Fabrizio Caccia, Corriere della Sera 16/03/2013, 16 marzo 2013
QUELL’«ULTIMA CENA» DELL’EX SENATORE PD PER SALUTARE I TRE FIGLI —
QUELL’«ULTIMA CENA» DELL’EX SENATORE PD PER SALUTARE I TRE FIGLI — Giovedì sera, davanti ai tre figli, lui ha provato a scherzare: «Siamo qui per l’ultima cena». Via Calefati, centro di Bari, la casa al terzo piano dell’ormai ex senatore, ex pd, Alberto Tedesco, 64 anni, da ieri mattina agli arresti domiciliari. Poi però ha aggiunto: «Speriamo di no…». E una lacrima gli è spuntata solo alla fine, quando ha chiuso la porta dietro di sé dopo aver salutato uno ad uno Cristina, Carlo e Giuseppe e i 5 carissimi nipotini, che fino a nuova disposizione del giudice non potrà più vedere («È questa, per me, la più grande e unica privazione», si sfoga).
Insediato il nuovo Parlamento e scaduto il mandato di senatore, Tedesco ora non ha più l’immunità: 4 inchieste pendevano su di lui insieme a 2 ordinanze di custodia cautelare, del Gip e del Riesame, tutte sempre per lo stesso motivo, la presunta Sanitopoli pugliese, appalti e nomine di primari ospedalieri pilotati da un comitato d’affari, ai vertici del quale, secondo i pm di Bari, c’era proprio Tedesco negli anni in cui, dal 2007 al 2009, ricoprì la carica di assessore alla Sanità regionale. Accuse pesanti: concussione, corruzione, falso, turbativa d’asta e infine l’ipotesi più grave, associazione per delinquere, il presunto comitato d’affari appunto, lui e altre 18 persone, tra cui l’ex direttore generale della Asl barese, Lea Cosentino, già rinviati a giudizio il 4 febbraio scorso e per i quali il processo comincerà il 6 maggio. Già due volte, nel luglio 2011 e nel febbraio 2012, Tedesco in Aula aveva evitato l’arresto, grazie al voto dei colleghi di Palazzo Madama: Pdl, Lega, ma non solo. Nella prima occasione, luglio 2011, malgrado la linea dettata dal suo partito, favorevole all’autorizzazione a procedere, arrivarono a sorpresa i voti decisivi di qualche dissidente e Tedesco potè sospirare di sollievo.
L’ex senatore, poi passato al Misto, resta convinto di una cosa: «È una barbarie contro di me, potevo ricandidarmi anche quest’anno e, in caso di elezione, riottenere l’immunità. Ma non l’ho fatto, proprio perché credo nella giustizia», ha più volte ripetuto il concetto, anche ieri, a sua moglie, Maria Cattaneo, l’unica autorizzata a parlargli e all’avvocato, Rosita Petrelli, che ha preso con lui un lungo caffè dopo pranzo. «Meglio a casa che in carcere, questo è chiaro — ragiona lui —. Ma io sono innocente, la mia vicenda è kafkiana, nel mio caso non c’è l’ombra di una tangente, solo il teorema di un sistema di potere che avrei creato». La cosa che lo fa più arrabbiare, però, è contenuta nel provvedimento dei giudici che ieri mattina alle 7 i carabinieri gli sono andati a consegnare: «C’è scritto che potrei ancora inquinare le prove e reiterare il reato. Ma come potrei, se non sono più assessore e ora neanche più senatore?», manda a dire tramite il legale. La prossima settimana è atteso dall’interrogatorio di garanzia davanti al Gip barese Antonio Diella: «Parlerò, dirò tutto, perché non ho niente da nascondere». Una stanza dell’appartamento l’ha riempita di faldoni processuali. La sua prima giornata da cittadino qualunque l’ha passata proprio lì dentro, a leggere le carte. «Auguro a Tedesco di poter dimostrare in dibattimento la sua estraneità», ha commentato in serata Nichi Vendola, il governatore della Puglia, anche lui lambito dai sospetti di Sanitopoli e per il quale la Procura ha impugnato ieri la sentenza d’assoluzione.
Fabrizio Caccia