Sara Ricotta Voza, La Stampa 18/3/2013, 18 marzo 2013
NOI FILIPPINI, DA BADANTI A CITTADINI"
Fra le tante diaspore di popoli migranti, una che ci riguarda molto da vicino è quella dei lavoratori filippini. Prima sono arrivate le donne, poi i mariti e da qualche anno anche i figli. La prima ondata risale agli Anni ’70, quando le italiane sono entrate massicciamente nel mondo del lavoro, poi si è stabilizzata negli ’80 e ’90 grazie alle politiche di ricongiungimento familiare, mentre oggi – causa crisi - si assiste a un calo del flusso e a un aumento dei rientri in patria o degli spostamenti verso altri Paesi (come la Germania). Dei 214 milioni di migranti nel mondo 10 milioni sono filippini, 134 mila sono venuti in Italia e la metà si è stabilita al Nord (74 mila, secondo i dati Istat del 2010).
Come tutte le diaspore, anche questa ha portato con sé i problemi tipici di quella che è, letteralmente, una «dispersione». Di legami, identità, abitudini, valori. Per questo le comunità filippine sparse nel mondo, assieme a rappresentanti del loro Paese d’origine stanno tentando una ricomposizione culturale attraverso grandi incontri di scambio e informazione. L’hanno chiamata D2D, ovvero «Diaspora to Dialogue», la prima edizione europea si è svolta a Roma e ieri al Teatro Salesiano Don Bosco di Milano si è tenuta la seconda, per il Nord Italia. Centinaia di delegati da Piemonte, Lombardia, Liguria e Veneto si sono incontrati per informarsi e scambiare esperienze. Perché una buona integrazione avviene se non si perde la forte identità della società d’origine (e i filippini ce l’hanno, anche se è anch’essa in pericolo) e se si conosce il sistema giuridico di quella ospitante.
«Il principale obiettivo di Diaspora to Dialogue è creare una connessione globale fra tutti i lavoratori filippini all’estero per aiutarli a risolvere i problemi in ambito sociale e economico che toccano le loro vite», spiega il prof. Casimero Dulay, uno degli organizzatori dell’evento, psicologo clinico e docente universitario e a capo di una società di formazione nell’ambito della sicurezza finanziaria per lavoratori filippini in Italia. Il suo intervento alla conferenza riguarda il tema dell’istruzione, uno dei più delicati per questa comunità, soprattutto per i membri più giovani. «L’istruzione della seconda generazione dei filippini in Italia non è ben curata dai genitori perché questi non hanno tempo per i loro bambini, essendo impegnatissimi nelle mansioni di lavoratori domestici», dice il prof. Dulay, che arriva a una conclusione preoccupante: «Così continua il trend che vede i figli dei lavoratori tendere a diventare lavoratori domestici al compimento dei 18 anni, mentre l’intraprendere un cammino universitario è visto come l’ultima delle priorità». Da qui la necessità di educare genitori e figli a considerare l’importanza dell’istruzione.
L’altro grande problema riguarda il lavoro. «La gran parte è impiegata nel settore dei servizi – pulizie e ristorazione veloce soprattutto - ed essendo questi in crisi anche i lavoratori risentono della debolezza dei rapporti di lavoro, con difficoltà a recuperare stipendi e liquidazioni» spiega Mirko Grandi, responsabile dello Sportello Colf Cgil della Camera del Lavoro di Milano. Lui, prima di incontrarli da sindacalista, li ha avuti come colleghi e sa quanto siano in gamba. «Ho lavorato per anni da McDonald’s e mi sono sempre trovato bene con loro, disponibili ma anche molto attenti ai loro diritti». Nel suo intervento in conferenza ha spiegato alcuni aspetti tecnici su cui spesso sono poco o male informati, tipo quando e come chiedere gli assegni familiari e che fare dei contributi nel caso decidano di tornare nelle Filippine.
Qualcuno che si affranca dal lavoro domesticoe diventa piccolo imprenditore, comunque c’è. I proprietari del ristorante filippino Cabalen Ini di Milano (uno dei pochi in Italia assieme a quelli di Palermo, Torino e Bologna) lo hanno aperto tre anni fa. «Forse non è stato il momento migliore - ammettono - anche perché c’è crisi e pure tanta concorrenza». Cinese, soprattutto.