Mattia Feltri, La Stampa 18/3/2013, 18 marzo 2013
INSULTI DA BAR SPORT PAROLACCE E OFFESE LA POLITICA TORNA RING
Quando venerdì Umberto Bossi ha detto che Bobo Maroni ha «il culo più largo» per stare seduto su molte poltrone, non ci si è fatto molto caso. Un po’ perché Bossi ormai conta pochino - la sua minaccia di andarsene se Maroni non si fosse dimesso da segretario è durata mezzora o giù di lì - un po’ perché il suo dizionario, un tempo nuovo ed efficace, ha sempre avuto inclinazioni dopolavoristiche. E poi si era nel corso di una stupefacente pausa, perlomeno lessicale, forse perché tutti erano impegnati a far tornare i numeri di quel sudoku che erano le presidenze delle camere. L’idea che la campagna elettorale fosse conclusa o sospesa, e si dedicassero le energie soltanto alla trattativa e alla strategia, è sfumata ieri lungo una domenica da schiaffi, di turpiloquio e tafferuglio da torneo di briscola. Persino un uomo magari non mite ma solitamente misurato come Dario Franceschini ha risposto a Beppe Grillo - che gli dava dell’«indigeribile», come anche ad Anna Finocchiaro - postando su twitter un video nel quale Fantozzi (che poi Fantozzi non è: il film è “Ho vinto la lotteria di capodanno” e Villaggio interpreta Paolo Ciottoli) gonfio di Perrier si produce una squassante eruttazione di quaranta secondi. Qui naturalmente Franceschini usa una terminologia più adeguata: rutto. E consiglia a Grillo di farsi dare una pacca sulla schiena, che aiuta.
Niente di grave, si è visto di peggio. L’andazzo ormai è questo e semmai si segnala che le licenze poetiche dei leghisti, in paragone, sono peccatucci da cresimandi. Ci si destreggia fra l’insulto netto e rancoroso e quello scostante e dozzinale. Una «stronzata megagalattica» è la categoria alla quale ieri il deputato di M5S, Alessandro Di Battista, ha iscritto l’accusa di tirannia rivolta a Beppe Grillo. Il quale Beppe Grillo era nel frattempo concentrato a imputare di tradimento i senatori a cinque stelle che non ce l’hanno fatta a non votare per Piero Grasso. Sospetto perenne e guerra civile casa per casa. Queste attitudini, e il costume di riunirsi a porte chiuse ma pretendere la diretta streaming per i colloqui al Quirinale, hanno riacceso la memoria di Pierluigi Bersani: il M5S gli fa «venire in mente il leninismo». La collezione è quasi completa: Grillo ha suscitato paralleli con Adolf Hittler, Josif Stalin, Mao Zedong, Pol Pot e chissà se qualche altro despota ci è sfuggito. Ed è con questi leninisti che nelle prossime ore Bersani cercherà l’intesa disperata per il governo, e dunque, per dare una mano, Giuseppe Fioroni ha diagnosticato al megafono stellato una «paranoia delirante». Ma soltanto poche ore prima, pescando in una terminologia più neutra ma esprimendo concetti non meno spietati, Silvio Berlusconi aveva detto che il MoVimento «non dovrebbe nemmeno essere ammesso tra i partiti democratici». La dialettica ha sempre più un andamento da ricreazione: ineleggibile io? Ineleggibile sarai tu.
Ecco, un primo risultato Grillo lo ha raggiunto: portare definitivamente il resto del mondo sul suo ring. Beppe “Grullo” è la facezia offerta ieri da Carlo Giovanardi, in onore dei vari “Ingoia” (per Antonio Ingroia, soprannome di coraggiosa sguaiataggine) e Rigor Montis (per Mario Monti) periodicamente coniati dal comico. Ha il suo bel daffare il povero Giorgio Napolitano a onorare il contratto di presidente della Repubblica raccomandando unità d’intenti, concordia, spirito costruttivo. Sempre ieri, Angelino Alfano ha detto che Bersani non ha i numeri per governare e ha offerto una mano in cambio di un Capo dello Stato moderato (cioè del Pdl). La risposta è stata: «Indecente». Nel frattempo Alfano si era sentito rivolgere l’apprezzamento di «impresentabile» (lui e tutti i suoi, ecco per quale ragione non possono ambire al Quirinale) da Lucia Annunziata, che più tardi si è scusata della leggerezza ma per l’intero pomeriggio si è andati avanti con un «impresentabile sarai tu», replica scontata di Daniela Santanché, Alessandra Mussolini e non pochi altri berlusconiani. «Rassegnatevi», «mettetevi il cuore in pace», è stato a quel punto il grido pacificatore di Altero Matteoli, sicuro che alla fine sarà eletto un presidente moderato, vocabolo che, come si vede, assume un significato piuttosto vago. Bene, su questi presupposti da stamattina ci sarà da sedersi a un tavolo e trovare il modo di fare un presidente del Consiglio e uno della Repubblica: non è nemmeno obbligatorio remare tutti nella stessa direzione, basterebbe non darsi i remi in testa.