Stefano Ardito, Il Messaggero 18/3/2013, 18 marzo 2013
IL MAGO DELLA ROCCIA
L’alpinismo italiano ha il suo guru. Non è Reinhold Messner, o un altro collezionista di ottomila, né un astro ventenne dell’arrampicata sportiva. Maurizio Zanolla, in arte Manolo, è nato a Feltre, e di mestiere fa la guida alpina. Vive con la moglie Cristina e i figli Nicolò e Alice in una casa che ha rimesso in piedi con le sue mani tra i boschi delle Pale di San Martino, le vette amate da Dino Buzzati.
Trent’anni fa, con le sue vie nuove sulle Pale, Manolo ha fatto fare uno straordinario balzo in avanti all’alpinismo sulle Dolomiti. Grazie a lui, e a pochissimi altri, il sesto grado ha lasciato il posto al settimo e all’ottavo. Qualche mese fa, a cinquantacinque anni, ha salito sulle rocce delle Vette Feltrine una via di 9a, decimo grado. Chi lo ha visto scalare, invece del soprannome più noto, ne usa un altro. Il Mago.
UOMO DI MONTAGNA
Manolo, alias Maurizio, alias Il Mago, non è solo un atleta, ma un uomo di riflessioni profonde sulla montagna e la vita. Non ha mai raccontato se stesso in un libro. Il grande pubblico, che lo aveva scoperto vent’anni fa su No Limits e altre riviste sportive, lo ha ritrovato da qualche anno in una serie di interviste televisive (la più nota alle Invasioni Barbariche di Daria Bignardi su La7) in cui si è dimostrato un filosofo dell’Alpe. “Verticalmente demodé”, il film-documentario dedicato a un’arrampicata estremamente difficile di Manolo, girato dal regista e fotografo torinese Davide Carrari, ha trionfato nel 2012 al Festival di Trento, il più importante del settore, e in altre quindici rassegne dedicate alla montagna. Un tributo alla qualità del video, certo. Ma anche un premio alla carriera per il migliore arrampicatore italiano moderno.
Intervistare un personaggio come Manolo richiede del tempo, e magari un buon bicchiere di vino. E la disponibilità a lasciarsi stupire da idee che hanno poco a che spartire con lo sport. La passione per le Dolomiti, «straordinarie irregolarità» del pianeta. La gioia di vivere in montagna, dove «ogni giorno posso decidere se camminare in un bosco, arrampicare o sciare”.
VIA GLI SCARPONI
La gratitudine per la roccia che lo ha liberato «dal bar, dalla strada, da un lavoro in fabbrica che non mi sarebbe piaciuto». Il piacere per una vita che gli consente di stare accanto ai suoi figli, mentre «mio padre andava a lavorare in Svizzera, l’ho conosciuto così poco e mi dispiace». Arrampicatore fantasioso e fotogenico, Manolo è arrivato a diciassette anni alla roccia dopo aver praticato atletica leggera e ginnastica («vincevo premi, non me ne importava nulla»), e si è subito sentito a casa. «Ho capito che ero fatto per scalare, ho imparato la tecnica. Un giorno mi sono tolto gli scarponi, ho provato con le scarpe da ginnastica, e mi si è aperto davanti il futuro».
Negli anni, l’alpinista di Feltre ha percorso le pareti più famose del mondo, dal granito californiano di Yosemite al calcare dell’Aguglia in Sardegna e dell’isola greca di Kalymnos. Vent’anni fa hanno fatto scalpore le sue foto mentre arrampicava, solo e senza corda, su campanili e torri medievali di mezza Italia. L’elenco dei libri che lo hanno aiutato a crescere include soprattutto scrittori del Nord est, da Claudio Magris a Mario Rigoni Stern. Un chiaro segno di dove il Mago si senta a casa.
I RECORD
Un elenco di imprese, ma quelle di Manolo dicono poco al profano. Sulle Pale di San Martino, quando la scala ufficiale era ancora ferma al sesto, hanno fatto storia vie di settimo e ottavo grado come Supermatita al Sass Maòr e la Via dei Piazaròi alla Cima della Madonna. Il Mattino dei Maghi sul Totoga, la parete affacciata sul Primiero che è stata per anni la palestra privata di Manolo, non è mai stata ripetuta. Lo stesso vale per Cani morti, decimo grado, aperta nel 2003 sulle Pale.
Noto per le sue solitarie, e per le sue vie dove un volo può essere mortale anche se si usa la corda, Manolo non si è mai fatto male in montagna, ma è stato spesso vittima di incidenti banali. «Sono bloccato da tre mesi dopo una caduta su una lastra di ghiaccio davanti a casa» racconta con un sorriso amaro. «Posso camminare e sciare, ma non arrampicare. Quando riprenderò, per tornare ad alto livello mi servirà un anno. Non so se avrò la voglia e la cattiveria per farlo» confessa.