M. Antonietta Calabrò, Corriere della Sera 16/03/2013, 16 marzo 2013
«MIO FRATELLO MENTI’ A RATZINGER». IL CASO DELLA LETTERA CHE APRI’ VATILEAKS
Un gesuita biblista aiuterà Papa Francesco, il primo papa gesuita, a dipanare la matassa di Vatileaks. Si tratta di Lorenzo Viganò, fratello maggiore (di due anni) del più noto monsignor Carlo Maria Viganò, attuale nunzio a Washington, ex numero due del Governatorato, le cui lettere di protesta a Benedetto XVI finite sui media hanno dato la stura al caso del Corvo. E che hanno fatto di Carlo Maria un eroe della trasparenza.
Dietro le quinte dello scandalo che ha flagellato il Vaticano per oltre un anno c’è infatti anche una storia di famiglia e di tre preti. Lorenzo, appunto, uno studioso di scienze bibliche (ha insegnato all’Istitutum Biblicum Franciscanum di Gerusalemme la lingua dell’antica città siriana di Ugarit, e, successivamente, l’ugaritico e l’eblaita all’ Istituto Biblico di Roma, poi è stato ricercatore all’Oriental Institute dell’Università di Chicago, fino al 2008). Il vescovo è Carlo Maria Viganò. E il nipote di entrambi i Viganò, Carlo Maria Polvani, monsignore di Curia, è responsabile dei media della Segreteria di Stato, citato come testimone dal Tribunale vaticano nel processo al Corvo, in relazione all’imputato, giudicato per favoreggiamento, Claudio Sciarpelletti, di cui monsignor Polvani è capoufficio. Questa storia è affiorata nei giorni di preconclave, in quanto dimostrerebbe che la Curia romana è stata essa stessa vittima di intrighi. Essa costituisce inoltre — così si dice — oggetto di una parte della «Relatio» dei tre Cardinali inquirenti sul caso Vatileaks, Herranz, Tomko e De Giorgi, il cui documento finale è stato sigillato da Papa Ratzinger e sarà consegnato al suo successore, Papa Bergoglio.
È una storia di soldi, di molti soldi, svariati milioni di euro (c’è chi parla di almeno un paio di decine, con molta liquidità in Svizzera). Soldi ereditati dai fratelli Viganò (con Lorenzo e Carlo Maria, Giovanna e altri tre fratelli viventi e gli eredi di un quarto) e gestiti sempre «pro indiviso» dal vescovo Carlo Maria. «Mio fratello voleva indurmi a fare testamento a favore di mio nipote monsignor Polvani», dice Lorenzo, anche «se altre volte voleva intestare tutto ad una società perché, sosteneva, "se divento cardinale non sta bene che si sappia che abbiamo tutti questi soldi"». Affari di famiglia, si dirà.
Se non fosse che Lorenzo Viganò è stato tirato in ballo direttamente dal fratello vescovo nella lettera in cui il presule chiedeva al Papa di rimanere in Vaticano, proseguendo il suo cursus honorum che lo avrebbe visto diventare presidente del Governatorato e per ciò stesso cardinale. Una lettera di protesta per il trasferimento a Washington che invece era stato deciso nei suoi confronti dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone, dal momento che l’esito di un’indagine interna al Vaticano aveva dimostrato che le accuse di diffusa corruzione presentate da Carlo Maria si erano dimostrate senza solido fondamento. Viganò per resistere al trasferimento, si appellò direttamente al Papa e addusse come impedimento la necessaria, doverosa e diretta assistenza in cui era impegnato nei confronti del suo fratello gravemente infermo e praticamente incapace di intendere e di volere. Il 7 luglio 2011, l’attuale nunzio scrisse a Papa Ratzinger: «Mi angustia poi il fatto che, dovendo purtroppo prendermi cura personalmente di un mio fratello sacerdote più anziano rimasto gravemente offeso da un ictus che lo sta progressivamente debilitando anche mentalmente io debba partire anche ora, quando ormai intravvedevo di poter risolvere in pochi mesi questo problema famigliare che tanto mi preoccupa». In realtà le indagini e la testimonianza diretta di Lorenzo Viganò supportata da documenti di attività accademica, contratti d’affitto, utenze e quant’altro, mostrano una situazione completamente diversa. Lorenzo sostiene senza mezzi termini che suo fratello «ha scritto il falso al Papa» dal momento che lui vive da decenni a Chicago in assoluta autonomia e non è mai stato accudito dal fratello con il quale per di più — alla data della lettera — aveva del tutto interrotto i rapporti da più di due anni, cioè dal gennaio 2009. «Nel 1996 — ci spiega — ho subito un ictus, ma a distanza di poco tempo sono tornato indipendente e anche se con qualche difficoltà legata al fisico (un’emiparesi sinistra) sono tornato alla mia solita vita e ai miei studi a Chicago».
«È un fatto certo che quando Carlo Maria ha scritto la lettera al Papa nel luglio del 2011, lui non solo non si occupava di me "personalmente" — continua — ma i nostri rapporti si erano già interrotti da tempo (inizio 2009) a seguito dell’acuirsi di tensioni tra noi a motivo della nostra eredità che sono sfociate addirittura in una causa civile da me intentata nel 2010 contro di lui presso il Tribunale di Milano, perché c’erano molte cose che al riguardo non mi convincevano». Lorenzo aggiunge: «Trovo gravissimo che Carlo Maria abbia scritto il falso al Papa, strumentalizzandomi per fini personali: io non sono mai stato a Roma lì con lui, salvo che per tre mesi, ben tredici anni prima, nel 1998». Insomma, il documento centrale di Vatileaks contiene, secondo un diretto protagonista, un clamoroso falso.
M.Antonietta Calabrò