Aldo Grasso, Sette 15/3/2013, 15 marzo 2013
CON LA7 IO SPERIAMO CHE ME LA CAVO
Confesso, sono di parte. Parlare di Urbano Cairo per me significa parlare prima del Torino. Il mio umore nei confronti del presidente varia a seconda delle prestazioni della squadra. Nel 2005 Urbano Papa era l’uomo che avrebbe dovuto riportare il Toro ai grandi fasti del passato e che, comunque, aveva salvato il club da una probabile fine, quando era in mano ai lodisti e all’importatore di infermiere Giovannone. Quando il Toro è finito in Serie B per me è diventato la “Cairese”, una società che ha sede a Milano, in corso Magenta (sede della Cairo Communication) e Urbano è soltanto uno che allunga la lista dei presidenti “non da Toro” (Goveani, Calleri, Vidulich, Aghemo, Ciminelli). Quest’anno ce la stiamo cavando, nulla di più, in certe partite mostriamo pure di avere un gioco, Angelo Ogbonna è stato convocato in Nazionale e al Festival di Sanremo e Giampiero Ventura ci assicura la necessaria tranquillità. Letta la notizia dell’acquisto de La7, il mio stato d’animo nei confronti di Cairo è moderatamente positivo.
Dopo mesi di trattative e offerte lunedì 4 marzo è stato raggiunto l’accordo per la cessione di La7, la televisione di Telecom Italia, alla Cairo Communication. L’accordo raggiunto tra Telecom Italia media e Cairo per la compravendita di La7 prevede il riconoscimento a Telecom Italia Media «di un corrispettivo pari a 1 milione di euro». Lo si legge in una nota, in cui la società controllata da Telecom conferma il via libera alla vendita del 100% della televisione. Prima del trasferimento della partecipazione, La7 sarà ricapitalizzata «per un importo tale per cui la società avrà, a quella data, una posizione finanziaria netta positiva non inferiore a 88 milioni di euro». La prima reazione di Cairo è stata questa: «Ho preso una patata bollente».
Sconcerto e smarrimento. La patata si raffredderà in men che non si dica. Nel mondo della televisione vige questa legge: quando un politico o un amministrativo viene messo a capo di un’azienda televisiva (è successo in Rai, è successo a La7), la sua prima reazione è di sconcerto, se non di smarrimento. Chiede consigli, convoca esperti, pende dalle labbra degli altri. Passati tre mesi il giochino si fa per lui irresistibile e, se per caso ti incontra, ti spiega per filo e per segno come funziona la televisione.
Questo vuol dire che Cairo in prima persona si occuperà de La7. Già me lo vedo trattare con quegli interisti di Enrico Mentana e Gad Lerner, o con quella supercigliosa di Lilli Gruber (che ora non godrà più della stima diretta di Franco Bernabè) o con la diversamente alla mano Daria Bignardi. Cairo controllerà i programmi, i palinsesti e, come un giorno Enzo Biagi ebbe a dire di Silvio Berlusconi, se solo avesse anche le tette farebbe pure la valletta. Con uno che è abituato a trattare con Sandro Mayer o Silvana Giacobini dev’essere interessante confrontarsi con il mondo di Enrico o di Daria.
Questo vuol dire che si occuperà molto meno del Toro. Da anni gli mando a dire che dovrebbe affidare la società a uno come Renato Zaccarelli, che è anche meglio di Adriano Galliani, visto che il suo universo di riferimento è sempre quello. Ma lui niente, da quell’orecchio non ci sente.
Già, ma chi è Urbano Cairo? Chi c’è dietro questo personaggio che la domenica non disdegna mai di presentarsi sorridente ai microfoni di Ilaria D’Amico?
Le analogie con Berlusconi non si contano per questo milanese (21 maggio 1957) di origini mandrogne, cioè alessandrine, cresciuto ad Abazia di Masio.
Dopo la laurea alla Bocconi, si mette in testa stravaganti ma innovative idee che vorrebbe vedere realizzate: l’interconnessione e l’informazione. Così il neolaureato decide di telefonare all’Edilnord (ricorda persino il numero del centralino: 8880) per parlare col Berlusconi in persona. Ovviamente gli passano la segretaria, ma lui precisa che vuol parlare personalmente col presidente.
Dopo due insistenti telefonate, ottiene un appuntamento con Marcello Dell’Utri prima e Berlusconi dopo. La sua insistenza viene premiata e comincia a lavorare nell’immediato come assistente di Berlusconi presso il gruppo Fininvest. Per questo, da allora, lo chiamano Berluschino.
Seguono poi diversi incarichi sempre di maggior rilievo: direttore commerciale e vice direttore generale presso Publitalia ’80, amministratore delegato presso la Mondadori pubblicità dal 1991 al 1995.
Un’aneddotica mai smentita racconta che un giorno del 1982 Cairo va a trovare Edilio Rusconi nei suoi uffici di via Vitruvio, a Milano. La Fininvest, con Canale 5, sta vendendo gli spot a prezzi stracciati e Rusconi, proprietario di Italia 1, non riesce più a sostenere la corsa al ribasso. Urbano ed Edilio discutono fino a sera e trovano un accordo. Rusconi, tranquillizzato, va a godersi il meritato riposo. Cairo invece convoca tutti i venditori di Publitalia per sguinzagliarli in una svendita di spot a prezzi stracciati. È un weekend di fuoco, ma alla fine l’intera stagione di Canale 5 viene piazzata. Quando Rusconi torna in ufficio, il lunedì, capisce che Italia 1 sta per cambiare proprietario.
Non sono un berluschino. Intervistato da Antonello Caporale per Il fatto quotidiano Cairo si lamenta: «Mi infastidisce quando leggo che sono l’amico di B., il “Berluschino” che tira via La7 alla democrazia per riporla nelle mani del tycoon onnivoro… Io con Berlusconi ho chiuso nel 1995, non l’anno scorso. Sono stato il suo assistente è vero e ho riconoscenza per l’uomo. Lei mi dice: portava a spasso la signora Veronica, le faceva finanche da autista. Ma ha idea di quanti anni sono passati? E ha idea di cosa è successo dopo? Poi le ricordo che sono stato licenziato da Mondadori (da Tatò più che da Dell’Utri). Licenziato. Mi trovi un intimo di B. che abbia subito eguale trattamento. E me ne trovi un altro che, da licenziato, si rimbocca le maniche e si mette a costruire da zero la sua impresa multimediale: vendo pubblicità su ogni mezzo di comunicazione, sono editore di un numero elevato di periodici, da quelli più pop a marchi prestigiosi, sono presidente di una squadra di calcio. Mi si accusa che così sembro proprio un piccolo B.? Non posso vietare che anche lei lo pensi, affari suoi. Però è falso. Amo la televisione e ancor di più i giornali. Anzi, a dirla tutta mi sarebbe piaciuto fondare un quotidiano. Non ho trovato il giornalista giusto, poi la crisi economica si è messa di mezzo e mi sono arreso all’evidenza».
Quotato in Borsa. In proprio dal 1995, dirige un gruppo che opera nella raccolta della pubblicità e nell’editoria. La Cairo Communication, società capogruppo quotata in Borsa, controlla Cairo Editore (periodici e libri), Editoriale Giorgio Mondadori, Cairo Pubblicità, Cairo Directory, Cairo Web, Cairo Sport. Ha aggiunto alle testate storiche della Giorgio Mondadori (Airone, Bell’Italia ecc.) nuovi magazine popolari che sono andati all’attacco delle corazzate del settore: DiPiù e DiPiù Tv, ancora dirette da Mayer (strappato alla Rusconi dove dirigeva Gente), e il mitico Diva e donna. È di quelli il cui pensiero supera sempre l’azione: «All’autista chiedo di seguirmi, e mentre cammino la mia mente è al lavoro. Se non cammino non penso, se non penso non costruisco. Più dei soldi mi sazia l’ambizione del progetto: vedere cosa ho fatto e cosa riesco ancora a fare».
Anche nella tarda estate del 2005 camminava davanti al suo autista quando decise di buttarsi nel mondo del calcio. Cairo ha preso il Toro a costo zero (è una sua caratteristica che, di fatto, ripeterà anche con La7), dopo il fallimento di Franco Cimminelli, il presidente che tifava Juve. Un bel colpo a detta di tutti. Peccato che quella squadra avesse un capitale giocatori che il Toro non ha mai più avuto. Alcuni nomi? Marchetti, Sorrentino, Comotto, Mantovani, Balzaretti, Quagliarella, Pinga, Acquafresca, Mudingay… Appena insediato a Torino ha cominciato a promettere mari e monti, potendo contare su un entusiasmo che solo i tifosi del Toro sanno regalare, tutte le volte che escono da una disgrazia ferale. «Mi sun nen an cuntabale» (non sono un cacciaballe), aveva detto Cairo attraverso uno striscione esposto davanti alla Curva Maratona, a pochi giorni dal suo insediamento. Di promesse ne ha fatte tante, poche quelle mantenute. Non un progetto, non una programmazione, non una pianificazione. Allenatori e dirigenti presi, lasciati, ripresi in un “anda e rianda” spesso demenziale. Adesso si è calmato e i risultati si vedono.
In tv con la maglia granata. Claudio Sabelli Fioretti nel dicembre 2005 lo intervista per il Magazine del Corriere: «Lei come si pone nei confronti dell’adulazione? “L’adulazione servile mi dà fastidio. Ma se è fatta con un po’ di ironia, mi fa piacere”. I suoi difetti. “Sono impaziente e disordinato”. L’errore della sua vita. “Dovevo cominciare a fare l’imprenditore cinque anni prima”. La televisione che non le piace. “Quella urlata. Quella delle liti. Quella della violenza”».
A La7 sono avvertiti. Quanto a noi del Toro, che non amiamo l’adulazione, ci basta che le star dell’emittente indossino una maglia granata. Vedere Mentana e Lerner, coi rispettivi figli, al Comunale urlare contro i pigiama dev’essere comunque un bel programma. Da mandare in onda.