Claudio Gallo, La Stampa 18/3/2013, 18 marzo 2013
PAKISTAN, LA PRIMA LEGISLATURA CHE FINISCE SENZA UN GOLPE
Ci hanno messo 66 anni nella «Terra dei puri» per riuscire a concludere un’intera legislatura. Certo, gli Italiani sono gli ultimi a poter dare lezioni di stabilità ma battere il Pakistan è impossibile. Comprensibilmente fiero, il primo ministro Raja Pervez Ashraf, casacca nera senza colletto stile Panjabi, ha annunciato il record circondato di bandiere in tv. Ora governo ad interim fino a maggio, quando il Paese tornerà alle urne.
«Nessuno in futuro sarà in grado di danneggiare la democrazia», ha proclamato con una buona dose di ottimismo il premier, aggiungendo per realismo che il suo governo non ha potuto dare al Paese «un fiume di latte e miele», metafora che affonda le radici nella cultura plurimillenaria della Valle dell’Indo.
Del Partito del Popolo che fu di Benazir Bhutto e di suo padre Zulfikar, Ashraf viene da una famiglia di proprietari terrieri. Ricco immobiliarista, processato già in passato per il vizietto nazionale delle bustarelle, rappresenta bene le ambiguità di un Paese di estremi dove modernità raffinata e cieco conservatorismo religioso respirano la stessa polvere. D’altra parte il presidente Zardari, il marito di Benazir, era chiamato mica per caso allo zenit politico della moglie il «Signor dieci per cento».
Fondato nel 1947, il Pakistan ha visto le sue prime elezioni soltanto nel 1953. È indicativo che i pakistani dividano questi ultimi 66 anni in una successione di ere, democratiche e golpiste, irrequiete come il grafico di un sismografo. Un periodo in cui si contano quattro guerre con l’India e la perdita di un pezzo del Paese con la nascita nel 1971 del Bangladesh. E soprattutto la corsa nucleare con Delhi.
A dieci anni dall’indipendenza voluta da padri come Muhammad Ali Jinnah che tutto sommato guardavano al modello della democrazia britannica, c’erano già i militari al potere. Negli Anni 60 il Paese entrò nell’orbita occidentale, il presidente Muhammad Ayub Khan s’inventò la «democrazia di base», una repubblica presidenziale con un collegio di 80 mila persone a eleggere il capo dello stato. Gli Anni 70 sono all’insegna della legge marziale fino alla seconda era democratica: Zufilkar Bhutto diventa presidente ma finisce sul patibolo. Tornano i militari, è l’era del generale Zia ul Haq che finisce nell’88 quando il suo elicottero esplode in cielo. Poi è la volta di Benazir Bhutto, torna la «democrazia» finché non arriva il solito generale, Parvez Musharraf. La sua era militare si conclude solo nel 2007 con l’attentato che costò la vita a Benazir. Dal 2008 a oggi siamo in era democratica, nonostante Bin Laden, i taleban, le violenze intersettarie. Se un altro generale si sta preparando nell’ombra questa volta dovrebbe avere la vita più difficile.