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 2013  marzo 17 Domenica calendario

IL GRANDE FRATELLO VEDE CIO’ CHE TI PIACE

Ogni volta che premete il tasto «Mi piace» («Like») su Facebook, l’informazione finisce nel Big Data. Lo stesso ogni volta che vi muovete con un telefono cellulare nella borsetta. Oppure usate una carta di credito. Ogni cosa facciate con uno strumento in Rete, la vostra azione viene registrata e immagazzinata in un database. Che nella maggior parte dei casi vende queste informazioni. Numeri e frequenze che, una volta ordinati e analizzati da software ogni giorno più precisi, servono a creare il vostro profilo: per questo aziende commerciali o partiti politici o altre organizzazioni li comprano. Questa enorme, infinita massa di dati è la grande discussione del momento, il Big Data che promette di cambiare il mondo del business, la politica e probabilmente molti modi di vivere.
Per dire. Facebook ha rivelato l’anno scorso che ogni giorno il suo sistema processa 2,5 miliardi di contenuti e più di 500 terabyte (un terabyte corrisponde a mille miliardi di byte, cioè di unità di informazione digitale). Nelle stesse 24 ore, gestisce 2,7 miliardi di «Like» e 300 milioni di foto. Ogni mezz’ora analizza più di cento terabyte. Numeri che vanno moltiplicati per milioni di altri operatori della Rete. Una volta elaborati, questi numeri diventano profili psico-demografici fondati su informazioni statistiche che individuano il vostro credo religioso, la propensione politica, i gusti musicali e culinari, la razza, il livello di felicità, il grado di ottimismo, gli interessi letterari, la sessualità, l’uso di droghe, il divorzio dei genitori. Il Centro di Psicometria dell’Università di Cambridge è riuscito a individuare queste caratteristiche limitandosi ad analizzare grandi masse di dati provenienti dai profili personali di 58 mila membri di Facebook e dai loro Like: ha colto nel segno per l’88 per cento dell’orientamento sessuale, il 95 per cento della razza, l’80 per cento di religione e idee politiche, tra il 62 e il 75 per cento della stabilità emotiva.
Con questi dati e con i software che li elaborano, le imprese fanno grandi cose: dal decidere in quali negozi mandare certi merci fino a creare prodotti e servizi personalizzati. Nella campagna presidenziale dell’anno scorso, il team di Barack Obama ha usato il Big Data e la statistica a 360 gradi: sapeva cosa pensavano gli elettori sul controllo delle armi piuttosto che sul matrimonio gay, conosceva quale autobus prendevano per accompagnare i figli a scuola, era al corrente dell’attore di sit-comedy preferito dalla famiglia.
Piaccia o meno, il Big Data sarà sempre di più parte delle nostre vite. I governi dovranno però rendere trasparente quel che succede, spingere chi gestisce i dati a informare coloro da cui li estrae. E trovare un modo per chiedere a questi ultimi il consenso all’utilizzo (le regole di oggi non bastano ma la tecnologia può aiutare). Soprattutto, bisognerà spiegare ai bambini cosa succede quando dicono «Mi piace»: la Rete ascolta.
Danilo Taino