Gianni Riotta, La Stampa 15/3/2013, 15 marzo 2013
AUNG, L’ ANGELO CADUTO NELL’ INFERNO DELLA REALTA’
Non c’era icona più magnifica della signora Aung San Suu Kyi, dissidente e premio Nobel per la pace birmana, detenuta da una giunta selvaggia, figlia di un padre della patria, bellissima, simbolo per chi ha ancora a cuore sulla nostra Terra libertà e giustizia. Vederla lasciare gli arresti domiciliari, parlare al suo popolo, ispirare rinascita democratica e tolleranza è stata un’ora da ricordare.
Ma, come tutti i simboli che tornano nella realtà, riprendono a fare politica fuori dal mito, nella vita comune, oggi la signora Aung San Suu Kyi è criticata, commette errori, vede la sua immagine corrosa nel vortice dei blog online, dei giornali. Sul sito prestigioso del Council on Foreign Relations lo studioso del Sud-Est asiatico Joshua Kurlantzick denuncia da mesi l’ipocrisia con cui la premio Nobel tace, minimizza, occulta la feroce persecuzione in corso nel suo Paese contro la minoranza musulmana dei Rohingya, un milione di esseri umani senza difese che vivono nella regione occidentale di Myanmar (l’antica Birmania) nello stato di Rakhine (già Arakan).
San Suu Kyi ha invocato l’esercito contro di loro, ha negato di considerarli cittadini come tutti gli altri, non ha speso una parola per mitigare la violenza dei buddisti birmani contro i fedeli all’Islam.
Ora arrivano accuse di finanziamenti controversi, di eccessiva scaltrezza nella trattativa politica, insomma il mito torna umano, fragile, imperfetto. Lesti gli avversari di un tempo si uniscono ai seguaci delusi: Aung San Suu Kyi è come tutti gli altri. Gli errori di oggi cancellano, sporcano, inquinano il coraggio e la sofferenza di ieri.
È il passatempo preferito, creare icone preziose e poi travolgerle nella furia della realtà. Il nuovo papa, Francesco, era ancora sul balcone di San Pietro a chiedere la benedizione della folla, prima dell’Urbi et Orbi, e già online circolavano polemiche per la sua condotta negli anni della dittatura militare in Argentina. Cronaca corretta e rigore storico lasciavano subito posto alla diffamazione garrula: il regista premio Oscar Michael Moore lanciava sul suo account twitter una «foto» di Bergoglio che porge la Comunione al sanguinario despota argentino Videla, salvo, 24 ore dopo, suggerire che non è autentica.
Vogliamo in copertina, in diretta tv, in homepage online, Angeli e aspettiamo golosi l’attimo in cui dichiararli Demoni. Ci sfugge, per ingenuità, ignoranza, malafede, che sono solo Uomini e Donne, capaci di gloria, di mediocrità, nefandezze. Ad Obama è stato dato un acerbo premio Nobel per la Pace che gli si rinfaccia adesso a ogni attacco di droni sull’Afghanistan. L’ex presidente della Federal Reserve americana Alan Greenspan era così riverito da avere una biografia chiamata «The Maestro»: ora non c’è studente di secondo anno di economia che non gli affibbi la responsabilità intera della crisi finanziaria. Così va il mondo nel 2013.
Delusi dalla realtà ci rifugiamo in una patetica ricerca di purezza assoluta, nel mondo o a casa nostra. Per chi oggi decide - deluso da anni di corruzione in Italia - di dar fiducia a Beppe Grillo e agli uomini delle sue 5 Stelle nulla riesce a intaccare il miraggio di perfezione dei suoi «giovani». Eccessi retorici, ingenuità politiche, investimenti opachi che agli avversari sarebbero contestati con furore vengono invece perdonati a propri leader. Un modello, del resto, che a centrodestra, da anni, è applicato all’ex premier Berlusconi, osannato dai suoi, mai studiato dagli avversari.
Nello sport non amiamo altro se non fischiare gli assi per cui ci sgolavamo ieri, nello spettacolo non c’è show più popolare di vedere la stella invidiata cadere nel fango. E’ sempre stato così, potrebbe obiettare il lettore: vero, questa meschinità fa parte della natura umana.
Ma il mondo iperconnesso in cui viviamo impedisce ai leader ogni normalità. Churchill mandò lettere di adulazione a Mussolini fino a pochi giorni prima della dichiarazione di guerra nel 1940, pur di tenerlo neutrale. L’eroe pacifista Gandhi non esitò a incontrare il Duce, nemico dei suoi nemici inglesi. Roosevelt salvò l’America dalla crisi e il mondo da Hitler, ma internò, senza colpa, i civili giapponesi in California. Il mestiere di quei leader che definiamo «grandi» nei manuali di Storia sarebbe stato ancor più difficile in un’era con falangi di petulanti frettolosi - alla Moore - ad attaccarli via web ad ogni istante.
Le critiche alla signora Aung San Suu Kyi sono fondate, il suo comportamento non è purtroppo all’altezza della fama e del rispetto di cui gode. Speriamo presto si ravveda e capisca che i diritti umani per cui tanti si sono battuti in suo nome non conoscono ragione «politica», e vanno sempre affermati, quando conviene e quando non conviene alla propria fazione.
Nel frattempo però, in Italia e ovunque, smettiamo di incensare i leader del momento ebbri di fede, studiamoli, vediamone luci ed ombre, accettiamone con serietà limiti umani, contraddizioni, errori, incertezze. Accettiamo che torti e ragioni non stanno mai solo dalla nostra parte. Non solo capiremo tutto meglio: ci eviteremo domani una precipitosa umiliazione quando gli Angeli, che senza logica avevamo posto in Cielo, cadranno come Demoni grotteschi nell’Inferno della Realtà.