodo in cui compaiono le prime donne in vetrina (fino ad allora sostavano di fronte alle porte), con la polizia che controlla la lunghezza delle gonne, rigorosamente fino al ginocchio. Martine e Louise sono brave, i clienti non si contano: 10 al giorno, 6 giorni a settimana. A fine carriera — ferie comprese — sono 270 mila prestazioni in due. Più o meno.
Spesso le vogliono assieme. «Era la cosa migliore: si sentivano galvanizzati all’idea di prenderci tutte e due, bastava che facessimo un po’ di scena e concludevano in fretta, senza fatica per noi», dice Louise. E assicura che si sono sempre divertite: «Se vuoi fare questo lavoro devi essere felice e sorridente — anche perché altrimenti non combini nulla, gli uomini cercano allegria».
Louise trova la forza di lasciare il marito e riprendersi i figli. Dopo Willem avrà altri due protettori, che sono anche amanti: dall’ultimo, uno spagnolo, nasce la sua quarta figlia. A volte capita anche che provi qualcosa per un cliente, ma ha imparato in fretta a farlo passare: «Le donne — dice oggi — hanno dei sentimenti. Succede che stai male, hai i tuoi problemi: incontri qualcuno che ti fa stare bene, e ti piace. Ma non glielo puoi dire. Ti prendi i soldi e finisce lì». Più che come una Boccadirosa parla da persona pratica: «Quando un uomo paga una donna per il sesso è la cosa migliore, tutti sono contenti», insiste. Martine, che si è sposata quando aveva poco più di vent’anni, rimarrà con il marito Jan fino a 65, insieme hanno tre figli: «Il loro matrimonio non è finito per il business, ma per i problemi della vita», ci tiene ad assicurare Louise.
Intanto nel 1978 le gemelle Fokkens si mettono in proprio e aprono il loro bordello: un ingresso, due stanze, bagno e cucina dove prepararsi da mangiare. Sono i tempi d’oro: gli affari vanno bene, possono contare l’una sull’altra, sono le regine del De Wallen. Non durerà per sempre: negli anni Ottanta la prostituzione cambia. La droga si diffonde, arrivano le straniere controllate dalle grosse organizzazioni, pedine intercambiabili nelle vetrine di Amsterdam, i prezzi si abbassano. «Non sanno neanche parlare l’olandese», si lamentano le sorelle Fokkens. «Ora le ragazze chiedono pochi soldi, fanno tutto in 10 minuti: è pessimo anche per le altre, perché gli uomini pensano che le donne siano delle macchine», spiega Louise. A farle chiudere dopo un decennio, però, non è la concorrenza ma la burocrazia: troppe regole, troppo complicate da gestire. Così vendono l’attività a uno dei «boss del sesso». Non diventano ricche: i soldi escono dalle loro mani con la stessa facilità con cui ci arrivano.
Passano gli anni, passano gli uomini, aumentano gli acciacchi: Louise deve smettere nel 2009, per via dell’artrite, ma è convinta che anche oggi farebbe meglio delle più giovani. «È una bella sensazione sapere che puoi guadagnare un sacco perché i clienti vogliono te», dice. Martine vorrebbe fermarsi ma non può: ha bisogno di denaro. «Ovviamente questo non era il mio sogno! E se potessi non lo rifarei, nemmeno per tutto l’oro del mondo», spiega nel documentario che racconta la loro storia. Eppure, come la sorella, ha cercato di fare il meglio con quello che la vita le ha dato. Contro ogni logica, ci sono riuscite.
Oggi dipingono, spesso scene di vita quotidiana al De Wallen: le immagini in cui festeggiano la loro prima mostra, circondate dagli amici e dalle amiche del quartiere a luci rosse, sono tra le più commoventi del documentario. Non rinnegano niente: «Se hai fatto questo lavoro, se sei stata una puttana, non ti libererai mai del nome. Quindi tanto vale che fai la puttana — dice Louise —. Ma voglio rispetto. E una buona vita con i miei nipotini». Il mese prossimo lei e Martine si trasferiranno in un nuovo sobborgo alle porte di Amsterdam: abiteranno nella stessa strada, a un numero di distanza. «Ognuna ha il suo appartamento, così abbiamo spazio per quando vengono le nostre figlie con i loro figli».
Elena Tebano