Andrea Malaguti, La Stampa 15/3/2013, 15 marzo 2013
FICO, DAL LAVORO NEL CALL CENTER ALLE PROTESTE CONTRO LA IERVOLINO
Com’è cominciato tutto? Napoli, il sindaco è Rosa Russo Iervolino e si discute della discarica di Chiaiano. E’ il 2008. C’è tensione. In Comune la seduta è a porte chiuse. Fuori dall’aula, si scatena una specie di rissa, perché c’è un ragazzo con la telecamera che vuole riprendere il dibattito. Ha poco più di trent’anni. Trentatré per la precisione. E dal 2005 organizza il meetup cittadino. Uno dei primi dieci in Italia. Grillino da subito. Lui e il papa ligure si capiscono al volo. Si piacciono. Il ragazzo, che a 18 anni ha votato per Bassolino e in seguito per Rifondazione comunista, grida: «non siete un fortino». Distribuisce volantini. I commessi gli rispondono: «vattene». Lo considerano un atto eversivo. Perché ci vuole riprendere? Lui li guarda come si guardano i matti: «la gente in quella sala lavora per i napoletani». Spinte.Lo devono portare via di peso. «Pratica risolta», pensano quelli. Falso. Pratica iniziata.
È il primo passo in politica del cittadino Roberto Fico, che oggi, a 38 anni, è ufficialmente il candidato alla Camera del MoVimento 5 Stelle. È arrivato al ballottaggio con il siciliano Tommaso Currò. Gente del Sud. E’ lì che lo tsunami è stato più forte. Una discussione durata giorni. Era il napoletano a non volere l’incarico. «Io sono uno da battaglia». L’hanno convinto piano piano. «Questa legislatura rischia di durare poco. La presidenza di Montecitorio può esserne il cuore».
Al conclave nella sala della Regina, con i commessi che portano in continuazione brocche piene di acqua di rubinetto, i papabili sono sette. C’è anche la laziale Marta Grande, decisa a non farsi schiacciare dal marchio di «prescelta dal Pd». Con lei la lombarda Paola Carinelli. Che poco prima del voto si fa da parte. Alle sei la fumata bianca. L’applauso collettivo. Baci. Nessuno incarna il movimento come Fico, che ieri mattina, infilando la sua barba da guerrigliero in una tazzina di caffé, scherzava: «se mi consegnano la campanella per guidare la seduta magari gliela tiro indietro». Rideva. Gli pareva impossibile. Adesso il quadro si è ribaltato. Le possibilità che sia lui a prendere il posto di Fini sono reali. Il Pd è spaccato. Non appoggiarlo vorrebbe dire ignorare lo sconvolgimento elettorale, passare da conservatori, da vecchi mestieranti della poltrona. Ma consegnargli la terza carica dello Stato - «Non è pazzesco pensare che siamo a questo punto?» - significherebbe offrire il timone questa nave sgangherata a uomini e donne incontrollabili. Ieri l’ultimo inutile tentativo di mediazione. Una riunione MpoVimento-Pd (da fare in diretta streaming), fissata, rimandata, infine annullata, perché i democrat non hanno voglia di passare da scendiletto. Partita a poker. Oggi si vedono le carte. «Nessun problema. Voteremo compatti per Fico», spiega la capogruppo Roberta Lombardi.
Così mentre i media cercano inutilmente di togliergli sette strati della pelle, di rubargli i pensieri, il neo candidato alla Camera, una collanina di perline al collo - «però ho la giacca. E domani mi metto anche la cravatta» racconda di quando, dopo la laurea in scienze della comunicazione e un anno passato all’università di Helsinki, aveva accettato l’impiego in un call center per 900 euro al mese. «Pronto, sono Roberto, come posso esserle utile?». Era così che funzionava. «Ho fatto molti lavori. Anche il manager in un hotel e il dirigente per un tour operator internazionale. Sempre contratti a tempo indeterminato. Ma dalla vita volevo altro. Proporre, altro che protestare. Per questo ho trovato Grillo. La casta ci ha sempre respinto» sussurra con l’insolita miscela di pragmatismo e sensibilità di chi si è sempre messo in gioco. «Mio padre lavorava al Banco di Napoli. La mamma è casalinga. Ho una sorella di 34 anni. Disoccupata. E una compagna fotografa». La stampa lo pressa. I suoi colleghi-cittadini-parlamentari lo abbracciano. Gli danno pacche sulle spalle. Lui sorride. Ha sviluppato una straordinaria capacità di mostrarsi interessato anche quando la sua mente sta pascolando chissà dove. «Montecitorio non è un fortino. Restituiremo le istituzione alle persone normali». Lo sa che da qui non lo caccia nessuno, ma l’istinto di guardare le figurine del Palazzo come si guardano i matti non gli è passato. E allora si allontana stringendo mani, incredulo, rilassato, sopraffatto da una felicità sconfinata.