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 2013  marzo 15 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - SI APRE IL PARLAMENTO


CORRIERE.IT
Sono andate a vuoto le prime due votazioni al Senato per eleggere il presidente. La prima votazione si è conclusa con 246 schede bianche: nessun candidato ha raggiunto la maggioranza assoluta (161) necessaria per aggiudicarsi la poltrona di seconda carica dello Stato. I presenti e votanti sono stati 313 senatori. Orellana ha raccolto 52 voti, Sibilia 4, Mussolini 3, Compagna 2, Colombo 1, Scilipoti 1. Le schede nulle sono state 4. Anche la seconda votazione per il presidente del Senato non ha incoronato nessuno. Le schede bianche sono ormai più della maggioranza assoluta, e l’unica novità che si profila rispetto al primo voto è costituita da una decina di schede a favore di Ignazio Marino.
CAMERA - E c’è stata una doppia fumata nera anche per le prime due votazioni alla Camera. Nella seconda votazione le schede bianche sono state 450 schede. Il più votato è stato Roberto Fico (M5S), che ha incassato 110 voti. Da notare che Fico ha ottenuto un voto in più rispetto alla consistenza numerica del suo gruppo (109). Le schede bianche sono state 450. Alla prima votazione Fico aveva ottenuto 108 voti, mentre le schede bianche erano state 459. Avevano votato 618 deputati, il quorum era di 420.
INIZIO LEGISLATURA -LA XVII legislatura è iniziata ufficialmente oggi: l’apertura della seduta per palazzo Madama è stata alle 11, quella di Montecitorio alle 10.30. Solo il Movimento 5 stelle ha votato per i suoi candidati (Roberto Fico per la Camera e Luis Alberto Orellana per il Senato), mentre Pd ha deciso di votare scheda bianca in entrambi i voti, come il Pdl: alla base della scelta, fanno sapere da via dell’Umiltà, c’è la speranza che il Pd nelle successive votazioni «metta fine a questa strana rincorsa ai grillini» e accetti un’intesa con il Pdl e i centristi di Scelta Civica (scheda bianca anche per loro, come confermato da Mario Mauro a Radio Uno). Intanto la senatrice del Pd Anna Finocchiaro smentisce su una presunta «intesa» con il partito di Maroni: «Leggo sui quotidiani di un mio "colloquio segreto" con i rappresentanti della Lega su ipotetiche trattative per le Presidenze delle Camere: è una notizia totalmente priva di fondamento».
BERLUSCONI ASSENTE - «Berlusconi? Non credo che oggi verrà, ancora non è al top». L’ha detto il senatore Pdl Maurizio Gasparri, arrivando alla riunione dei gruppi di Camera e Senato convocata a Montecitorio. Berlusconi da qualche settimana soffre di «uveite», un’infiammazione che l’ha colpito costringendolo venerdì al ricovero al San Raffaele e all’impossibilità di presenziare ai processi a suo carico, in corso a Milano. L’ex premier sarà dimesso probabilmente oggi pomeriggio, «non prima delle 17» ha dichiarato il suo medico. La la linea del partito è stata chiarita dal segretario Angelino Alfano: «Siamo disinteressati alle presidenze di Camera e Senato, vogliamo invece un presidente della Repubblica di garanzia, che sia super partes». I gruppi di Camera e Senato del partito hanno deciso poi di rinviare a lunedì l’elezione dei due capigruppo.
GRILLO: «LA STORIA HA INIZIO» - Il Movimento 5 Stelle approda ufficialmente in Parlamento e Beppe Grillo festeggia con un post sul proprio blog dal titolo «M5S in Parlamento: la storia ha inizio». Poi la soddisfazione: «Grazie ai cittadini portavoce del M5S questo Parlamento sarà il più giovane e rosa della Storia repubblicana». Sono i grillini le star della giornata. Primi a entrare a Montecitorio, assediati da giornalisti e fotografi, si sono posizionati tutti nelle ultime file in alto dell’emiciclo, da dove si controlla agevolmente tutta l’aula (collocazione provvisoria, dal momento che l’assegnazione dei posti avverrà soltanto dopo la costituzione dei gruppi parlamentari), comunicando la «conquista» dei posti sui social network. La maggior parte dei deputati uomini, nonostante alla Camera non sia obbligatorio, ha deciso di indossare la cravatta. Nera con su scritto «No carbone» per alcuni di loro. Vito Crimi, capogruppo del Movimento 5 Stelle al Senato, prima di entrare in Aula ha risposto alle domande dei giornalisti: la fiducia al governo Bersani? «Voteremo no», taglia corto Crimi. «Non ci sono altre ipotesi, come l’astensione o il non voto. Votiamo contro». E come voterà il M5S per il ballottaggio sulla presidenza del Senato? «Se non c’è il nostro candidato non abbiamo nessuno da votare», chiude. E in Aula arriva la prima dimissione di una attivista del Movimento, Giovanna Magili, per «ragioni personali».
I PRESIDENTI PROVVISORI - A guidare provvisoriamente la Camera nella prima seduta di oggi è Antonio Leone del Pdl, al Senato c’è invece il senatore a vita Emilio Colombo. Per l’elezione del presidente della Camera servono 420 voti subito, 316 dalla quarta votazione. Per l’elezione della guida del Senato nei primi due scrutini serve la maggioranza assoluta dei voti dei componenti del Senato (161), maggioranza di cui nessuna coalizione dispone a Palazzo Madama. La partita si annuncia dunque lunga e potrebbe finire soltanto sabato, quando non sarà necessaria la maggioranza qualificata dei due terzi.
LEONE: AUGURI AL PAPA E IL RICORDO DI MORO - Il vicepresidente provvisorio della Camera Antonio Leone ha cominciato il proprio discorso con un augurio a Papa Francesco. E dall’Aula di Montecitorio si è alzato l’applauso dei deputati, tutti in piedi. «La sua elezione rappresenta un momento di intensa emozione e di grandi aspettative», ha detto. Leone ha poi rivolto un pensiero al capo dello Stato Giorgio Napolitano e ha concluso il suo discorso ricordando lo statista Dc Aldo Moro, di cui domani ricorre l’anniversario del sequestro (il 16 marzo 1978). Le operazioni di voto sono iniziate attorno a mezzogiorno, con la prima chiama dei deputati.
MINZOLINI E SCILIPOTI TRA I SUBENTRANTI - Emilio Colombo, presidente provvisorio dell’Aula, ha aperto il suo discorso con «un pensiero deferente al presidente della Repubblica, che con tanta saggezza e tanto senso delle istituzioni guida il nostro Paese». Poi sull’Ue: «L’Europa sia aperta e giusta: tenga conto delle esigenze di rigore ma anche quelle di sviluppo». Citato anche al Senato, fra gli applausi generali, il nuovo Pontefice. Sul fronte dei lavori dell’Aula, i senatori del Pdl Domenico Scilipoti e Augusto Minzolini sono subentrati a palazzo Madama dopo le opzioni esercitate dagli eletti in più collegi. La pattuglia più numerosa di subentranti è proprio quella del Pdl, dopo l’opzione esercitata da Silvio Berlusconi che si era presentato in diversi collegi e ha scelto il Molise. Il voto per il presidente è iniziato alle 12 circa ed è terminato dopo un’ora. Assenti i senatori a vita Giulio Andreotti e Carlo Azeglio Ciampi, entrambi a casa per motivi di salute.

CORRIERE.IT
I GRILLINI SI SIEDONO IN ALTO
Sono arrivati a Montecitorio e si sono messi in fila per non perdersi nemmeno un minuto della prima seduta parlamentare. Uomini in cravatta d’ordinanza, donne in tailleur o in pantaloni. Chi si aspettava dai cittadini-senatori del Movimento 5 stelle qualche elemento di stravaganza o di rottura a palazzo Madama è rimasto deluso. L’unico "vezzo" che si sono concessi per la prima seduta della legislatura è la spilletta del M5S al bavero. Alcuni, soprattutto le donne, hanno invece solcato il Transatlantico con il volume del regolamento del Senato sotto braccio. Qualcuno si è presentato in bicicletta. Il tutto mentre Vendola lancia nuovi messaggi all’indirizzo del M5S.«L’auspicio è che si possa determinare una scelta in favore di un candidato del Movimento cinque stelle», dichiara il leader di Sel.
L’HASHTAG #ÈUNPIACERE - Intanto su Twitter Grillo - che ribadisce alla televisione pubblica tedesca il suo no ad accordi con Bersani o Berlusconi - ha lanciato la diretta streaming della seduta con l’hashtag #èunpiacere, subito balzato in testa alla classifica degli argomenti più discussi. E sono tantissimi i messaggi che arrivano anche su Facebook «La storia ha inizio», scrive Grillo sul blog. «Siamo sopra». «Siamo oltre». «Stiamo per aprire la scatoletta di tonno», gli fanno eco i sostenitori, con riferimenti sia alla collocazione fisica alla Camera (i deputati del M5S sono stati posizionati in alto), sia agli slogan lanciati da Grillo in campagna elettorale («apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno», «Ci vediamo in Parlamento, sarà un piacere»). Le senatrici addirittura posano un apriscatole sui banchi di Palazzo Madama, lo fotografano e lo postano su Facebook.
LA CRAVATTA «NO CARBONE» E IL CAPPUCCINO - Il senatore Maurizio Buccarella inizia la giornata con un cappuccino personalizzato (vedi foto a lato), mentre alcuni deputati del M5S hanno deciso di indossare una cravatta nera con la scritta "No carbone". Subito però i commessi li hanno invitati a toglierla perché non si può entrare in aula con messaggi scritti, neanche sugli indumenti. Uno dei Cinque Stelle interpellato in Transatlantico dal cronista, spiega: «Non è una protesta, vogliamo solo testimoniare un altro modello di sviluppo». Qualcuno non si cura del divieto ed esibisce un altro tipo di cravatta, questa volta con la scritta No Tav. Poi c’è chi non trova la strada «Scusi per l’Aula dove devo andare?». Emozionati, spaesati, qualcuno vestito casual con lo zainetto in spalla, altri in giacca e cravatta «per il rispetto nei confronti delle istituzioni e dei cittadini». C’è chi è più spavaldo («siamo venuti a cambiare le istituzioni») ma tutti lasciano trapelare l’emozione.

REPUBBLICA.IT
ALLA BUVETTE E ALLA FONTANELLA - Insomma, alla Camera sono arrivati «i marziani», come li definiscono i parlamentari più esperti. In Transatlantico si muovono insieme: vanno insieme alla buvette per un caffè, entrano in Aula e cercano i posti uno al fianco dell’altro. I deputati di vecchio corso chiedono ai cronisti di indicarli: «Chi sono? Li avete già conosciuti? Che tipi sono?», sono le domande più gettonate. Ma riconoscerli non è difficile: tanti hanno portato tablet e smartphone. E sono giovani. Nel frattempo la capogruppo Roberta Lombardi si è messa in fila per abbeverarsi alla fontanella pubblica di Montecitorio. E per berla evita addirittura di utilizzare i bicchieri che sono impilati accanto alla canna dell’acqua. «Sono bicchieri di plastica, inquinano. Da domani mi porto un bicchiere di quelli da pic nic...» promette.
LE PROTESTE PER GLI SPRECHI - Sempre su Facebook il neoeletto Ferdinando posta la foto dello scontrino del self service di Montecitorio e scrive: «Ieri siamo andati a pranzo alla mensa dei dipendenti di Montecitorio. A parte lo stupore stampato sulle facce degli addetti al lavoro che non potevano credere che noi volessimo mangiare con i comuni mortali... chiedo a chi fa uso di un servizio simile sul proprio posto di lavoro: è un giusto prezzo? Perché se lo è, allora sarà il posto dove consumeremo i nostri pasti». Ma non si parla solo di note di colore. Roberta Lombardi - e con lei molti altri neoeletti - ha sottolineato gli sprechi: «Questa giornata è solo un inutile spreco di denaro pubblico, una giornata assurda» nella quale «si spendono inutilmente 420mila euro».
LE DIMISSIONI DI MANGILI - Una sola nota stona la festa a Cinque Stelle per l’arrivo in Parlamento. La senatrice Giovanna Mangili, eletta in Lombardia, rassegna le dimissioni «per motivi personali». Lo ha annunciato il presidente Emilio Colombo nel corso della seduta inaugurale della XVII legislatura nell’Aula del Senato. Mangili, 45 anni, è sposata e abita a Cesano Maderno, un paese della Brianza. Come si legge nel suo profilo, suo marito, nelle scorse elezioni comunali, è stato eletto consigliere comunale M5S nel paese dove risiede. A sostituire Mangili sarà Tiziana Pittau, libera professionista 45enne. Pittau risulta infatti essere la prima non eletta in Lombardia. I senatori Cinque Stelle assicurano che Mangili resterà nel M5S e che il suo passo indietro non è in alcun modo legato a problemi interni al Movimento ma a questioni prettamente personali.
Marta Serafini

CORRIERE.IT - INTANTO RENZI...
ROMA - Parola di Matteo Renzi prima, durante e dopo la riunione con i «suoi» parlamentari: «Noi non cerchiamo rese dei conti interne, ma non ci si chieda nemmeno di condividere un’impostazione destinata all’insuccesso». Per farla breve, il sindaco di Firenze è già in campagna elettorale, perché non crede che questa legislatura sia destinata a durare molto. «Se la sbrogliassero loro», dice un parlamentare renziano per semplificare il quadro. Il sindaco non si esprime così, ma nell’incontro dice: «Non cogestiamo questa linea e non vogliamo partecipare a logiche di potere interne». Insomma, ripete il primo cittadino rottamatore, «niente tatticismi», perché «non vogliamo parlare di presidenze, vogliamo parlare alla gente, vogliamo parlare agli italiani dei problemi che hanno».
Per la verità Renzi vorrebbe parlare pure dei tanti giovani parlamentari, suoi ma anche bersaniani, che il Pd ha portato alla Camera e al Senato. «E invece - confessa amareggiato a un amico - si finisce per discutere solo dei grillini perché il Pd si concentra esclusivamente su Bersani, Franceschini, Finocchiaro, e non si dà spazio ai nostri tanti nuovi parlamentari, non li si valorizza e questo è un peccato». Non piacciono a Renzi (ma pure a tanti deputati e senatori che si rifanno alle sue posizioni) né i compagni di partito che ora inneggiano alle manette per Berlusconi, né quelli che inseguono Beppe Grillo e i suoi seguaci.
«Il problema - dice il sindaco di Firenze - non è quello di mandare il Cavaliere in galera, ma di mandarlo in pensione». Quanto alla rincorsa al Movimento 5 Stelle, anche su questo fronte il primo cittadino di Firenze è netto nello spiegare le sue idee: «Stiamo chiedendo a Grillo: "cosa vuoi fare?" E invece dovremmo dirgli noi quello che vogliamo fare». Per Renzi è assurdo «continuare a inseguirlo mentre lui ci sputa in faccia, senza nemmeno metterlo in difficoltà rilanciando sul finanziamento pubblico ai partiti e sui costi della politica». Perché, ricorda il sindaco rottamatore, il rinnovamento non può essere una rappresentazione ma deve essere reale. L’idea che il grillino sia «offerto à la carte » fa sorridere il sindaco di Firenze. Il quale non si spinge a dire, come alcuni parlamentari renziani, «lasciamo che Bersani vada a sbattere contro un muro», ma appare evidente in ogni suo gesto e in ogni sua parola che questo è quello che pensa. Il primo cittadino del capoluogo toscano non sembra apprezzare nemmeno le trattative sotto banco che qualcuno nel Pd (non Bersani, ovviamente) sta facendo con Scelta Civica e con il Pdl. Renzi, infatti, ritiene superato il governo Monti: per lui non può esserci un «sequel».
E per questo elenca i punti deboli di quell’esperienza. Sarà su questo terreno che darà battaglia. In Parlamento, se non si andrà alle elezioni. Nella campagna elettorale per le primarie e in quella per le elezioni vere e proprie se la situazione precipiterà. Il patto di stabilità dei Comuni, innanzitutto. È un problema che va affrontato una volta per tutte. Renzi ne ha parlato anche prima della riunione con il presidente dell’Anci Graziano Delrio, e ne discute durante l’incontro a cui è presente pure il sindaco di Reggio Emilia. Quindi la semplificazione della burocrazia amministrativa. L’ultima questione (non certo per importanza, perché anzi da questo punto di vista è la prima) riguarda il lavoro: «Elsa Fornero sbagliava perché insisteva sulla libertà di licenziare, invece noi dobbiamo puntare sulla libertà di assumere». Su lavoro si incentrerà la sua campagna elettorale contro Grillo, quando sarà.
Sono discorsi, quelli di Renzi, che convincono soprattutto i giovani parlamentari, i quali non si stancano mai di ripetere: «Siamo qui perché vogliamo fare qualcosa di utile, non perché intendiamo occuparci delle beghe di partito». Il sindaco ascolta e parla quel che basta. Quel che serve a capire che lui vuole passare per le «primarie». Anche «a maggio, se il voto sarà a giugno». Non vuole farsi cooptare dai maggiorenti del partito, che già sono tutti in processione da lui: chi si limita a una telefonata, chi chiede un colloquio a tu per tu. Servono le primarie per legittimare il nuovo leader e per far ripartire il centrosinistra. Dicono che Mario Monti sia d’accordo con questa impostazione e che tra Bersani e Renzi abbia scelto il secondo.
Ma non è a questo che punta il sindaco rottamatore. Lui è più ambizioso e vorrebbe «cambiare la politica». Intanto non potendo rivoltare il Pd «come un calzino» ha cambiato il modo di riunirsi dei suoi parlamentari: all’uscita della riunione ogni partecipante ha dovuto sborsare dieci euro per pagare la sala.
Maria Teresa Meli

GLI SMS DI CAZZULLO
17:38 Cicchitto (scherzando) rimpiange il vecchio Pci che "avrebbe fatto sprangare i grillini dagli operai della tipografia Gate, quella dell’Unità, e avrebbe amnistiato Berlusconi come Togliatti coi fascisti"
17:32 Buttiglione, sempre disattento a sé, informa che il Papa tempo fa disse che lui è "bravissimo" e la cosa è quindi "dottrina della fede"
17:27 Il cittadino Crimi calcola invece che ogni senatore ci costa 1500 euro al giorno, quanto una colf al mese. Il senatore però prende anche i contributi
17:23 Il cittadino Aris Prodani chiede a gran voce un App per smartphone per muoversi nel Palazzo. Dice che altrimenti si perde.
17:20 Alla Camera un voto di sfregio per Fini. Al Senato uno per Scilipoti. Il suo, ovviamente.
17:10 Marta Grande veste già in nero da presidente. Franceschini preoccupato.
16:55 Pure il cittadino Giarrusso allontanato dalla buvette del Senato con moglie e figlie. Ma con l’odiata casta erano così fiscali?
16:38 Con le porte delle Camere si aprono quelle delle galere: dopo Cosentino si costituisce l’ex on. Nespoli, anche lui Pdl. Il Pd Tedesco deve accontentarsi degli arresti domiciliari
16:21 Da Bari replica il neoassessore Di Gioia: "Se la ricostruzione fosse vera sarei l’assessore gasparriano della giunta Vendola. E Gasparri l’ho visto fin troppo.."
16:11 La cittadina Lombardi calcola in 420 mila euro il costo della giornata per l’erario esclusi straordinari dei commessi, gas, acqua e luce elettrica
16:04 Il cittadino Mastrangeli tenta di portare la moglie alla mensa del Senato. La coppia bloccata dai commessi.
15:54 La Finocchiaro: "E’ una notte scura e tempestosa. Ma dalle mie parti si dice: più scuro che a mezzanotte non può fare. E l’alba è vicina"
15:37 I grillini si stanno assuefacendo alle telecamere, il portavoce al Senato cittadino Gioia esterna che è un piacere
15:33 Assente purtroppo Berlusconi con la sua guardia repubblicana guidata da Mariarosaria Rossi, tutti eletti al Senato ma lontani. Il Cavaliere non ha neppure mandato la foto per la Navicella, il dizionario dei parlamentari
15:30 E comunque l’anziano Emilio Colombo al Senato ha fatto un discorso nobile, ricordando quando era giovane deputato di Potenza alla Costituente
15:23 Alessandra Moretti è scesa a Roma con i due figlioletti, il fratello, la madre che porta il saluto della madrina centenaria ex staffetta partigiana quasi coetanea di Emilio Colombo
15:17 Per il Senato il Pd porta la Finocchiaro. Schifani torna a fare il capogruppo Pdl in un silente scambio tra Sicilia orientale e occidentale
15:04 Gasparri racconta la storia di Di Gioia: "Era in An nella mia corrente. Da ieri è assessore "montiano" della giunta Vendola. Ma quello Monti non l’ha mai visto neanche in tv!"
15:03 Mario Monti sarebbe davvero disposto a fare il presidente del Senato ma solo avendo anche i voti del Pdl. Che non ci pensa neanche
15:01 L’agenzia Agi smentisce ufficialmente "che l’on.D’Alessandro abbia salutato l’on.Santanché con una pacca sul sedere". Sollievo nelle istituzioni.

SUI GIORNALI DI STAMATTINA
ALESSANDRO TROCINO SUL CORRIERE
ROMA — Sei ore di assemblea, con discussioni accanite, innaffiate da caraffe di acqua pubblica (ma anche non pubblica, pagata con colletta) e talvolta interrotte da scrosci di applausi. Alla fine, la democrazia assembleare del Movimento 5 Stelle vota e sceglie i due candidati alla presidenza della Camera e del Senato: il trentottenne napoletano Roberto Fico e il cinquantunenne funzionario pavese, di origine venezuelane, Luis Alberto Orellana. Nel corso della giornata saltano gli abboccamenti con il Pd. E oggi, all’apertura delle Camere, sarà fumata nera. Pd, Pdl e Scelta Civica, in mancanza di accordi raggiunti, voteranno scheda bianca. Il Movimento 5 Stelle si voterà i suoi candidati. Nel caso si arrivasse a un ballottaggio tra un candidato del Pdl e uno del Pd al Senato, annuncia il capogruppo Vito Crimi, i 5 Stelle voteranno scheda bianca, perché «Pd e Pdl sono indifferenti».
A sancire il mancato accordo con il Pd, le parole tombali di Beppe Grillo, definito dallo Spiegel «l’uomo più pericoloso d’Europa»: «È meglio un salto nel buio che un suicidio intellettualmente assistito. Non ascolteremo le sirene del Pd. Ormai siamo in guerra e, se moriremo, lo faremo solo sul campo di battaglia delle prossime elezioni».
La strategia bersaniana di coinvolgere il Movimento nel gioco della presidenza della Camera era del resto già fallita. A un certo punto, nella sala della Regina dove erano riuniti i grillini, si era annunciata una diretta streaming per un incontro con la delegazione Pd. Operazione trasparenza e anti-inciucio inizialmente accettata dai democratici. Che però poco dopo rinviano l’appuntamento. I 5 Stelle a quel punto non ci stanno più — «È tardi» — e annullano tutto. Saltato l’incontro, deputati e senatori a 5 Stelle si concentrano sulle loro scelte. Alla Camera si affaccia anche l’opzione di non presentare alcun candidato, per evitare di vedersi convogliare i voti del Pd ed essere accusati di inciucio. Ma prevale la linea di andare avanti, da soli. Anche perché i 5 Stelle sembrano puntare più che altro alle vicepresidenze e a un Questore, carica fondamentale per il controllo delle spese e della gestione del Palazzo.
I nove candidati della Camera diventano sette, per due defezioni. Tra i papabili c’è anche la giovane Marta Grande. Ma alla fine si va al ballottaggio e si scontrano Roberto Fico e il catanese Tommaso Currò. La spunta il primo, secondo le previsioni. Eletto dopo essere stato «graticolato», come dicono i grillini, ovvero sottoposto a un fuoco di fila di domande. Nell’annuncio, dato via streaming, Fico parla così, con voce un po’ rotta dall’emozione: «Era ovvio, naturale e da responsabili esprimere un nome per la presidenza della Camera. Sono veramente onorato al massimo che sia il mio. Stiamo andando a cambiare il Paese tutti insieme». Una «rivoluzione tecno-sociale», come la chiama, alla quale collaborerà l’altro candidato del Senato, Luis Alberto Orellana, che promette «la saggia gestione del buon padre di famiglia».
In conferenza stampa, Crimi ribadisce che non c’è possibilità di alleanza con «chi ha tradito» e che «il Pd è già tra le braccia di Berlusconi». L’atteggiamento è quello annunciato: «Noi siamo disponibili a votare delle buone leggi, anche se proposte da altri. Bersani porti i suoi otto punti in Parlamento e poi vediamo». Quanto a Grillo, assicura Crimi, «non lo sento da una settimana».
Il capogruppo al Senato chiede di accelerare i lavori del Parlamento, visto che «un governo c’è» (alludendo a quello Monti, ancora formalmente in carica). E poi annuncia che tutti gli incontri istituzionali saranno trasmessi in diretta streaming: «Comprese le consultazioni al Quirinale. Le chiederemo, anche se sarà dura».
Al. T.

MONICA GUERZONI
ROMA — Nel chiuso della prima assemblea del gruppo di Montecitorio Pier Luigi Bersani prova a rimotivare i suoi: «Oh ragazzi, avremo tutti i nostri problemi, ma sapete che siete tantissimi?». Per un attimo l’applauso stempera il clima, spazza via l’agitazione e gli umori inquieti che accompagnano l’elezione, tra oggi e domani, dei presidenti delle Camere. La linea del segretario è scheda bianca, a Montecitorio come a Palazzo Madama: e l’astensione è l’ultimo, esile filo di speranza per un accordo con i Cinque Stelle.
Lo annuncia Enrico Letta con un tweet, spiegando che il Pd vuole «dimostrare fino all’ultimo disponibilità a intese», perché le istituzioni sono di tutti. E Bersani, parlando ai suoi deputati, la mette così: «Noi non vogliamo far da soli, voteremo un nostro presidente solo se costretti». Anche ai senatori dice che continuerà a lavorare per trovare un’intesa, nonostante gli inseguimenti degli ultimi giorni si siano rivelati vani. Il leader del Pd si è preso un’altra manciata di ore nel tentativo disperato di agguantare i Cinque Stelle e convincerli ad accogliere la «proposta di corresponsabilità» sulle cariche istituzionali. Proposta che sin qui, ammette il leader del Pd, non è stata accolta.
La faccia del segretario è scurissima. Negli stessi minuti, da un albergo romano, Matteo Renzi dichiara aperte le danze elettorali e, come se non bastasse, i gruppi parlamentari sono in grande agitazione. L’idea di turarsi il naso e votare il grillino Roberto Fico non va giù a tanti, da Letta a Franceschini, da Fioroni alla Bindi passando, naturalmente, per Renzi. Tanto che a metà pomeriggio il Nazareno stoppa con una nota il tam tam che vorrebbe i democratici pronti a tenersi strette le due Camere: «Fino all’ultimo il Pd lavorerà non per l’autosufficienza, ma per una larga assunzione di responsabilità».
Il timore dei bersaniani, che pure sono la grande maggioranza, è che a Montecitorio si stia saldando una corposa «fronda» di democratici pronti a smarcarsi, nel caso in cui Bersani dovesse decidere — senza garanzia alcuna — di immolare Dario Franceschini sull’altare di una futuribile intesa con Grillo per un governo di minoranza. I fedelissimi del capogruppo uscente, che da tempo aveva «prenotato» per sé lo scranno più alto della Camera, giurano che l’ex segretario del Pd ha chiesto loro di non dare battaglia in suo nome. Ma intanto al vertice del Pd si fa di conto e si scopre che un centinaio di deputati, a scrutinio segreto, potrebbero votare per Franceschini anche a dispetto degli ordini di scuderia.
Voci, suggestioni, tensioni. Amplificate dal no dei grillini, che si dicono «indisponibili alla trattativa» e dalle parole del comico sull’Italia «già fuori dall’euro». Parole che Bersani respinge con forza: «Se diciamo "andiamo via dall’euro" andiamo nel Mediterraneo con carta straccia in tasca e un disastro di proporzioni cosmiche». Eppure nel pomeriggio sembrava che qualcosa di concreto si fosse messo in moto. Luigi Zanda, il pontiere capo, aveva ottenuto dal capogruppo Vito Crimi la promessa di un incontro tra la delegazione del Pd e quella dei Cinque Stelle. Ma la riunione è saltata e non certo per gli orari troppo stretti, o perché i grillini volevano la diretta streaming...
E ora a preoccupare Bersani sono anche le mosse di Monti, il rischio che il premier si accordi con il Pdl al Senato per eleggere un presidente gradito sia al centrodestra che a Scelta civica. Nel caos generale Zanda, Davide Zoggia e Rosa Calipari hanno incontrato i capigruppo della Lega, Giorgetti e Bitonci. I quali si sarebbero mostrati disponibili a un’intesa ad ampio raggio, così ampio da includere anche la scelta del nuovo capo dello Stato. Tra i democratici c’è chi si spinge a ipotizzare il via libera di Maroni a un governo Bersani, ma dalla segreteria del Pd invitano a stare con i piedi per terra: il massimo di cui si sarebbe ragionato è la disponibilità dei senatori leghisti a non uscire dall’Aula al momento del ballottaggio sul presidente, garantendo così il numero legale. Anna Finocchiaro parte favorita, ma come dice il senatore Nicola Latorre, di scontato non c’è nulla: «Non sappiamo nemmeno se ci terremo Montecitorio, Palazzo Madama o entrambi». Il gioco è nelle mani dei Cinque Stelle e il senatore Mario Giarrusso si diverte a spargere ottimismo: «Il Pd che vota scheda bianca è una buona notizia». Scherza o fa bene Bersani a insistere? «La democrazia richiede tempo. È sempre positivo che qualcuno voglia accordarsi...».
Monica Guerzoni

FRANCESCO VERDERAMI SUL CORRIERE
ROMA — La scheda bianca somiglia tanto alla bandiera bianca, è la plastica rappresentazione di un sistema che è imploso e che arranca verso nuove elezioni. Il punto è che persino arrivare alle urne sembra impresa difficile, siccome prima andrebbero eletti i presidenti delle Camere, formato un governo e votato il successore di Napolitano. Ma se il partito di maggioranza relativa non riesce nemmeno a esprimere candidati di bandiera per i vertici del Parlamento, ed è costretto a prendere tempo per le faide interne che lo stanno dilaniando, allora non si capisce come si procederà di qui al 15 aprile, quando inizierà la corsa per il Quirinale. Lo stallo delle Camere prende corpo nelle riunioni inconcludenti del Pd che già si divide su Renzi e Bersani per le prossime elezioni, nei vertici ospedalieri di un Pdl che teme la decapitazione del proprio leader per via giudiziaria, nei minuetti di un centro montiano che ha perso rilevanza e per di più è spaccato in tre fazioni, ognuna con una linea diversa.
Paradossalmente, l’impasse in Parlamento è solo la punta dell’iceberg nella crisi di sistema. Perché in soli due giorni ben altro è andato in frantumi. Prima per mano dell’ala intransigente delle toghe, che ha vanificato la tregua faticosamente costruita da Napolitano per scongiurare il conflitto tra politica e magistratura. Poi con l’inopinato endorsement a favore di Grillo dell’ambasciatore americano, che sottovoce i vertici di Pd e Pdl definiscono «unfit». E ancora con lo «schiaffo» dato ieri al governo italiano dal commissario europeo Rehn, secondo cui «alcuni Paesi» hanno esagerato con l’aumento delle tasse per risanare i conti pubblici. Così, quando da Bruxelles è giunta la notizia che il vertice del Ppe ha «deplorato» il Pd per non aver raccolto l’offerta di un governo di larghe intese avanzata dal Pdl, persino un berlusconiano solitamente mite come Quagliariello non si è trattenuto: «Proprio loro parlano, che ci volevano ostracizzare. Ma vaff...».
È stato il «vaffa-voto» a mandare in frantumi ciò che restava della Seconda Repubblica, non a caso solo i grillini voteranno oggi in Parlamento i loro candidati, mentre il capo di M5S già evoca un ritorno rapido alle urne. Sarà, ma bisogna arrivarci, cosa niente affatto facile. Il Pd è paralizzato e non sembra in grado di trovare vie d’uscita. Perché è vero che dentro il partito sale la rivolta contro Bersani, la cui linea d’intesa con Grillo è giunta al capolinea. Ma quanti lo avversano, da Letta a Franceschini, passando per D’Alema e Fioroni, non sono in grado di uscire allo scoperto, almeno non adesso. Finora non sono valse le obiezioni politiche avanzate al segretario, e cioè che «cercando l’accordo con Cinquestelle noi spingiamo Monti a destra e ci isoliamo sempre più a sinistra».
Se poi davvero si andasse alle elezioni in giugno, anche per Renzi la strada sarebbe in salita: alle primarie, che il sindaco di Firenze chiede per competere con Bersani, con quali voti vincerebbe visto che la nomenklatura del Pd — temendo di finire rottamata — si stringerebbe attorno all’attuale capo della «ditta»? Dall’altro lato della barricata democratica, chi non vuole morire grillino prefigura un’alleanza con Monti e confida che Casini — lasciato ormai di fatto l’Udc — detti la linea dei centristi e li porti a un accordo con il Pd. Peccato che Scelta civica sia a sua volta divisa, se è vero che — mentre l’ex presidente della Camera prova sotto sotto a rientrare in gioco — Montezemolo è fermo sull’idea che in caso di elezioni il centro non deve allearsi con nessuno, e intanto il Professore vede Gianni Letta per parlare di larghe intese e di Quirinale...
D’altronde è solo sulla presidenza della Repubblica che tutti stanno facendo il loro gioco, è quella la vera unica posta in una legislatura nata moribonda. Chissà se il fixing di Parisi è ancora valido, se Prodi è ancora oggi «il più accreditato» per il Colle. Perché se davvero il Pd pensa di poter far da solo, c’è chi ipotizza persino la corsa di Bersani. Quanto a Napolitano, Berlusconi l’altro ieri lo avrebbe ricandidato subito, sebbene più volte il capo dello Stato si sia chiamato pubblicamente fuori. «Ma se venisse votato dal Parlamento, come farebbe a dire di no?», obiettava il Cavaliere. Il virtuale girotondo attorno al Colle inscenato dalle toghe, ha però messo in difficoltà l’unico punto di riferimento istituzionale in questa crisi di sistema, lo ha «indebolito» per dirla con il pdl Bondi. E il leader del centrodestra — incerto se condurre la battaglia finale nelle Camere o nelle piazze — è a dir poco scettico sulla possibilità che si possa arrivare con il Pd a qualsivoglia intesa. Perciò si predispone anch’egli al voto.
Tutti (tranne la Lega) si dichiarano pronti alle elezioni. Il problema è che non sembrano aver nemmeno la forza di arrivarci. Oggi alle Camere sventoleranno la scheda bianca.
Francesco Verderami