Ugo Dixon, La Stampa 18/3/2013, 18 marzo 2013
UNA RAPINA IN BANCA LEGALIZZATA
Il prelievo forzoso dai conti correnti di Cipro rappresenta un cattivo precedente.
Occorreva trovare del denaro per evitare che il sistema finanziario cipriota collassasse. Ma imporre una tassa del 6,75 per cento sui conti correnti sotto i centomila euro è una rapina in banca legalizzata. Cipro dovrebbe piuttosto imporre una tassa più alta sui depositi oltre quella cifra e non toccare i piccoli risparmiatori. Confiscare il lorodenaro è un colpo alla fiducia nelle banche. E sarà anche un colpo alla fiducia nel governo, dato che Nicosia aveva teoricamente garantito tutti i conti correnti fino a 100 mila euro. I piccoli risparmiatori dovrebbero essere incoraggiati, non penalizzati. Sono gli eroi silenziosi del sistema finanziario, che mettono via le loro economie, e non si impelagano in un’orgia di prestiti.
Tecnicamente Nicosia non ha rotto la sua promessa di garantire i conti correnti, perché in questo caso non ci sono banche che non restituiscono i soldi ai risparmiatori - una procedura che avrebbe avviato lo schema dell’assicurazione. È piuttosto il governo stesso che si sta prendendo una fetta di quei soldi. La pillola è indorata dando ai risparmiatori ciprioti azioni bancarie come compensazione. Anche così però il meccanismo è una rottura delle promesse.
Nonc’èdubbiocheCiprodovevatrovareunasoluzione perché era sull’orlo del precipizio. Il suo sistema bancario che, spinto dall’afflusso di denaro russo e dell’aggressiva espansione in Grecia, era cresciuto fino a otto volte il Pil, era tecnicamente fallito. L’avevano portato a quel punto l’esposizione nell’economia greca, il debito di Atene e lo scoppio della bolla immobiliare cipriota.
I partner dell’eurozona avevano fatto capire chiaramente che non c’era tempo da perdere. Avevano scelto come data ultima l’incontro dei ministri delle finanze venerdì notte, sapendo che oggi a Cipro è un giorno festivo. Il presidente cipriota dice che, senza un accordo, domani la Banca centrale europea avrebbe tagliato la liquidità. Il sistema bancario del Paese sarebbe collassato.
Cipro ha bisogno di 17 miliardi di euro - grossomodo l’equivalente del suo Pil - per salvare le sue banche e far fronte ai conti dello Stato. Se Nicosia li avesse presi a prestito tutti, sommati al debito sarebbero stati un carico insostenibile. Sarebbe stata solo questione di tempo prima che diventasse necessaria una ristrutturazione del debito. I partner dell’eurozona e il Fondo monetario internazionale hanno giustamente deciso di non prestare tutto quel danaro, limitando il salvataggio a 10 miliardi di euro. Questo significa che Nicosia dovrebbe arrivare a un debito pari al 100 per cento del Pil - perfettamente gestibile - nel 2020.
Restava il problema di dove trovare gli altri 7 miliardi. Dato che la Germania e altri Paesi europei del Nord non erano disposti a dare una mano, restavano due opzioni: «tosare» i possessori di titoli di Stato o colpire i correntisti bancari. L’opzione di tagliare il debito del governo - come ha fatto la Grecia l’anno scorso - era stata respinta. Poiché molte obbligazioni sono nelle mani delle banche cipriote, un taglio avrebbe semplicemente aumentato le dimensioni del buco nel bilancio, il che significava un nuovo salvataggio ancora più grande. Il credito del governo cipriota sarebbe andato distrutto in cambio di un beneficio molto piccolo.
Così non restava che spillare i soldi ai creditori delle banche. Idealmente sarebbe toccato ai possessori di titoli. Ma le banche cipriote praticamente non ne hanno. In quella direzione non c’era molto da prendere. Questo, detto per inciso, dimostra quanto sia importante che tutte le banche abbiano un bel cuscinetto di capitale - equity o bond - da tirar fuori durante una crisi. Quanto più presto arriveranno regolatori internazionali con uno standard minimo per il cosiddetto «bail-in», tanto meglio sarà.
Non avendo le banche cipriote un tale cuscinetto, restava l’opzione di colpire i correntisti - per 5,8 miliardi di neuro. C’era pure una giustizia sommaria, in quella politica. Dopotutto, quasi la metà dei 68 miliardi di euro sui conti correnti bancari sono nelle mani di russi e ucraini - e si ritiene che una parte di quel denaro sia nero, ripulito attraverso i canali ciprioti.
Inoltre le banche nei mesi recenti hanno pagato alti tassi di interesse - fino al 7 per cento. Il pericolo era chiaro, i correntisti dovevano sapere che con tassi così alti ci sono sempre rischi.
Se il prelievo forzoso fosse stato limitato al 9,9 per cento sui depositi oltre i centomila euro, queste argomentazioni avrebbero avuto un senso. Ma sono stati colpiti - con un prelievo forzoso del 6,75 per cento anche i conti correnti sotto i centomila euro. Sarebbe stato meglio prelevare quei soldi interamente dai 38 miliardi di euro che giacciono sui conti correnti non assicurati. Ciò avrebbe significato alzare la tassa intorno al 15 per cento. Ma non è troppo tardi perché il parlamento cipriota ci ripensi. Ma il governo non lo vuole fare, perché i grandi conti correnti sono per lo più stranieri e un prelievo forzoso così alto potrebbe minare lo status di paradiso fiscale. Anche se c’è una logica politica interna nel favorire la mafia russa a spese delle vedove cipriote, una politica del genere è cattiva per il resto dell’eurozona.
Probabilmente non ci sarà nessun contagio immediato da Cipro ad altri Paesi in crisi. Dopo tutto i sistemi bancari di Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda sono stati recentemente ricapitalizzati. Il fatto che il settore bancario cipriota sia relativamente grande, ma anche abbastanza piccolo da poter fare esperimenti, ne fa un caso speciale. Ciò detto, adesso gli abitanti dell’eurozona sanno che, quando si arriva al dunque, si potrà mettere le mani anche nei loro conti correnti.