Gianni Barbacetto, il Fatto Quotidiano 16/3/2013, 16 marzo 2013
IL CICLONE MANI PULITE CHE LAVO’ VIA LA PRIMA REPUBBLICA
La Grande Retata degli Onorevoli, vent’anni fa, segna la fine della prima Repubblica. Il primo a uscire dal Parlamento e a finire dritto in carcere è Giulio Di Donato, socialista, uno dei “vicerè di Napoli”. I carabinieri lo prelevano nella sua villa immersa nel verde della collina di Posillipo e lo accompagnano a Poggioreale. È il 16 aprile 1994, primo giorno della dodicesima legislatura: Mani pulite da due anni sta realizzando la sua mietitura e quel giorno molti deputati e senatori, che non sono stati rieletti, perdono il loro ultimo scudo protettivo, l’immunità parlamentare. Sono ben 63: 24 democristiani, 22 socialisti, cinque liberali, quattro del Pds (ex Pci), altrettanti del Partito repubblicano, tre del Psdi e uno del Msi. Quest’ultimo, l’ex deputato Giuseppe Resta, in quei giorni è già a giudizio a Milano per tangenti, in compagnia degli ex sindaci socialisti Carlo Tognoli e Paolo Pillitteri e all’ex deputato Renato Massari, socialdemocratico poi passato al Psi.
Non per tutti si aprono le porte del carcere, perché in molti casi i magistrati ritengono che, a distanza ormai di mesi dagli avvisi di garanzia, non valgano più le esigenze cautelari.
QUEL 16 APRILE di quasi vent’anni fa, i neodeputati al loro primo giorno di legislatura eleggono una compunta Irene Pivetti, della Lega nord, presidente della Camera. I neosenatori ascoltano in silenzio il discorso d’insediamento di Carlo Scognamiglio, di Forza Italia, che parla con una mano in tasca. E il “tecnico” Carlo Azeglio Ciampi sale al Quirinale per dimettersi da presidente del Consiglio. Di Donato, a Napoli, è il primo a entrare in cella, malgrado le solite, sobrie proteste (“Aguzzini nazisti”) di Vittorio Sgarbi. Lo stesso giorno entra nel carcere di Busto Arsizio l’ex deputato lombardo Paolo Caccia e, in quello di Tolmezzo, l’ex senatore friulano Giovanni Di Benedetto, entrambi Dc.
Il 12 maggio tocca, a Napoli, a Francesco De Lorenzo, Pli, ex ministro della sanità. È accusato di associazione a delinquere e corruzione per 76 capi d’imputazione e 7 miliardi di tangenti. “Il desiderio di 56 milioni di italiani si è avverato. Ieri pomeriggio le porte del carcere si sono spalancate per far entrare quello che viene ritenuto il peggiore di tutti i tangentisti della prima Repubblica. Aveva speculato anche sull’Aids... Poi è arrivata la resa dei conti”. A ospitare questa prosa è il Giornale di Vittorio Feltri, che scrive soddisfatto: “Voleva il premio Nobel, gli hanno dato la galera”. Il titolo a pagina 2 : “Francesco entra in cella, anche africani e contrabbandieri applaudono. Alla notizia, esplode la gioia dei concittadini: dalle disastrate corsie del Cardarelli si leva un boato” (Qualche anno dopo, nel 2001, De Lorenzo, rientrato a Poggioreale per scontare la condanna definitiva, inaugurerà proprio sul Giornale una rubrica dal titolo “Lettere dal carcere”). A novembre 1994 fa il suo ingresso in cella Gianni Prandini, potentissimo ex ministro dei Lavori pubblici, democristiano bresciano. Ma gli sguardi di tutti sono puntati soprattutto su Bettino Craxi. Nessuno ha osato ricandidare l’ex segretario del Psi. Neppure l’amico Silvio Berlusconi, che con Forza Italia e gli alleati di Lega e Msi ha vinto trionfalmente le elezioni del 27 e 28 marzo 1994. Anche il leader del Psi è rimasto dunque senza scudo protettivo. È ex segretario del partito già dall’11 febbraio 1993, giorno in cui ha dovuto dare le dimissioni. Ha sul groppone un nugolo d’avvisi di garanzia. È ormai il “Cinghialone” (copyright Vittorio Feltri) inseguito dalle indagini. In quei mesi, vive tra Milano, nella sua casa di via Foppa, e Roma, nella suite dell’Hotel Raphael. Le feste di Natale del 1993 le trascorre a Cuernavaca, in Messico, ospite nella villa dell’amica contessa Francesca Vacca Agusta.
SPESSO NEI WEEKEND vola ad Hammamet, nella sua villona bianca circondata da palme e agrumi. Compie qualche viaggio negli Stati Uniti, nei Paesi arabi, in Francia. Il 30 aprile 1994, all’uscita dal Raphael, riceve la pioggia di monetine destinata a passare alla storia come l’epilogo della sua vicenda politica. Poco dopo, il 12 maggio, gli viene ufficialmente ritirato il passaporto. Ma Bettino è già in Tunisia. Il 21 luglio 1995 sarà dichiarato ufficialmente latitante.
Alla fine d’aprile del 1994, a Milano, i pm Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo chiedono al gip Italo Ghitti, invece dell’arresto, il ritiro del passaporto per 15 ex parlamentari inquisiti: tra questi, gli ex sindaci Tognoli e Pillitteri; gli ex ministri Psi Claudio Martelli, Gianni De Michelis, Claudio Signorile e Franco Reviglio; gli ex ministri demo-cristiani Paolo Cirino Pomicino e Carlo Bernini; l’ex parlamentare dc Luigi Baruffi, proconsole di Giulio Andreotti a Milano; l’ex direttore amministrativo della Democrazia cristiana Severino Citaristi e l’ex cassiere della Dc romana Giorgio Moschetti; l’ex ministro socialdemocratico Carlo Vizzini; il liberale Renato Altissimo; il tesoriere del Pds Marcello Stefanini. Più severi a Napoli, che procedono con gli arresti: venerdì 6 ottobre 1995 viene portato in cella l’ex ministro del bilancio Cirino Pomicino, arrestato con le accuse di concussione ed estorsione.
Anche da Palermo arrivano segnali inquietanti su un sistema al tramonto: il 21 maggio 1994, la procura siciliana chiede il rinvio a giudizio di Giulio Andreotti per associazione mafiosa. Mentre la prima Repubblica muore, la seconda nasce già segnata. Il 22 novembre 1994 il trionfatore delle elezioni, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, riceve il suo primo avviso di garanzia, per tangenti pagate dai suoi uomini alla Guardia di finanza. Vent’anni dopo, di questa storia, tra legittimi sospetti e illegittimi impedimenti, aspettiamo ancora l’epilogo.