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 2013  marzo 16 Sabato calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - GRASSO E LA BOLDRINI PRESIDENTI DI SENATO E CAMERA


ROMA - Il centrosinistra fa en plein e dopo l’elezione di Laura Boldrini alla Camera ottiene anche la presidenza del Senato con la nomina di Piero Grasso. Successo raggiunto al ballottaggio contro Renato Schifani. Un esito apparentemente banale, visto che - soprattutto per come si erano messe le cose nel corso della giornata - la coalizione guidata da Pierluigi Bersani aveva chiaramente i numeri per chiudere la partita.
In realtà la conclusione della doppia maratona elettorale a Montecitorio e Palazzo Madama porta con sé diversi elementi di novità destinati a segnare probabilmente lo sbocco dello stallo creatosi con il voto di fine febbraio. L’elezione di due candidati fuori dagli schemi, lanciati solo in extremis, segna infatti almeno quattro dati molto importanti. Il primo è la ripresa dell’iniziativa politica da parte di Bersani, dopo che nelle ultime ore il segretario democratico sembrava essere in balia degli eventi, incapace di imporre una sua strategia. Il leader del Pd ha dimostrato infatti di saper sorprendere e innovare, ma soprattutto è riuscito a rigettare la palla delle contraddizioni nel campo del M5S, riaccendendo qualche labile speranza di una futura collaborazione governativa.
Il secondo elemento fondamentale che emerge oggi è infatti proprio la spaccatura piuttosto evidente e sorprendente che ha segnato il primo appuntamento del Movimento 5 Stelle con una votazione delicata. L’ex procuratore nazionale antimafia è diventato presidente del Senato con 137 voti validi: 20 voti in più di Schifani, che ne ha presi 117, ma soprattutto almeno 12 in più di quelli che gli garantiva il pacchetto Pd-Sel. Consensi arrivati almeno in parte dal M5S che solo dopo una tormentata riunione aveva confermato la sua equidistanza tra i due candidati. Decisione fortemente contestata dal gruppo, ma anche dalla rete, dove la possibilità che l’astensione del movimento potesse permettere la conferma di Schifani ha fatto scattare un’autentica rivolta.
Circostanza poi scongiurata, ma solo perché dopo mille tormenti anche Scelta civica ha optato per la scheda bianca. Scelta - e siamo alla terza novità della giornata - che per i mille malumori in cui è maturata segnala anche la fragilità e scarsa compattezza della compagine raccolta attorno a Monti. La decisione di astenersi sembra infatti essere stata presa più che per convinzione (come nel caso dell’ortodossia M5S), per necessità di non mostrarsi subito spaccati tra i fautori del voto a Grasso e quelli del voto a Schifani.
Un terzo elemento, l’astensione di Scelta civica, che introduce la quarta e forse più importante delle novità odierne. L’esito delle votazioni per le cariche istituzionali, con il muro contro contro muro, sembra infatti far suonare la campana a morto per qualsiasi ipotesi di grande coalizione o di collaborazione tra Pd e Pdl, lasciando ai montiani, reduci anche dallo schiaffo ricevuto ieri da Napolitano, un ruolo sempre più marginale. Non c’è dubbio insomma che dopo l’elezione di Grasso e Boldrini, nel caso tutt’ora probabile che i tentativi di dialogo di Bersani con il M5S dovessero fallire, gli spazi di manovra per il presidente Napolitano sono sempre più stretti e l’eventualità di un rapido ritorno alle urne (a giugno o più realisticamente ad ottobre) resta sempre più dietro l’angolo.
(16 marzo 2013)

VOTO ALLA CAMERA - REPUBBLICA.IT
ROMA - Tanti eletti alla prima esperienza politica, tante donne, tanti giovani. Ma gli elementi di rottura con il passato riservati dal nuovo Parlamento non sono finiti qui. Anche l’elezione a sorpresa alla presidenza della Camera di Laura Boldrini, candidata nelle liste di Sel ed ex portavoce dell’Agenzia Onu per i rifugiati politici, ribalta tutte le previsioni della vigilia e segnala un forte cambiamento.
La notte forse porta davvero consiglio, e quando tutti davano ormai per scontata una soluzione nel solco della "vecchia politica", con il Pd deciso dall’incomunicabilità con le altre forze politiche ad eleggere il suo capogruppo a Montecitorio Dario Franceschini, ecco che dal cilindro dei democratici è uscita fuori la proposta in grado di sparigliare una partita apparentemente bloccata. La candidatura della Boldrini alla guida della Camera nel corso della quarta e decisiva elezione è stata lanciata infatti in tandem con quella di Piero Grasso per la presidenza del Senato alla terza votazione.
Una mossa inaspettata, che ridà fiato e credibilità tanto al Pd quanto al progetto di convergenza con il Movimento 5 Stelle coltivato con caparbietà da Pierluigi Bersani. Da un lato la Boldrini, per il suo passato, il suo essere donna, la sua età e soprattutto per le sue esperienze professionali, rappresenta senz’altro un elemento di rottura che difficilmente può essere ignorato da chi chiede un rinnovamento all’interno dello stesso Partito democratico, ma soprattutto dai 5 Stelle. A Montecitorio centrodestra e montiani, sapendo di non avere i numeri, sono andati avanti con le schiede bianche, mentre il M5S ha continuato a votare per il suo Roberto Fico. Alla fine il conteggio parla di 327 voti a Laura Boldrini, 108 a Fico, 18. voti dispersi, 10 nulle e 155 bianche.
Ma è difficile che il M5S possa far finta di non cogliere il segnale arrivato dal Pd. Ancora più complicato sarà oggi pomeriggio per il Movimento porre sullo stesso piano al Senato la candidatura dell’ex procuratore nazionale antimafia Piero Grasso e quella del presidente uscente Renato Schifani.
Del resto a dare il segno tangibile della svolta è stato anche il discorso d’insediamento pronunciato dalla Boldrini, con richiami agli "ultimi", agli "esodati", all’antifascismo, ai detenuti e alla necessità di porre fine alla violenza sulle donne. "Sono sicura che in un momento così dificile per il Paese insieme riusciremo ad affrontare l’impegno straordinario di rappresentare nel migliore dei modi le istituzioni repubblicane", ha detto riconoscendo al presidente uscente Gianfranco Fini di aver "svolto con responsabilità la sua funzione istituzionale".
"Arrivo a questo incarico dopo aver trascorso tanti anni a difendere e rappresentare i diritti degli ultimi, in Italia come in molte periferie del mondo. Un’esperienza che mi accompagnerà sempre e che da oggi metto al servizio di questa Camera", ha aggiunto. "Farò in modo - ha promesso ancora - che questa istituzione sia anche un luogo di cittadinanza di chi ha più bisogno". "Il mio pensiero va a chi ha perduto certezze e speranze", ha proseguito, per "dare piena dignità a ogni diritto", per "ingaggiare una battaglia vera contro la povertà e non contro i poveri". Perché "in quest’Aula sono stati scritti i principi fondamentali della nostra Costituzione, la più bella del mondo" e allora "quest’Aula dovrà ascoltare la sofferenza sociale di una generazione che ha smarrito se stessa, prigioniera della precarietà, costretta spesso a portare i propri talenti lontani dall’Italia".
Parole scandite da un susseguirsi di applausi, diventati un vera e propria, lunga, standing ovation quando la presidente della Camera avverte che "dovremo farci carico dell’umiliazione delle donne che subiscono violenza travestita da amore". "Dovremo stare accanto a chi è caduto senza trovare l’aiuto o la forza per rialzarsi - ha scandito ancora - ai tanti detenuti che oggi vivono in una condizione disumana e degradante, come autorevolmente denunciato dalla Corte europea per i diritti umani".
"Dovremo - ha insistito - dare strumenti a chi ha perso il lavoro, o non lo ha mai trovato. A chi rischia di smarrire perfino l’ultimo sollievo della cassa integrazione, ai cosiddetti esodati che nessuno di noi ha dimenticato", così come i "tanti imprenditori che costituiscono una risorsa essenziale per l’economia italiana". "In Parlamento sono stati scritti questi diritti - ha detto ancora - ma costruiti fuori da qui, liberando l’Italia e gli italiani dal fascismo". Ricorda anche "i morti per mano mafiosa", saluta la manifestazione a Firenze di don Ciotti, e rileva subito dopo che "molto dobbiamo anche al sacrificio di Aldo Moro e della sua scorta". "Questo è un Parlamento largamente rinnovato, scrolliamoci di dosso ogni indugio nel dare piena dignità alla nostra istituzione che saprà riprendersi la centralità e la responsabilità del proprio ruolo. Facciamo di questa Camera la casa della buona politica", è stata infine l’esortazione programmatica.

BIOGRAFIA BOLDRINI
ROMA - Dall’impegno per i rifugiati, iniziato tanti anni in prima fila in Venezuela accanto ai campesinos lavorando in una azienda di produzione del riso, alla Camera dei deputati e alla sua presidenza. Il percorso di Laura Boldrini, eletta nelle liste di Sel nella circoscrizione Sicilia 2, è fatto di viaggi e dedizione per i profughi che l’ha portata a diventare portavoce dell’Unhcr, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, organismo dell’Onu che conta 50 milioni di assistiti. Da tempo Boldrini collabora con repubblica.it su tutti i temi che riguardano la cooperazione. Nominata nel 2009 ’Italiano dell’anno da Famiglia Cristiana "per il costante impegno, svolto con umanità ed equilibrio, a favore di migranti, rifugiati e richiedenti asilo", la Boldrini - a chi le chiedeva tempo fa di raccontare la sua storia - rispondeva che per prima cosa occorre conoscere le lingue, e per seconda cosa conoscere i meccanismi dell’informazione da dentro.

IL BLOG DI LAURA BOLDRINI - Il suo diario per repubblica.it

Con una motivazione forte: "credere che si può dare un contributo anche se non si può rivoluzionare il mondo", secondo il suo slogan. L’impegno della Boldrini, approdata a Montecitorio tra le file di quella squadra di sette persone che rappresentano il ’no profit’, inizia subito dopo la maturità quando va a lavorare in una risaia del Venezuela, prima di intraprendere un lungo viaggio in tutto il Centroamerica. E, dopo la laurea a Roma in legge ed una breve esperienza in Rai, nel 1989 comincia la sua carriera all’Onu, lavorando per quattro anni alla Fao. Dal 1993 al 1998 si occupa del Programma alimentare mondiale (Pam) come portavoce per l’Italia, compiendo molte missioni in aree di crisi, tra cui Jugoslavia, Georgia, Iraq e Afghanistan.

IL VIDEORITRATTO
VIDEO La commozione di Vendola - Giannini: "La Sinistra e il coraggio di cambiare"
FOTO

L’approdo all’Alto commissariato per i rifugiati è nel 1998 e dura fino al 2012. Anni in cui riceve anche tanti riconoscimenti: dalla Medaglia ufficiale della commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna (1999), al titolo di Cavaliere ordine al merito della Repubblica italiana (2004), al Premio Consorte del Presidente delle Repubblica (2006). Ultimo, ma soltanto in ordine di tempo, anche il premio ’Italiano dell’annò, ricevuto dal settimanale Famiglia Cristiana nel 2009.

(16 marzo 2013)

LA SPACCATURA DEL MOVIMENTO 5 STELLE
Dopo l’elezione di Pietro Grasso restano in silenzio. Nessun applauso. Poi qualche breve scambio di battute con il "vicino di banco". Quella dei senatori grillini a Palazzo Madama è stata una giornata lunga. Scandita, come mai prima, da discussioni, spaccature. Da una crepa che ha innescato nel MoVimento un confronto duro, serrato. Al centro, la scelta di non sostenere il senatore del Pd alla presidenza del Senato. Una scelta che per qualcuno è stata in linea con l’impostazione del MoVimento. Per altri, "un errore" che va contro i valori dei Cinque Stelle. E, alla fine, tra i senatori di Grillo non manca chi va contro l’ordine di scuderia, e vota l’ex procuratore antimafia. Alla fine Vito Crimi ammette: "Abbiamo mantenuto la linea, per alcuni c’è stato un voto secondo coscienza".

Tutto inizia con la riunione del pomeriggio. E’ lo stesso Luis Alberto Orellana, senatore, che ammette: "Non c’è stata unanimità per decidere se votare Piero Grasso o mantenere la linea tenuta fino ad ora". Una riunione turbolenta. Da cui provengono "applausi, ma anche urla e rumori". E pugni sul tavolo: gesti che scalfiscono il monolitismo del MoVimento. Poco prima della fine della riunione, Rosario Petrocelli, eletto in Basilicata, abbandona l’incontro scuro in volto, senza rilasciare nessuna dichiarazione alla stampa. Ancora: qualche senatore uscendo, scuote ancora la testa e contesta la decisione. Lo scambio di battute dei senatori grillini, è rivelatorio: "Dai non te la prendere, non siamo un partito". La reazione di una collega: "Insomma, pensavo fossimo cresciuti un po’".

E anche la prossemica è rivelatoria. Si passa dal blocco compatto ai capannelli. Come quello che si riunisce proprio intorno a Orelliana durante lo spoglio: diversi senatori parlano in gruppo, in piedi in varie zone dell’emiciclo. Poi le indiscrezioni sulla decisione presa: per alzata di mano si sceglie di non votare Pietro Grasso. E non mancano le indiscrezioni: "Se vince Schifani quando torniamo a casa a noi siciliani ci fanno un mazzo tanto...". E’ quanto avrebbe detto un senatore siciliano durante la riunione dei grillini. Poi l’ammissione: "Molti di noi hanno detto che voteranno Grasso".

Le auto-analisi a caldo sono numerose: "La democrazia partecipata è una fatica. Certo, è stato stressante". Queste le parole di Bartolomeo Pepe, senatore campano del Movimento 5 stelle. E lo stesso Pepe, poi pubblica su Facebook un post inequivocabile. "Amici: Libertà di voto. Senza contrattazioni e senza trucchi. Borsellino ci chiede un gesto di responsabilità e noi non siamo irresponsabili".

Proprio in rete si gioca per i grillini un’altra partita. Forse quella più importante per la loro ragione sociale. Su Twitter nasce un hashtag, #M5SpiùL che fa il verso al modo con cui Grillo chiama il Pd (PdmenoL). In definitiva, due le cose che vengono rimproverate ai senatori 5 Stelle: la mancanza di diretta streaming della loro riunione per decidere l’atteggiamento da tenere al ballottaggio, e la stessa indecisione di fronte alla scelta tra Schifani e Grasso. ’’Uno è l’ex procuratore nazionale antimafia l’altro accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Scelta difficile, Beppe’’. Ancora: "Oggi al Senato i grillini ci mostreranno il lato oscuro delle stelle".


(16 marzo 2013)

LO SCHIAFFO DI NAPOLITANO A MONTI
SI SONO infrante contro l’argine del Quirinale le ambizioni di Monti di diventare oggi il presidente del Senato. Niente da fare. Quello tra il capo del governo e Napolitano è un confronto teso, un botta e risposta che si prolunga per quasi un’ora. Il pomo della discordia sono le dimissioni di Monti da palazzo Chigi, necessarie per essere eletto come successore di Schifani.

"Se lei proprio adesso si dimette da presidente del Consiglio - obietta a Monti il capo dello Stato - rischiamo di dare un colpo drammatico all’immagine dell’Italia. In questo momento, il nostro paese è legato al suo governo, quindi lei è insostituibile". Il presidente del Consiglio tiene il punto e replica: "Dopo l’ultimo Consiglio europeo ho concluso la mia missione, non devo per forza restare a Palazzo Chigi a fare il parafulmine per gli altri". Ma anche Napolitano è un osso duro. Il presidente della Repubblica esprime senza diplomazia tutti i sui dubbi, le riserve di natura giuridica e istituzionale sul cambio di maglietta in corsa del premier. Monti non si dà per vinto, anzi prospetta, con accanto il sottosegretario Antonio Catricalà la soluzione per uscire dall’impasse. "Sono pronto a convocare già questa sera un consiglio dei ministri straordinario, nominare un vicepresidente vicario e lasciare nelle sue mani l’interim della presidenza". Il nome che circola è quello del ministro Cancellieri, ma è un dettaglio. Anche perché Napolitano giudica subito un’ipotesi di questo tipo "senza precedenti", obietta che l’interim può scattare solo in caso di gravi impedimenti del premier, e in ogni caso non per un mese, perché almeno tanto ci vorrebbe per arrivare ad un nuovo governo.

Monti tira fuori dal dossier giuridico che si è portato dietro un precedente che è andato a ripescare: D’Alema vice presidente del Consiglio del governo Prodi, che con il premier di allora all’estero firma alcuni decreti, "e lei che era al Quirinale se lo dovrebbe ricordare - aggiunge poi rivolto a Napolitano - perché non trovò la scelta scorretta". Ma, accanto al confronto procedurale, c’è la questione politica. Chiede Napolitano a Monti: "Ma potrebbe garantirmi che le forze politiche che appoggiano questa sua operazione per il Senato, poi faranno lo stesso per la maggioranza di governo?". È un’obiezione gigantesca, perché Monti questa garanzia al momento non può darla. "Questo sarebbe lo schema D’Alema", replica amareggiato. Insomma, non riesce a convincere il capo dello Stato, che lo congeda così: "Io stesso sarei anche disposto a votarla come presidente della Repubblica, ma le sue chance così si stanno esaurendo".

Dunque è di nuovo tutto azzerato. E così anche i rapporti tra Pd e Scelta Civica si raffreddano, nonostante un redivivo Casini faccia di tutto per tenere i fili. L’operazione Monti al Senato parte in gran segreto già giovedì sera, quando viene comunicata al vertice del Pd. "Per noi va bene", risponde Bersani, "ma con Napolitano ci deve parlare Monti". Nella testa del premier quello a palazzo Madama è soltanto un passaggio. A rivelare quale dovrebbe essere lo step successivo è Andrea Olivero, che alza il velo sul progetto parlando ieri mattina all’assemblea dei parlamentari di Scelta Civica: "L’elezione di Monti al Senato è il passaggio verso il Quirinale". Per i montiani tutto si tiene: il Professore che trasloca al Quirinale, Franceschini che diventa presidente della Camera e, a palazzo Madama, tra un mese arriva Renato Schifani. Monti, raccontano, è motivatissimo. Già si vede come successore di Napolitano.

Ma tutto s’incaglia sull’obiezione costituzionale del Quirinale. Ora tutto torna il alto mare. Nel Pd sono pronti a prendersi entrambe le Camere, mentre Bersani andrebbe a palazzo Chigi con un governo di minoranza. E la maggioranza a palazzo Madama? Un aiuto potrebbe arrivare dai 17 senatori del Carroccio. Un sospetto sul dialogo Pd-Lega è venuto a Umberto Bossi, che ieri non a caso ha attaccato duramente Bobo Maroni. Anche Augusto Minzolini, neo senatore del Pdl, da animale parlamentare ha fiutato qualcosa e in serata ha twittato un altolà preventivo: "La Lega l’ultimo anno ne ha sbagliate molte. Se pensa di governare con Pd-Monti contando su maggioranza di 2 voti a Senato è da ricovero".

(16 marzo 2013)