Felice Cavallaro, Corriere della Sera 17/03/2013, 17 marzo 2013
LA PSICOSI DEL VELENO NEL PAESE DI SEBASTIAN —
Per uccidere il piccolo Sebastian e per tentare di sterminare un’intera famiglia di romeni l’assassino che s’aggira fra le stradine di Naro ha usato un insetticida fuori commercio dal 2008 perché inodore e pericoloso. Ancora in circolazione in Romania. Un veleno a grani blu, il «Carbofuran». Raccolto in un tegame, sciolto col fuoco, aspirato con una siringa, iniettato con odio nei cioccolatini malamente ricomposti e trovati da questo innocente di 5 anni e dai suoi fratellini salvi per miracolo dopo una settimana di spasmi e crampi.
Adesso si cercano flaconi del maledetto prodotto isolato in laboratorio e trasmesso ai carabinieri che setacciano botteghe e aziende agricole, case di romeni e siciliani in questo paese zeppo di chiese e nobili dimore. A mezz’ora da Agrigento la psicosi dilaga con la caccia all’avvelenatore, perfido al punto da richiudere i bonbon con la stagnola assicurata da smozzichi di scotch. Gli stessi sui quali si cercherà domani traccia di impronte o di saliva a Messina, al Ris dei carabinieri, appuntamento ieri rinviato per dar modo agli avvocati di partecipare trattandosi di un «atto irripetibile». Anche se forse avvocati non ce ne saranno, visto che manca l’imputato e ci sono solo dei sospettati.
Gli stessi indicati dalla mamma di Sebastian, Marika Lupasku, la tragedia stampata su un volto scarno, esile e provata, bella come lo era il piccolo rimasto a Messina, in camera mortuaria, evocato davanti alla casa in cui l’assassino riuscì la mattina dell’8 marzo a fare arrivare i suoi dolci avvelenati: «I sospetti ci sono. Li conoscono i carabinieri. Con loro abbiamo parlato. Per questo si saprà chi è stato. E si saprà presto».
Messaggio lanciato a mo’ di sfida, accanto al marito, Dumitru, conosciuto come Daniel, a sua volta tarchiato e taciturno, il capo chino, gli occhi gonfi di rabbia schiacciati a terra, forse cosciente che questa storia comincia e finisce all’interno dei suoi rapporti personali o di lavoro con l’assassino, senza nemmeno ascoltare il sindaco di Naro, Pippo Morello, quando riferisce di avere allertato «mamme e maestre, dirigenti e assistenti sociali perché per strada e nelle scuole stiano tutti in guardia».
È la psicosi che al Duomo prende padre Stefano Casà con la raccomandazione ai ragazzi della Caritas: «Conservate bene gli alimenti per i poveri, per la festa di San Giuseppe». E padre Giuseppe Maniscalchi a Sant’Erasmo, nella chiesa col portone accanto alla casa dei Lupasku: «Ho messo al sicuro le ampolle di vino e acqua per dire Messa». Lui se lo ricorda Sebastian: «Con i fratellini giocava sempre a calcio». E le pallonate durante il rosario le sopportava sorridendo alle vecchiette in preghiera. Ma gli è capitato di fare la voce grossa: «Eh, no. A nascondino dentro la chiesa no!».
Flash di memoria che commuovono Gaspare Franco, il macellaio con la bottega di fronte, lenti tonde, guance piene: «Non dimenticherò mai più quel padre che corre da me implorando: "I miei figli a terra". E che potevo fare? Una telefonata al 118 e una corsa per fare scendere la dottoressa degli esami, dal laboratorio qui accanto. Ce lo disse lei che il piccolo era in vita. Ma freddo, immobile...».
La paura attanaglia le case vicine, come quella di Michele e Valentina Lupasku, gli zii di Sebastian, crocefisso e altarino sopra trenta peluche che fanno da spalliera al divano, davanti alla tv sintonizzata su «ProTv» perché da Bucarest l’orrore di Naro rimbalza in romeno sul teatro del disastro. E loro s’interrogano sul mistero con un altro volontario alla guida di un centro romeno, Costantin Codreanu, ciuffo gellato e mosca al mento, coscienti delle zone opache. Perché sono in tanti succubi di un caporalato che si presenta con le facce incattivite dei bravi della vicina Canicattì, i «Manole», un cognome che mette terrore. Bisogna andare all’alba alla chiesa di San Diego e avvicinarsi a un pulmino bianco. «Il lavoro lo trovano, ma ogni 30 euro 5 debbono andare a loro», assicura un cronista guardato storto quando racconta che uno dei Manole, appena arrestato, l’anno scorso si impiccò in carcere. Altra storia che fa da sfondo e ancora non spiega l’odio sfociato nel sacrificio di un innocente.
Felice Cavallaro