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 2013  marzo 17 Domenica calendario

UNA FEBBRE CHIAMATA EL DORADO

Non fu un luogo, una città perduta nella foresta amazzonica, bensì un uomo: forse, il capo dei popoli Muisca. Il mito di El Dorado – ’il dorato’ – ha ispirato centinaia di avventurieri ed esploratori, dalla scoperta delle Americhe nel 1492 fino a tempi recentissimi: ancora oggi c’è chi continua a cercare, fra Colombia e Perù, convinto di poter ritrovare le tracce di un’antica civiltà così ricca da ricoprire d’oro le pareti delle abitazioni e gettare in fondo ad un lago smeraldi e gioielli. Difficile dire dove finisce la leggenda e inizia la storia, anche se El Dorado è stato fonte di ispirazione anche per migliaia di studiosi che hanno cercato di ricostruire un puzzle di infiniti tasselli.

In un recente articolo pubblicato dal sito della Bbc, Jago Cooper – curatore del British Museum della sezione Americhe – assicura che recenti scoperte archeologiche, arricchite dallo studio di antichi testi storici, permettono di stabilire ormai che non si trattò di una località, ma di una persona. La realtà che si nasconde dietro al mito conduce a una fastosa cerimonia che i Muisca – abitanti delle terre centrali dell’attuale Colombia dal IX secolo d.C. in avanti – realizzavano quando moriva il loro capo: il rito, a cavallo fra il festeggiamento e il processo di iniziazione, rappresentava la successione e la scelta del nuovo capo ’dorato’, ovvero El Dorado. Il prescelto si presentava al popolo nudo, ricoperto di povere d’oro, a bordo di una canoa: numerose versioni parlano del lago Guatavita, nel quale i Muisca (conosciuti anche come Chibchas) avrebbero gettato oggetti dorati e offerte preziose per guadagnarsi la benevolenza delle divinità, in particolare del dio Sole. Ma se per i locali quell’oro era cerimoniale – con un grande valore, perché avrebbe assicurato la calma divina e dunque l’equilibrio cosmico – per i conquistadores spagnoli appena giunti in America latina divenne un’ossessione: una febbre (tutta materiale) che scatenò l’ingordigia di capitani d’avventura senza troppi scrupoli. «El Dorado fu un mix di leggende che facevano parte della mentalità del conquistatore insieme ai racconti degli indigeni: l’unione di questi due fattori fece sorgere questi miti», sostiene la ricercatrice storica messicana Elia Lara Arzate. In epoca di crisi economica e finanziaria, ma anche culturale e di valori etici, con il prezzo dell’oncia che negli ultimi dieci anni ha oscillato fra i 400 e i 1.800 dollari (come bene ’rifugio’), il mito di El Dorado torna a far riflettere, quasi fosse la metafora della cupidigia, motore di tante spedizioni destinate al fallimento. La prima battuta ufficiale per ritrovare l’ipotetica città dorata risale al 1541, quando il governatore di Quito, Gonzalo Pizarro – fratellastro del più noto Francisco, conquistatore dell’impero Inca – partì per le Ande con 200 spagnoli armati, 4.000 schiavi indios, un’infinità di lama e 2.000 cani da caccia. Lo storico Pedro de Cieza de Leon descrive Pizarro come uno spietato ’macellaio’, capace di torturare gli indigeni che non rivelavano dettagli su El Dorado: metodi a parte, la sua spedizione naufragò, quasi tutti gli uomini morirono e lui tornò a Quito umiliato e sconfitto. Molti altri condottieri spagnoli tentarono di nuovo la ricerca, ma la sete d’oro non scemò nei secoli e non colpì solo in terra iberica. I rischi della selva amazzonica, il caldo, l’umidità, le malattie e le infezioni condussero comunque le ricerche al naufragio. Nel 1617 il corsaro e politico inglese Walter Raleigh si addentrò nella foresta amazzonica con il figlio, che venne ucciso. Nel 1772 il naturalista tedesco Alexander von Humboldt e il botanico Aimé Bonpland viaggiano in Sud America per poi diffondere in Europa una versione più realistica: El Dorado non è mai esistito. Ma le loro ragioni non fermano altri. Molto più tardi, nel 1925, l’inglese Percy Fawcett, ex esploratore della Royal Geographic Society, suo figlio e un amico di quest’ultimo salpano per il Brasile, alla ricerca della città perduta: per qualche mese inviano loro notizie ai quotidiani britannici, ma poi di loro non si seppe più nulla; furono organizzate altre spedizioni per ricercarli, ma non ebbero mai successo. Le numerose ricostruzioni storico-antropologiche del mito non si limitano all’attuale Colombia, ma comprendono un’enorme area geografica che va dal Perù all’Ecuador, dalla Bolivia al Brasile, fino al Venezuela. «El Dorado fu un mito che si trasferì dal nord al sud nel continente americano, attraendo avventurieri e conquistatori disposti a sacrificare assolutamente tutto per trovare l’anelata città», spiega l’Istituto di Antropologia Nazionale del Messico, che aggiunge: «La Corona spagnola promulgò una serie di capitolazioni che autorizzarono la scoperta dell’oro nelle nuove terre, giustificando qualsiasi tipo di saccheggio con l’intenzione di trovare la fonte di tante ricchezze».

I saccheggi hanno cambiato volto, ma non si sono mai fermati con il passare dei secoli. I razziatori continuano a depredare i siti archeologici latinoamericani, fomentati da acquirenti mondiali senza limiti. La sete di El Dorado non si spegne.