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 2013  marzo 15 Venerdì calendario

AVEVA IL BIGLIETTO PER BAIRES MA CI HA TELEFONATO NELLA NOTTE: AMICI, MI HANNO FATTO PAPA


HO VISTO padre Bergoglio domenica sera. Ero andato a salutarlo con mia moglie Stefania, nella “domus” sacerdotale dove risiedeva in attesa dell’inizio del Conclave. Era sereno e disteso. «La notte dormo come un bambino», ci ha detto. Aveva acquistato il volo di ritorno a Buenos Aires per sabato 23 marzo. La liturgie della Settimana Santa voleva celebrarle nella sua amata Chiesa di Buenos Aires. Ci ha salutato abbracciandoci e ripetendo anche a noi la richiesta che rivolge sempre a tutti: pregate per me, che ne ho bisogno. Ieri notte sono tornato a casa che era l’una passata. La batteria del cellulare era morta da ore. «Ha telefonato il Papa! Voleva salutarci », hanno detto i miei figli Paolo e Cecilia. Mia moglie gli aveva chiesto come avremmo dovuto chiamarlo. «Sono sempre padre Bergoglio », ha risposto. «È sempre lui», ho pensato tra me.
A Roma, negli ultimi anni, passava sempre un po’ di corsa. «Devo tornare dalla mi Esposa», ci diceva sempre con un sorriso, alludendo alla sua diocesi. E le sere in cui era lui a venire da noi erano sempre piene dei suoi racconti sui volti e delle storie di uomini e donne incontrate nel suo cammino di pastore.
Ho conosciuto padre Bergoglio nel gennaio 2002. Ero andato a Buenos Aires per un reportage sulla crisi economica che aveva mandato in testacoda il Paese che fino a quel momento aveva avuto la più consistente classe media del Sud America. Mi raccontò quel momento non con l’immagine chiassosa e arrabbiata dei cacerolazo e delle manifestazioni di piazza, ma con quella intima a piena di dignità delle madri e dei padri che avevano perso il lavoro e piangevano di notte, quando i bambini dormivano e nessuno li vedeva.
Mi colpì fin da allora la sua immanenza partecipe delle vite ferite e deragliate delle persone reali. Allora si trattava di un intero popolo strangolato dai meccanismi perversi dell’economia speculativa. Lui, così mite, usava parole taglienti. Mi parlò dell’«idolo del denaro che produce se stesso», di un sistema che «non sa che farsene del lavoro» e «non ha remore a trasformare in disoccupati milioni di lavoratori».
Una volta, a cena, ci raccontò con passione contagiosa di alcuni giovani sacerdoti suoi amici che vivono e operano nelle Villas Miserias. Preti che in quegli agglomerati di baracche e case fai-date, gonfi di immigrati argentini e stranieri, tengono viva una trama di vita cristiana fatta di preghiere e mense popolari, processioni e doposcuola, devozione ai santi delle cause impossibili e case per il recupero dei ragazzi drogati e dei ninos che vivono nella strada. Ci invitò a andarli a conoscere. Partimmo io e mio figlio Paolo, nell’estate 2008, e rimanemmo a Baires un mese, ospiti suoi e dei suoi amici. Così capitò anche a noi di prendere la metro con lui e accompagnarlo la domenica quando andava nelle Villas o nelle chiese del centro a benedire scuole professionali, celebrare messe e battesimi, fare festa al santo o alla Vergine a cui era dedicata la parrocchia. Alle feste popolari si metteva seduto in mezzo a qualche anziano e si vedeva che era contento come un padre che guarda i suoi bambini giocare.
Col tempo, ci siamo accorti che la sua era diventata una compagnia che ci faceva respirare, anche se stava «quasi alla fine del mondo ». È diventato un sollievo raccontargli anche affanni lievi e gravi di ogni giorno. E scoprire la sua soprendente familiarità col mistero di misericordia che anima la Chiesa. È stato spontaneo e naturale voler condividere con tanti amici e conoscenti la fortuna dell’amicizia con quest’uomo di Dio. Di cose così, non si è mai gelosi.
Una volta aderì con slancio alla proposta di una appassionata professoressa di nostro figlio che lo invitò a parlare al laicissimo Liceo Cavour del mercato della droga nelle Villas Miserias di Buenos Aires e di come coi residui della lavorazione della cocaina stanno trasformando migliaia di ragazzi e adolescenti tranquilli in zombie voraci, pronti a ammazzare chi gli capita a tiro per qualche peso, senza neanche accorgersene. Tutti rimasero colpiti dal suo racconto. Di come solo la medicina della misericordia può guarire e salvare anche le vite che sembrano perdute.
Prossimità, misericordia, dolcezza, pazienza. Sono queste le parole di Bergoglio. Per lui gli uomini di Chiesa «non sono i padroni dei doni del Signore». Qualche mese fa ha detto che il suo dolore più grande di pastore era stata la notizia che «alcuni preti non battezzano i bambini delle madri non sposate perché non sono stati concepiti nella santità del matrimonio».
Questo è padre Bergoglio. E adesso che è diventato anche il mio vescovo e il Successore di Pietro, potrà suggerire a tutti quello che io tante volte ho imparato da lui. Che il cristianesimo è una storia semplice. E che la sua promessa di felicità abbraccia tutti gli uomini, senza misura.