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 2013  marzo 15 Venerdì calendario

NON BASTANO LE BALLERINE PER FARE UNA TV

Solo il tempo dirà se per Telecom è stato un affare vendere "La7" a Urbano Cairo dandogli anche un centinaio di milioni purché se la prendesse. Per ora bisogna solo notare che il management di "Ti media", la società che controllava l’emittente, ha fallito perché il deficit era aumentato in modo esponenziale. Parla Tarak Ben Ammar, 63 anni, produttore franco-tunisino che siede nei consigli d’amministrazione sia di Telecom sia di Mediobanca, amico di Berlusconi e di Rupert Murdoch, uno che il mondo delle televisioni lo conosce bene e controlla anche i canali "Sportitalia". In questa intervista con "l’Espresso" analizza lo stato del capitalismo italiano «che viene vissuto come una casta a causa delle troppe commistioni e intrecci con le stesse persone che stanno sedute su troppe poltrone». E saluta il successo di Beppe Grillo come «una ventata di novità che potrebbe essere salutare».
Tarak Ben Ammar, partiamo da "La7". Avete fatto la scelta migliore?
«Difficile rispondere. Cairo come editore ha dato buone prove. Si è fatto da solo, è andato in Borsa, gestisce bene i suoi giornali. Come concessionario della pubblicità per la tv ha sempre portato il minimo garantito. Sull’uomo, niente da dire».
E per il resto?
«Dal punto di vista di Telecom era un problema svendere "La7". Poi di fatto abbiamo dato una dote a Cairo per prenderla».
Qualcuno l’ha giudicato un regalo.
«Lo sapremo tra due anni chi ci ha guadagnato. In pratica gli abbiamo pagato un anno di perdite. Io ero per il fondo Clessidra di Claudio Sposito che, fatti i conti della serva, avrebbe dato a Telecom contanti di cassa più la comproprietà dei multiplex».
E chi ha spinto per Cairo?
«Il management. La valutazione di Franco Bernabé è stata: vendiamo la tv e ci teniamo i multiplex che valgono al minimo 300 milioni ma forse di più. Se poi il management si sarà sbagliato, il consiglio di amministrazione glielo farà notare».
E l’offerta dell’ultima ora di Diego Della Valle?
«Non capisco perché si sia mosso così tardi e non sei mesi prima. In generale penso che Della Valle possa essere un buon editore. Avevo anche detto in passato che avrei visto con favore una sua scalata al "Corriere". Perché, come dice il mio amico Murdoch, un giornale deve avere un solo editore».
Cairo o Sposito: due vicini a Berlusconi.
«Voi in Italia avete l’ossessione di Berlusconi. Vi pare che Cairo, o Sposito con Bassetti, possano imporre a Santoro, Mentana, Lerner ciò che devono fare? Vorrebbe dire che tutti coloro che hanno lavorato in Mediaset rimangono a vita schiavi o cagnolini di Berlusconi ed è un’offesa per le tante professionalità passate da quell’azienda. Cairo ci mette soldi suoi. Il fondo Clessidra di Sposito ha ormai in pancia più soldi americani che italiani. E gli americani prenderebbero ordini da Berlusconi? È come quando sostengono che io in Mediobanca sono l’uomo di Bolloré o dello stesso Berlusconi. Dietrologia. Per la verità non solo italiana. Per fare un paragone, nel mondo arabo sono ancora convinti che lady Diana è stata uccisa perché era incinta di un musulmano... Ma se Cairo non gli dà la libertà che vogliono i giornalisti de "La7" gli piazzano uno sciopero e lo mettono in ginocchio. Per lui i problemi cominciano adesso perché, dopo la campagna contro, dovrà dimostrare di essere indipendente».
Perché Telecom ha fallito con "La7"?
«È la critica più grossa che il consiglio ha fatto al management. Anche Bernabé ha ammesso che sono stati commessi errori. L’ex presidente Giovanni Stella fino alla fine del 2010 fa era riuscito a contenere i costi. Poi ha preso il gusto delle ballerine, ha voluto le grandi star e siamo passati da circa 85 a 240 milioni di perdite. Bernabé l’ha riconosciuto e si è convinto a vendere».
Avete comunque tergiversato parecchio .
«Ho sentito le accuse contro Bernabé di chi pensava che non la volesse cedere. Ma sono abituato a valutare i fatti e Franco l’ha venduta. Quando Bersani hadichiarato che era meglio non venderla in fretta ho pensato che fosse meglio evitare che quella diventasse una partita politica. Immaginate se fosse stato fatto dopo le elezioni e tutti avessero voluto dire la loro il Pd, il Pld, ora anche Grillo...».
Grillo dice che i conduttori tv sono pagati per «sputtanarlo».
«Non ho mai sentito un politico dire una cosa diversa. E in effetti tutte le tv nel mondo fanno politica. Non solo in Italia; basti pensare alla campagna di Fox news contro Obama. O alla mia Nessma tv che in Tunisia si è schierata prima contro Ben Ali e ora contro i Fratelli musulmani».
Si dice spesso che l’anomalia italiana deriva dal fatto che da noi mancano editori puri.
«Tempo fa avevo fatto una battuta sugli editori del "Corriere" che mi sembrano un Club del golf. Ribadisco: non va bene che siano così tanti. Uno può essere pro o contro le idee dell’ingegner De Benedetti, ma il gruppo "Espresso" ha un editore solo e con una linea chiara. Quanto agli editori puri ne esistono pochi. Forse l’unico è Murdoch».
Lei sta anche in Mediobanca. Dove si fanno forti le voci di fine dell’era di Alberto Nagel.
«Non vivo di voci e come azionista del patto di sindacato non vedo oggi problematiche legate al management. Detto questo non c’è manager nel mondo (compreso il figlio di Murdoch quando controllava la sua azienda) che non rischi il posto se non tornano i conti. Prendiamo l’ex amministratore delegato di Generali Giovanni Perissinotto. Sbaglio o no se sostengo che proprio quelli che cacciarono Geronzi lo consideravano inamovibile e poi proprio loro lo hanno mandato a casa? Nagel, e Renato Pagliaro, sanno bene che saranno giudicati sulla base dei risultati».
Mediobanca sembra perdere centralità nel panorama finanziario italiano.
«Sono in Mediobanca dal 2002 e non ho mai pensato che la Mediobanca che conosco sia la stessa dell’epoca Cuccia. Non era già più centrale. Non ho mai capito la definizione "salotto buono". Cosa ci fa un arabo come me nel salotto buono? Le cose cambiano. La Fiat di oggi è come quella dell’avvocato Agnelli? No. Così Mediobanca che comunque non ha nessun problema di liquidità come sento dire in giro. Abbiamo semmai un problema con le partecipazioni perché le Borse vanno come vanno. Mediobanca non è in pericolo. E non vedo problemi in Generali dove abbiamo partecipazioni importanti e siamo felici che Mario Greco la stia mettendo a posto alla grande. Da quando c’è lui il titolo è salito».
Si accusa anche il capitalismo italiano di essere autoreferenziale.
«Il capitalismo italiano riflette l’anomalia delle troppe partecipazioni incrociate. Troppi consiglieri stanno seduti in troppe società, godono di troppi privilegi e sono vissuti come casta. Il capitalismo italiano è in ritardo soprattutto se penso alle banche e alla lentezza con la quale concedono prestiti ai piccoli imprenditori. L’economia si ferma perché gli istituti di credito non svolgono più il ruolo di motore economico del Paese. È stata fatta una legge che impedisce a chi sta nelle assicurazioni di stare anche nelle banche e va bene. Ma c’è ancora molto lavoro da fare per la trasparenza totale. Ora è in atto un profondo cambiamento.Gli italiani stanno vivendo il voto a Grillo nello stesso modo in cui i Paesi del Maghreb hanno vissuto la primavera araba e spero porti del buono».
Compreso un rinnovamento della classe dirigente?
«Il cambiamento è una regola di vita. Qualcuno ricorderà quando Della Valle disse: a casa i vecchi. E io gli risposi che non si giudica la gente dall’età e difesi i Bazoli e i Geronzi. Però capisco il messaggio che mandava Diego. Adesso bisognerà vedere come evolve la situazione. Spero che il messaggio di Grillo sia positivo. E sappia anche cosa vuole costruire non solo cosa vuole distruggere». Solo il tempo dirà se per Telecom è stato un affare vendere "La7" a Urbano Cairo dandogli anche un centinaio di milioni purché se la prendesse. Per ora bisogna solo notare che il management di "Ti media", la società che controllava l’emittente, ha fallito perché il deficit era aumentato in modo esponenziale. Parla Tarak Ben Ammar, 63 anni, produttore franco-tunisino che siede nei consigli d’amministrazione sia di Telecom sia di Mediobanca, amico di Berlusconi e di Rupert Murdoch, uno che il mondo delle televisioni lo conosce bene e controlla anche i canali "Sportitalia". In questa intervista con "l’Espresso" analizza lo stato del capitalismo italiano «che viene vissuto come una casta a causa delle troppe commistioni e intrecci con le stesse persone che stanno sedute su troppe poltrone». E saluta il successo di Beppe Grillo come «una ventata di novità che potrebbe essere salutare».
Tarak Ben Ammar, partiamo da "La7". Avete fatto la scelta migliore?
«Difficile rispondere. Cairo come editore ha dato buone prove. Si è fatto da solo, è andato in Borsa, gestisce bene i suoi giornali. Come concessionario della pubblicità per la tv ha sempre portato il minimo garantito. Sull’uomo, niente da dire».
E per il resto?
«Dal punto di vista di Telecom era un problema svendere "La7". Poi di fatto abbiamo dato una dote a Cairo per prenderla».
Qualcuno l’ha giudicato un regalo.
«Lo sapremo tra due anni chi ci ha guadagnato. In pratica gli abbiamo pagato un anno di perdite. Io ero per il fondo Clessidra di Claudio Sposito che, fatti i conti della serva, avrebbe dato a Telecom contanti di cassa più la comproprietà dei multiplex».
E chi ha spinto per Cairo?
«Il management. La valutazione di Franco Bernabé è stata: vendiamo la tv e ci teniamo i multiplex che valgono al minimo 300 milioni ma forse di più. Se poi il management si sarà sbagliato, il consiglio di amministrazione glielo farà notare».
E l’offerta dell’ultima ora di Diego Della Valle?
«Non capisco perché si sia mosso così tardi e non sei mesi prima. In generale penso che Della Valle possa essere un buon editore. Avevo anche detto in passato che avrei visto con favore una sua scalata al "Corriere". Perché, come dice il mio amico Murdoch, un giornale deve avere un solo editore».
Cairo o Sposito: due vicini a Berlusconi.
«Voi in Italia avete l’ossessione di Berlusconi. Vi pare che Cairo, o Sposito con Bassetti, possano imporre a Santoro, Mentana, Lerner ciò che devono fare? Vorrebbe dire che tutti coloro che hanno lavorato in Mediaset rimangono a vita schiavi o cagnolini di Berlusconi ed è un’offesa per le tante professionalità passate da quell’azienda. Cairo ci mette soldi suoi. Il fondo Clessidra di Sposito ha ormai in pancia più soldi americani che italiani. E gli americani prenderebbero ordini da Berlusconi? È come quando sostengono che io in Mediobanca sono l’uomo di Bolloré o dello stesso Berlusconi. Dietrologia. Per la verità non solo italiana. Per fare un paragone, nel mondo arabo sono ancora convinti che lady Diana è stata uccisa perché era incinta di un musulmano... Ma se Cairo non gli dà la libertà che vogliono i giornalisti de "La7" gli piazzano uno sciopero e lo mettono in ginocchio. Per lui i problemi cominciano adesso perché, dopo la campagna contro, dovrà dimostrare di essere indipendente».
Perché Telecom ha fallito con "La7"?
«È la critica più grossa che il consiglio ha fatto al management. Anche Bernabé ha ammesso che sono stati commessi errori. L’ex presidente Giovanni Stella fino alla fine del 2010 fa era riuscito a contenere i costi. Poi ha preso il gusto delle ballerine, ha voluto le grandi star e siamo passati da circa 85 a 240 milioni di perdite. Bernabé l’ha riconosciuto e si è convinto a vendere».
Avete comunque tergiversato parecchio .
«Ho sentito le accuse contro Bernabé di chi pensava che non la volesse cedere. Ma sono abituato a valutare i fatti e Franco l’ha venduta. Quando Bersani hadichiarato che era meglio non venderla in fretta ho pensato che fosse meglio evitare che quella diventasse una partita politica. Immaginate se fosse stato fatto dopo le elezioni e tutti avessero voluto dire la loro il Pd, il Pld, ora anche Grillo...».
Grillo dice che i conduttori tv sono pagati per «sputtanarlo».
«Non ho mai sentito un politico dire una cosa diversa. E in effetti tutte le tv nel mondo fanno politica. Non solo in Italia; basti pensare alla campagna di Fox news contro Obama. O alla mia Nessma tv che in Tunisia si è schierata prima contro Ben Ali e ora contro i Fratelli musulmani».
Si dice spesso che l’anomalia italiana deriva dal fatto che da noi mancano editori puri.
«Tempo fa avevo fatto una battuta sugli editori del "Corriere" che mi sembrano un Club del golf. Ribadisco: non va bene che siano così tanti. Uno può essere pro o contro le idee dell’ingegner De Benedetti, ma il gruppo "Espresso" ha un editore solo e con una linea chiara. Quanto agli editori puri ne esistono pochi. Forse l’unico è Murdoch».
Lei sta anche in Mediobanca. Dove si fanno forti le voci di fine dell’era di Alberto Nagel.
«Non vivo di voci e come azionista del patto di sindacato non vedo oggi problematiche legate al management. Detto questo non c’è manager nel mondo (compreso il figlio di Murdoch quando controllava la sua azienda) che non rischi il posto se non tornano i conti. Prendiamo l’ex amministratore delegato di Generali Giovanni Perissinotto. Sbaglio o no se sostengo che proprio quelli che cacciarono Geronzi lo consideravano inamovibile e poi proprio loro lo hanno mandato a casa? Nagel, e Renato Pagliaro, sanno bene che saranno giudicati sulla base dei risultati».
Mediobanca sembra perdere centralità nel panorama finanziario italiano.
«Sono in Mediobanca dal 2002 e non ho mai pensato che la Mediobanca che conosco sia la stessa dell’epoca Cuccia. Non era già più centrale. Non ho mai capito la definizione "salotto buono". Cosa ci fa un arabo come me nel salotto buono? Le cose cambiano. La Fiat di oggi è come quella dell’avvocato Agnelli? No. Così Mediobanca che comunque non ha nessun problema di liquidità come sento dire in giro. Abbiamo semmai un problema con le partecipazioni perché le Borse vanno come vanno. Mediobanca non è in pericolo. E non vedo problemi in Generali dove abbiamo partecipazioni importanti e siamo felici che Mario Greco la stia mettendo a posto alla grande. Da quando c’è lui il titolo è salito».
Si accusa anche il capitalismo italiano di essere autoreferenziale.
«Il capitalismo italiano riflette l’anomalia delle troppe partecipazioni incrociate. Troppi consiglieri stanno seduti in troppe società, godono di troppi privilegi e sono vissuti come casta. Il capitalismo italiano è in ritardo soprattutto se penso alle banche e alla lentezza con la quale concedono prestiti ai piccoli imprenditori. L’economia si ferma perché gli istituti di credito non svolgono più il ruolo di motore economico del Paese. È stata fatta una legge che impedisce a chi sta nelle assicurazioni di stare anche nelle banche e va bene. Ma c’è ancora molto lavoro da fare per la trasparenza totale. Ora è in atto un profondo cambiamento.Gli italiani stanno vivendo il voto a Grillo nello stesso modo in cui i Paesi del Maghreb hanno vissuto la primavera araba e spero porti del buono».
Compreso un rinnovamento della classe dirigente?
«Il cambiamento è una regola di vita. Qualcuno ricorderà quando Della Valle disse: a casa i vecchi. E io gli risposi che non si giudica la gente dall’età e difesi i Bazoli e i Geronzi. Però capisco il messaggio che mandava Diego. Adesso bisognerà vedere come evolve la situazione. Spero che il messaggio di Grillo sia positivo. E sappia anche cosa vuole costruire non solo cosa vuole distruggere».