Giorgio Mulè, Panorama 14/3/2013, 14 marzo 2013
MA IO NON MOLLO
«Ho un serio problema agli occhi. Il mio stato potrà anche suscitare l’ironia di qualche pubblico ministero, gli farà magari chiedere, e magari ottenere, una ridicola “visita fiscale”. Ma a me non impedisce di vedere bene nel mio futuro: io so che a Milano non ho mai avuto giustizia. Anche per vedere riconosciuta la mia innocenza nei tre attuali processi è probabile che dovrò attendere sino alla Cassazione ma non posso desistere».
Silvio Berlusconi è battagliero e sorride, quasi ironico, di fronte ai titoli e agli articoli dei giornaloni di sinistra. Ha gli occhi protetti da occhiali scuri per l’infiammazione e la uveite che lo affliggono da settimane e che si sono riacutizzate negli ultimi giorni. «A procurarmi il “problema” è stato un simpatico vecchietto, un mio supporter, che nella ressa di un incontro elettorale a Torino, nel tentativo di baciarmi, m’ha invece infilato un dito nell’occhio. Una carezza, in confronto alla statuetta che mi ha colpito in piazza Duomo tre anni fa e che se fosse finita per pochi centimetri sulla fronte mi avrebbe sotterrato, ricorda il presidente in questo lungo colloquio con Panorama, avvenuto tra sabato 9 e lunedì 11 marzo. Poi riflette: «L’odio nei miei confronti è palese. Pensavano di essersi liberati di me e adesso non si rassegnano al fatto che io sia ancora politicamente molto vivo e che la forza del Popolo della libertà sia più viva che mai. Nei corridoi del Palazzo di giustizia di Milano corre voce di un’operazione “Craxi 2” che si vorrebbe portare a termine nei miei confronti. Ma le pare che chi ha avuto la responsabilità di rappresentare sul palcoscenico internazionale il suo Paese per quasi 10 anni possa davvero fuggire consegnandosi a una triste e ingiusta “damnatio memoriae”?».
Inimmaginabile, conoscendo l’uomo. Berlusconi ha infatti sempre preferito la politica estera a quella italiana. Lui, che pure sul piano nazionale può vantare due record difficilmente battibili visti i tempi (è stato il presidente del Consiglio che ha governato più a lungo nella storia della Repubblica; è stato per 20 anni il più votato degli italiani), ha sempre privilegiato la ribalta internazionale. E, a proposito di primati, gli piace ricordare che sarà anche vero che non è stato l’unico dei presidenti a parlare al Congresso degli Stati Uniti d’America, ma è innegabile che gli spetti il record delle standing ovation; così come rimane l’unico leader sulla terra ad avere presieduto per tre volte il massimo vertice mondiale, il G8. C’è poi il lungo capitolo delle amicizie, anche personali, con i più importanti leader del globo, da Tony Blair a José María Aznar, da George W. Bush a Vladimir Putin, da Recep Tayyip Erdogan a Dmitri Medvedev, per citarne alcuni.
«Ero talmente sicuro di poter essere presente in aula» riprende Berlusconi «prima di essere costretto a curarmi al San Raffaele, da aver pensato al testo di una mia dichiarazione spontanea. Ai giudici avrei detto: “Il buon senso vorrebbe che io fossi altrove, a rappresentare gli interessi di 9 milioni di elettori. Invece sono qui, da cittadino offeso e indignato per una sentenza di primo grado che può essere considerata solo una sentenza costruita espressamente contro di me perché capovolge la realtà, offende il buon senso e cancella il diritto”...».
Nel processo d’Appello sull’acquisto dei diritti di trasmissioni televisive da parte di Mediaset, il presidente del collegio è Alessandra Galli. È stata lei, il 9 marzo, a volere la controversa visita fiscale sulla malattia agli occhi di Berlusconi (negata appena il giorno prima dal collegio che in un’aula non distante sta giudicando sul caso Ruby salvo poi ordinarla invece l’11 marzo) che ha contraddetto la prognosi di assoluto riposo in ospedale prescritta da un luminare dell’oftalmologia come Francesco Bandello. Con la sorella Carla, a sua volta giudice a Milano, Alessandra Galli è l’erede di Guido, il pubblico ministero milanese che fu una delle grandi vittime del terrorismo rosso: il 19 marzo 1980 un commando di Prima linea gli sparò tre colpi di fronte all’aula 309 della Statale di Milano, dove insegnava criminologia. Berlusconi scuote la testa: «Conosco la terribile tragedia che ha toccato la dottoressa Galli. Spero non voglia emettere una sentenza assolutamente infondata perché contraria alla realtà: una sentenza che può essere motivata soltanto da un pregiudizio politico che arrivi allo stravolgimento della realtà».
Ma allora ha ancora qualche speranza? «Voglio, devo averla!» sorride amaro Berlusconi, condannato l’ottobre scorso in primo grado a quattro anni di reclusione, più cinque d’interdizione dai pubblici uffici. L’accusa era ed è di evasione fiscale da parte di Mediaset, che si sarebbe servita di una società nella quale, per la Procura, Berlusconi sarebbe stato socio occulto per il 50 per cento, e avrebbe così potuto evadere il fisco per 3 milioni di euro. «Secondo l’accusa» dice Berlusconi «sarei intervenuto appunto per fare risparmiare a Mediaset 3 milioni d’imposte nel 2002-2003, anni tra l’altro in cui io ero un operosissimo presidente del Consiglio. Assurdo, risibile: il mio gruppo in quei due anni versò all’erario 567 milioni d’imposte! Tre milioni sono lo 0,5 per cento di 567 milioni, ma se consideriamo tutte le imposte versate all’erario dal 1994, anno della mia discesa in campo, 3 milioni ne sono la cinquemilionesima parte!».
Berlusconi continua: «Ci sono poi due osservazioni insuperabili. La società di cui sarei stato socio occulto, ma questa è un’invenzione dei pm perché non c’è assolutamente alcuna prova né testimoniale né documentale al riguardo, per vendere i suoi diritti a Mediaset dovette versare, ahimè, ai dirigenti dell’ufficio acquisti diritti una tangente del 10 per cento del prezzo, cioè oltre 10 milioni di dollari. Allora, primo: se io fossi stato davvero socio del titolare della società, un imprenditore americano di nome Frank Agrama, il mio supposto socio si sarebbe certo rivolto a me per ottenere con una mia telefonata al mio migliore amico, il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, o a mio figlio, direttore generale della società, di farmi la cortesia di acquistare quel pacchetto di diritti, di buoni diritti tra l’altro provenienti in gran parte dalla Paramount, risparmiando così 10 milioni di dollari. Naturalmente, non essendo socio di Agrama, non mi pervenne alcuna richiesta in tal senso. Secondo: se fossi stato davvero socio al 50 per cento della società, Agrama avrebbe dovuto mettermi al corrente di aver dovuto pagare quelle tangenti del 10 per cento del prezzo ai capi dell’ufficio acquisti di Mediaset, una società dove il mio gruppo possedeva allora il 60 per cento del capitale. Conseguenza: Mediaset avrebbe immediatamente licenziato i collaboratori infedeli, che tra l’altro acquistavano diritti per 750 milioni di dollari all’anno, e li avrebbe immediatamente denunciati all’autorità giudiziaria, come infatti avvenne quando il fatto fu conosciuto dai vertici della società. Sembra incredibile, vero? Eppure superando queste insuperabili realtà il collegio di primo grado ha ritenuto incredibilmente di condannarmi».
In primo grado il dispositivo della condanna fu letto in aula insieme con le motivazioni: un’accelerazione assolutamente anomala, in campo penale, perché di solito fra i due atti trascorrono molti mesi (e a volte anni, come nel caso di Carlo De Benedetti: condannato in primo grado nell’aprile del 1992 per il crac del Banco Ambrosiano, le motivazioni arrivarono soltanto 30 mesi dopo, nell’ottobre 1994). «Per me i tempi sono stati non accorciati, ma totalmente vanificati perché dispositivo e motivazioni sono stati pronunciati insieme, contestualmente, in modo del tutto inusuale anche nella fissazione immediata del processo d’Appello» commenta Berlusconi.
«Ora, anche se i miei avvocati sono di contrario avviso, io non voglio credere che i miei giudici stiano correndo verso una condanna prestabilita. Nonostante tutto mi aspetto ancora giustizia, almeno da questa corte». Il processo d’Appello sui diritti Mediaset, in realtà, è anche il più rischioso per Berlusconi. Il reato cadrà in prescrizione nel luglio 2014 e il verdetto è previsto per il prossimo 23 marzo; poi si aprirebbe il giudizio in Cassazione. In meno di un anno si potrebbe quindi arrivare a sentenza definitiva, e in caso di condanna l’ex premier sarebbe tagliato fuori dalla vita politica.
Ha paura di quel risultato? Alla domanda Berlusconi non risponde direttamente: «Corre voce, ripeto, che nel palazzo di giustizia di Milano si parli espressamente e senza vergogna di una “operazione Craxi 2”. Non sono riusciti a eliminarmi con il mezzo della democrazia, le elezioni, e ora tornano a provarci attraverso questo uso della giustizia a fini di lotta politica. Sanno che sono io il vero ostacolo sulla strada della sinistra. È sempre e soltanto per questo se, dal marzo 1994 a oggi, ho dovuto subire un incredibile assedio giudiziario: 113 procedimenti, di cui 33 processi ultimati senza nessuna condanna; quasi 2.700 udienze; più di 2 milioni di documenti passati ai raggi x; oltre 300 mila intercettazioni... Non credo sia normale che un uomo arrivi a 58 anni da cittadino e da imprenditore rispettato e stimato e poi, avendo deciso di dedicarsi alla politica come alto servizio ai suoi concittadini e al suo Paese, si sia trasformato in un pericoloso criminale cui sono state mosse quasi tutte le accuse più infamanti contemplate dal Codice penale. E con quale risultato? Non un processo, nemmeno uno, ripeto, si è potuto concludere con una condanna».
La statistica è in effetti impressionante e rappresenta un supporto incontestabile alla tesi dell’accanimento giudiziario e dell’uso politico della giustizia: «In 18 anni ho speso oltre 400 milioni di euro tra avvocati e consulenti per difendermi» continua l’ex premier. «Per fortuna l’ho potuto fare. Penso invece con angoscia ai cittadini meno attrezzati e meno forti di me, che diventano vittime del tritacarne giudiziario. E credo proprio che nessun uomo pubblico al mondo sarebbe stato in grado di resistere anche solo a un decimo di queste “attenzioni” senza uscirne sconfitto e travolto».
Il discorso torna così quasi automaticamente al rischio dell’interdizione dai pubblici uffici, alla condanna di primo grado nel processo sui diritti Mediaset, che i difensori di Berlusconi temono possa essere confermata il 23 marzo vista la composizione del collegio. Berlusconi ribadisce: «La condanna capovolge la realtà, offende il buon senso, calpesta il diritto. Io non ho mai seguito l’acquisto di diritti televisivi di film e telefilm. Non mi sono mai occupato di bilanci, né di dichiarazioni fiscali. Dal 1994 ho cessato ogni ruolo in Fininvest e in Mediaset, che è stata fondata e quotata in borsa dopo la mia discesa in campo; non ho mai ricoperto alcuna carica. Negli anni di cui stiamo parlando operavo a tempo pieno come presidente del Consiglio e la Cassazione lo ha riconosciuto in due procedimenti paralleli a Roma».
Si vedrà. Ma a Milano altri due processi corrono come treni nei confronti di Berlusconi. Si è appena concluso con una condanna a 1 anno senza condizionale il primo grado per la violazione del segreto istruttorio sull’intercettazione tra Piero Fassino, allora segretario dei Ds, e Giovanni Consorte, top manager dell’Unipol, pubblicata dal Giornale nel dicembre 2005. L’intercettazione rivelava l’interesse dei vertici del partito («Allora abbiamo una banca!») nella scalata Unipol alla Banca nazionale del lavoro, sconfessando totalmente le dichiarazioni di Pier Luigi Bersani e degli altri leader postcomunisti sul fatto di non essersi mai interessati a istituti di credito (posizione ribadita in occasione dello scandalo del Monte dei Paschi di Siena).
Niccolò Ghedini, difensore del Cavaliere, ha ricordato polemicamente che «si tratta dell’unico processo aperto in Italia per questo tipo di reato» e che «sono anni che vengono pubblicati intercettazioni e verbali di Berlusconi, coperti dal segreto istruttorio, nel più totale disinteresse della magistratura».
Anche Berlusconi contesta il paradosso: «Sono stato oggetto di migliaia di articoli di giornali e di trasmissioni in tv. Hanno propagato ogni e qualsivoglia notizia d’indagine coperta da segreto istruttorio o dal divieto di pubblicazione. Contro questa pratica ho presentato decine di denunce, ma mai si è arrivati a un processo. Mai. In un caso hanno addirittura addotto lo smarrimento dei fascicoli con le mie querele!».
L’ex premier scuote ancora la testa: «Questa sentenza è davvero un’assurdità. Per la pubblicazione dell’intercettazione tra Fassino e Consorte sul Giornale, su cui io non esercito alcun controllo, senza neppure portare a processo il direttore responsabile dell’epoca, mi si condanna perché avrei ascoltato l’intercettazione e avrei concorso alla sua pubblicazione. Non è vero. Non ho mai voluto ascoltare un’intercettazione perché considero le intercettazioni un’intrusione barbara nella privacy dei cittadini e ho personalmente redatto un disegno di legge che, sull’esempio di quanto succede nei paesi civili, stabilisce che le intercettazioni non devono poter valere come prova nei processi, né per l’accusa, né per la difesa, in quanto facilissimamente manipolabili. In più tutti i testimoni hanno escluso che io abbia avuto un ruolo nella sua pubblicazione».
Le intercettazioni sono indubbiamente la croce dell’ex premier. Soltanto per le indagini preliminari nell’inchiesta sul caso Ruby sono state almeno 150 mila le telefonate controllate dalla magistratura. Il processo che ne è scaturito a Milano, dal febbraio 2010, è stato quello che più di ogni altro è servito a denigrare l’immagine dell’allora presidente del Consiglio. La doppia accusa, concussione e prostituzione minorile nei confronti della giovane marocchina Karima El Mahroug, alias Ruby, dovrebbe arrivare alla sentenza di primo grado il prossimo 18 marzo. Berlusconi la definisce una mostruosa operazione di diffamazione, nazionale e internazionale, e ne parla come dell’ennesimo paradosso.
La ragazza, da parte sua, ha dichiarato che Berlusconi è stata l’unica persona che l’ha generosamente aiutata (un prestito di 57 mila euro per consentirle di entrare come partner al 50 per cento in un centro estetico di un’amica in via della Spiga a Milano) e ha negato ogni rapporto intimo col Cavaliere.
Berlusconi ha sempre negato ogni possibile ineleganza in serate definite «conviviali, giocose, divertenti», alle quali, tra l’altro, potevano partecipare ospiti occasionali di una sola volta e in cui tutti potevano fotografare e registrare col telefono qualsiasi cosa accadeva. «Nelle serate del mitico bunga-bunga ad Arcore» s’impunta Berlusconi «mai, mai, mai si sono verificate situazioni volgari o scandalose tra i miei ospiti».
Ha, del resto, gioco facile nel ricordare la piena trasparenza della sua vita privata: «La mia esistenza» dice «è sempre stata oggetto di una spasmodica, maniacale attenzione mediatica. Di fronte ai cancelli di tutte le mie residenze, giorno e notte, stazionavano i carabinieri e frotte di fotografi e cameramen. Sotto un faro così potente e indagatore, insomma, sarebbe stato impossibile adottare comportamenti inappropriati. Ripeto: mai è stato chiesto agli ospiti di consegnare i telefonini per evitare registrazioni o fotografie, perché nulla d’irriferibile poteva accadere a casa mia».
C’è poi il capitolo della telefonata del 27 maggio 2010 in questura, che per l’accusa configura una concussione nei confronti dei funzionari di polizia, «indotti» ad affidare Ruby a una persona maggiorenne e incensurata: questa, fra l’altro, come testimoniato dai funzionari stessi (i quali hanno specificato che il Cavaliere si limitò a chiedere con assoluta gentilezza alcune informazioni) è la prassi seguita in tutti i casi, non essendo la questura attrezzata a ospitare una minorenne durante la notte, una minorenne che era stata trattenuta solo perché sprovvista di documenti d’identità e in attesa di una completa identificazione che avvenne regolarmente.
Berlusconi è netto: «Se davvero avessi avuto la preoccupazione che Ruby fosse in qualche modo “pericolosa”, come sostiene l’accusa, allora mi sarei attivato anche la settimana successiva al 27 maggio, quando ebbi notizia che la ragazza stava ancora per essere affidata a una comunità-famiglia di Genova». Invece, una volta appurato che Karima-Ruby gli aveva mentito sulla propria origine e anche sull’età, Berlusconi conferma di avere interrotto ogni rapporto con lei.
Resta l’ultimo (per ora), sgradevole capitolo giudiziario. A Napoli il pm Henry John Woodcock indaga sulla presunta corruzione dell’ex senatore Sergio De Gregorio che ai primi di marzo ha improvvisamente e imprevedibilmente denunciato alla Procura di Napoli di aver ricevuto 3 milioni da Forza Italia e da Berlusconi (2 dei quali in nero) per fare cadere il governo Prodi. I pm hanno già richiesto il giudizio immediato senza neppure sentire Silvio Berlusconi, il quale aveva fatto sapere di voler essere interrogato dopo il 15 marzo, e senza ascoltare alcun testimone fra i senatori del centrodestra che smentiscono categoricamente quanto dichiarato da De Gregorio.
Berlusconi spiega con il consueto puntiglio: «Ancora un’invenzione: con De Gregorio Forza Italia stipulò un accordo pubblico alla luce del sole, depositato al Senato e alla Camera dei deputati, in base al quale Forza Italia riconosceva un contributo economico di 1 milione di euro al suo “Movimento italiani nel mondo” per la promozione della coalizione dei moderati nei paesi del Sud America e in preparazione delle successive elezioni. Non vi fu alcuna richiesta successiva da parte di De Gregorio, e comunque se vi fosse stato un motivo per un ulteriore riconoscimento di 2 milioni non si vede una possibile ragione per cui questo versamento non avrebbe potuto aggiungersi, alla luce del sole, al versamento già effettuato di 1 milione aumentando per esempio le spese per la promozione elettorale nel Sud America con l’apertura di più sedi o altro. Perché in nero? Perché in contanti? Perché addirittura attraverso un terzo? Davvero impossibile!».
E perché ora De Gregorio mentirebbe? «Verosimilmente ha barattato il suo “non arresto” e la sua libertà personale con i pm di Napoli, contro dichiarazioni compromettenti su di me. Per questo ho richiesto anche l’intervento del ministro della Giustizia» sottolinea Berlusconi, che ricorda la richiesta d’arresto avanzata nell’aprile 2012 contro il senatore proprio dalla Procura di Napoli, che lo iscrisse nel registro degli indagati per una presunta appropriazione indebita di 20 milioni di euro, sottratti ai finanziamenti pubblici del quotidiano L’Avanti!. Quella richiesta d’arresto fu respinta dal Senato: «Ma adesso» continua Berlusconi «De Gregorio è a rischio perché, non essendo stato ricandidato, sta per decadere da senatore; per questo si è inventato e ha raccontato ai pubblici ministeri napoletani l’esatto contrario di ciò che aveva più volte dichiarato in Parlamento, in cento interviste e perfino in molte dichiarazioni trascritte in precedenti atti giudiziari. Evidentemente preferisce patteggiare con pochi mesi di aumento di pena e usufruire della condizionale, piuttosto che finire in galera. In cambio della libertà, quindi, ha raccontato queste menzogne contro di me: così funziona la giustizia in Italia».
Ma a questo punto Berlusconi rivela: «De Gregorio aveva preannunciato questo suo comportamento con più visite a nostri parlamentari. Aveva detto di essere in grave difficoltà, di avere assoluto bisogno di 10 milioni di euro, in parte per pagare dei debiti ed evitare la bancarotta e in parte per recarsi in un altro paese e ricostruirsi una nuova vita e per evitare il carcere alla moglie. Alle risposte necessariamente negative dei nostri rappresentanti, se ne era andato sbattendo la porta e minacciando di raccontare ai pm, che insistevano in questa direzione, quelle menzogne che poi in effetti ha raccontato davvero per scampare alla prigione. Mi chiedo perché, pur sapendo già la risposta, i pm anziché chiedere il giudizio immediato non abbiano fatto le opportune investigazioni che avrebbero dimostrato fin da subito l’assurdità delle dichiarazioni di De Gregorio».
Il Cavaliere allarga le braccia e afferma: «È il solito metodo usato “ad personam Berlusconi” da 20 anni a questa parte da certi pubblici ministeri, ed è semplice: il testimone viene intimidito al punto di minacciarlo della privazione della libertà; se è già in carcere gli si promette la liberazione se accusa Berlusconi di qualche comportamento delittuoso e questo metodo, compresa la carcerazione preventiva, stanno usando non solo con De Gregorio. Anche su questo ho chiesto l’intervento del ministro. Questa malagiustizia va fermata. Questi sistemi non sono da paese civile e democratico e non devono essere mai più consentiti. In un Paese come questo è davvero difficile, se non impossibile, sentirsi sicuri. Se vieni messo nel mirino da un pm qualsiasi, sei davvero finito. Per questo mi batterò fino in fondo e con tutte le mie forze affinché l’Italia esca da questa barbarie e torni a essere uno Stato di diritto amico e protettore dei suoi cittadini».
I medici lo invitano a riposare, ma Berlusconi sembra non sentirli. Continua: «Invito tutti a rileggere la storia d’Italia dal 1994 in poi. Appena eletto, s’inventarono contro di me un’accusa di corruzione che portò alle dimissioni del mio primo governo e che si risolse molti anni dopo con la più ampia delle formule di assoluzione per non aver commesso il fatto. Da allora è stato un crescendo d’infamie. Si è passati all’aggressione del mio patrimonio, sempre per via giudiziaria, con la rapina del secolo: i 564 milioni di euro che ho dovuto versare alla tessera numero 1 del Pd, Carlo De Benedetti. Mi sono sempre stati addosso con un’infinità di processi nel tentativo di togliermi serenità e tempo. E in effetti ho dovuto sempre lavorare nei pomeriggi dei miei sabati e delle mie domeniche con i miei avvocati per preparare le udienze. Si è passati, da ultimo, a rovinarmi l’immagine in Italia, in Europa e nel mondo con l’invenzione di un bunga-bunga scandaloso. Ora si è al tentativo finale. Si vuole togliermi il diritto di servire il mio Paese e addirittura il principale dei diritti di un uomo, quello della libertà. Si spera magari di spingermi all’esilio. Non ci riusciranno, sono sicuro che gli italiani non lo permetteranno e, per quanto mi riguarda, io mi sento un missionario della democrazia e della libertà e i combattenti della libertà non si arrendono mai».
Per un attimo Berlusconi si ferma, ma riparte come un fiume in piena: «I ripetuti comportamenti processuali di una parte della magistratura che è mossa da un pregiudizio politico non sono più tollerabili. La magistratura si è trasformata da ordine dello Stato in un potere assoluto, onnipotente e irresponsabile. I magistrati si sono costituiti in correnti con chiaro orientamento ideologico e politico. Non si può più consentire che nei confronti di un protagonista politico di centrodestra possano scendere in campo pm appartenenti alla stessa corrente di sinistra e che poi anche il collegio giudicante sia composto da due o addirittura tre giudici appartenenti alla sinistra. Con me ci si è sempre comportati così e le conseguenze si continuano a vedere».
Un ultimo ragionamento prima del commiato: «Il Popolo della libertà, con una decisione autonoma e unanime dei suoi gruppi parlamentari, ha deliberato di fare di questo problema un obiettivo irrinunciabile della sua lotta in Parlamento. E sarà una battaglia combattuta per ottenere, naturalmente, le stesse garanzie per gli esponenti politici della sinistra. È una battaglia che non si può perdere, se non si vuole che l’Italia continui a essere un Paese in cui nessuno che si dedichi al servizio della politica possa vivere sereno. Questa sacrosanta battaglia, così indiscutibilmente giusta dopo ciò che è capitato a me in questi 20 anni, è una battaglia che vinceremo in nome della democrazia, in nome dello Stato di diritto, in nome della libertà».