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 2013  marzo 18 Lunedì calendario

GRILLO E CASALEGGIO COMPATTI M5S SEMPRE PIU’ LONTANO DAL PD

Il primo risultato della giornata di sabato - in cui una parte del Pd ha cercato il cambiamento che poteva ma un’altra utilizzava l’insegna del cambiamento, come ha detto qualcuno, per «aprire come una scatola il M5s» - è che lo staff di Beppe Grillo e Casaleggio s’è irrigidito. Da questo punto di vista, risultato negativo. «È ancora peggio di prima per noi», dicono. I nomi di Boldrini e Grasso, hanno postato sul blog senza firma, ossia con la firma più nota, «sono foglie di fico», come Doria a Genova e Ambrosoli a Milano. Nomi nuovi di una politica vecchia e di un partito «impresentabile» sempre guidato da... D’Alema. Tra l’altro, a Milano - punto terminale dell’intelligenza collettiva dei cinque stelle - sono convinti che D’Alema sia il vero candidato del Pd per il Quirinale, previo accordo con il Pdl. «La sua candidatura sarebbe irricevibile dall’opinione pubblica, il Paese non reggerebbe sette anni di inciucio», scrive Grillo. E nello staff spiegano «ci tenteranno; se non è vero siamo lieti, possono smentire».

Insomma, nei giorni che verranno non c’è da aspettarsi un disgelo tra i due mondi, Pd e cinque stelle: quella di sabato è stata vissuta come una specie di aggressione al gruppo parlamentare del Movimento (definito «immaturo» anche da alcuni insider). È vero che in quel gruppo si discute, e il tweet di Grillo ad alcuni ha fatto drizzare i capelli, ma su questo nello staff sono intransigenti. Evitano accuratamente la parola «traditori» o «Giuda», la formula che viene più usata è «hanno commesso un errore». Nessuno evoca «espulsioni», ma il ragionamento che si sente fare è: «Per coerenza dovrebbero dimettersi». Per i fondatori la cosa fondamentale è che gli eletti siano una cinghia di trasmissione con gli elettori, e tengano fede al regolamento sottoscritto a ottobre: quando ci sono opinioni diverse, il gruppo vota una posizione a maggioranza e poi tutti la rispettano. Salvo casi singoli, che possono riguardare votazioni di coscienza, non voti politici come il presidente del Senato e, ancora di più, i prossimi sulla formazione di un governo o l’elezione del capo dello Stato. Il problema è che dal Parlamento non ci si dimette; se non per motivate ragioni. Semmai si finisce nel gruppo misto. Sarebbe la più classica deriva politichese. Una nemesi, per loro.

Neanche tanto paradossalmente, allora, il Parlamento è il terreno più difficile, dove dimostrano di avere tanto da imparare. E anche Crimi forse in futuro sarà più rigido. Fuori, invece, i cinque stelle si sentono ancora su un’onda. Venerdì - il giorno prima dello scacco al Senato - circolavano a Milano numeri impressionanti sui consensi attuali. Non i sondaggi di istituti tradizionali, ma una convinzione, informata, di viaggiare al 32 per cento. Ecco perché sono scettici su elezioni a giugno, «non ci faranno tornare a votare».

Certo la strada per un governo con il Movimento è chiusa. A Milano prevedono, nonostante tutto, che alla fine «faranno un governo che chiameranno del presidente, o istituzionale». E, anche se non lo dicono, forse a loro converrebbe. Ma «se si vota naturalmente siamo felici». È l’unica vera via per risolvere lo stallo, spiegano.

In effetti una delle caratteristiche poco colte, di fronte a questo Movimento per tanti sconosciuto, è che per la prima volta nelle dinamiche politiche italiane - lo staff dei garanti è anche più radicale della base (per dire, nel Pci, o nella Fgci, è sempre stato il contrario). Se alcuni parlamentari si mostrano possibilisti, non si può dire che sensazione analoga si ricavi a Milano. Claudio Messora, il blogger byoblu, dice che quelli che hanno votato Grasso sono «quindici uomini sulla cassa del morto». Ma persino quelli che chiedevano più libertà, ieri si affrettavano a dire: è chiaro che sulla fiducia voteremo tutti uniti.

Questa è al momento la fotografia. Ne dobbiamo ricavare che ogni strada è chiusa? Forse l’unica sfida a questa posizione sarebbe un incarico a un premier stimatissimo da tutti (Rodotà, o un nome di questo tipo), pronto però ad andare in parlamento direttamente, senza passare dai partiti, e facendo in sostanza un «governo del M5s». È facile capire quanto questa strada sia ai limiti dell’impossibile.