Paolo Mastrolilli, La Stampa 17/3/2013, 17 marzo 2013
JORGE E’ CONTRO I REGIMI. E’ COLPA DEL FASCISMO SE NOSTRO PADRE EMIGRO’"
"Mio padre scappò dall’Italia per il fascismo: vi pare possibile che mio fratello fosse complice di una dittatura militare? Sarebbe stato come tradire la sua memoria».
Maria Elena Bergoglio è gentilissima, e determinata. Impossibile confonderla: è la fotocopia femminile del fratello Jorge, con lui ultima sopravvissuta della famiglia che il papà Mario e la mamma Regina portarono dal Piemonte in Argentina.
Vostro padre vi parlava dell’Italia?
«Sempre: come si viveva, i valori. Ci ha cresciuti nell’amore della nostra terra d’origine».
Si rivolgeva a voi in italiano?
«No, con noi parlava sempre un castigliano perfetto. La sera, però, si riuniva con gli zii, e quello era il momento in cui passavano tutti all’italiano, preferibilmente al dialetto piemontese».
Di cosa parlavano?
«Prima della bellezza della loro terra, che è rimasta un sogno tutta la vita. Poi di quanto avevano sofferto durante la Prima guerra mondiale, a cui avevano partecipato. Quindi si lamentavano del fascismo».
Ma non erano emigrati per ragioni economiche?
«Guardi, la situazione era difficile, però le cose che servivano alla nostra famiglia non ci mancavano. Io ricordo mio padre ripetere spesso che l’avvento del fascismo era la ragione che lo aveva davvero spinto ad andare via».
Per questo la urtano le accuse mosse a suo fratello di non aver ostacolato la giunta militare?
«Vi pare possibile? Significava tradire la lezione che nostro padre ci aveva insegnato con la sua difficile scelta di vita».
In Argentina molti sospettano che dietro alle accuse ci sia quanto meno la compiacenza del governo: non è un mistero che la Presidenta Fernàndez, e prima di lei suo marito Néstor Kirchner, avevano avuto problemi nel rapporto con la Chiesa.
«Non so se le critiche sono un prodotto della sinistra. Credo siano spine che fanno parte del cammino, e Dio si incaricherà di toglierle».
Ma suo fratello come si comportò, durante gli anni di Videla?
«Protesse e aiutò molti perseguitati dalla dittatura. Erano tempi cupi e serviva prudenza, ma il suo impegno per le vittime è provato».
Siete tornati insieme in Italia?
«Sì, quando fu consacrato cardinale. Andammo a Torino e poi a Portacomaro, il paese da dove era partito mio padre. Le confesso che fu commovente. Il posto è magnifico, abbiamo girato insieme le colline vicine. Però vedere la casa dove era nato mio padre, il giardino in cui giocava da bambino, la cantina dove nostro zio faceva il vino: indescrivibile, un’emozione che non si può comunicare con le parole».
Che ragazzo era Jorge?
«Un adolescente normale. Educato, studioso: gli piaceva la chimica. Era amichevole e molto protettivo nei miei confronti, che ero la più piccola».
Cosa gli piaceva fare?
«Giocava sempre a calcio con gli amici del barrio, e quando è cresciuto ha sviluppato una passione per il tango».
Come è nata la sua vocazione?
«Difficile dirlo, sono processi molto personali. Però finiti gli studi aveva molto chiaro che voleva entrare in seminario».
Ha scelto come nome Francesco e a Buenos Aires tutti lo conoscono per l’umile lavoro in favore dei poveri: questo è il programma con cui vuole riformare la Chiesa?
«Sì. Ha dedicato la sua vita al messaggio basilare di Gesù. Tutti i credenti chiedono un cambiamento, però dobbiamo capire che il cambiamento può nascere solo dentro di noi. Siamo noi che dobbiamo accompagnare la Chiesa con la preghiera, la vera conversione, e un mutamento delle attitudini».
Andrà a Roma per l’insediamento?
«No, mio fratello ci ha chiesto di risparmiare i soldi del viaggio e usarli per opere di carità. Farò come dice».
Lei ha raccontato che rimase commossa quando suo fratello la presentò a Giovanni Paolo II, ma fu colpita dall’alone di solitudine che vide nei suoi occhi.
«Vero, e questo è il timore principale che ho per mio fratello: non lasciamolo solo. Papa Francesco chiede alla Chiesa di rimettersi in cammino, ma noi fedeli dobbiamo camminare con lui».