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 2013  marzo 15 Venerdì calendario

UN SOGLIO PER DUE

Fresco di nomina e col conclave alle spalle, il nuovo papa ha davanti a sé un’agenda che fa tremare. Quel «vigore nel corpo e nell’animo» che, spegnendosi, aveva indotto il suo predecessore al ritiro gli sarà obbligatorio, per governare la Chiesa. E proprio l’attuale "chi è" di Joseph Ratzinger sarà il suo problema più immediato, senza precedenti nella storia della Chiesa. Da un lato c’è chi vede e vuole in Benedetto XVI un papa "per sempre", anche dopo e nonostante la rinuncia, col rischio di un permanente confronto tra il vecchio papa e il nuovo, per qualcuno addirittura tra papa e antipapa, in una Chiesa a due teste. E dall’altro c’è invece chi vede nella rinuncia di Ratzinger uno svuotamento salutare della figura stessa del papa, l’alba di un papato più "moderno" e più "umano", perché abbassato alla dimensione di un qualsiasi vescovo e con l’orologio del tempo a limitarne la durata, come per l’amministratore di una terrena società per azioni.
I DUE PAPI
Il ruolo da riconoscere nel suo vivente predecessore sarà una delle prime decisioni del nuovo eletto, apparentemente minima, invece gravida di storiche conseguenze. Rigettato con fermezza dai canonisti, il titolo di "papa emerito" applicato a Benedetto XVI è stato sì incautamente incoraggiato da chi è più vicino a Ratzinger nel suo ritiro, ma è ancor più funzionale proprio a chi vuole rovesciare teologicamente e giuridicamente il papato, da fuori e da dentro la Chiesa. La nuova edizione ufficiale dell’Annuario Pontificio, che oltre allo "status" risaputo del nuovo papa dovrà definire anche quello del suo predecessore, sarà un test di primaria importanza.
LA CURIA
La trascuratezza del diritto è infatti da almeno mezzo secolo uno dei punti di crisi della Chiesa cattolica. L’idea secondo cui «la Chiesa non debba essere una Chiesa del diritto ma una Chiesa dell’amore» - idea denunciata con forza ma con poco successo da Benedetto XVI - ha dato fiato non soltanto al sogno utopistico di un cristianesimo spirituale senza più gerarchia né dogmi, ma anche, più materialmente, al malgoverno di una curia vaticana lasciata a se stessa, cioè anche ai suoi intrighi, alle ambizioni, ai malaffari, ai tradimenti. I cardinali che l’hanno eletto aspettano dal nuovo papa che intervenga da subito e con decisione a rimettere ordine nella curia. Tra un papa e l’altro i capi dei vari uffici decadono. L’attesa dei più è che le riconferme di routine non vanifichino lo "spoils system", come quasi sempre è avvenuto. Il primissimo atto di Giovanni XXIII da papa fu la nomina del nuovo segretario di Stato: il validissimo Domenico Tardini, diplomatico di prim’ordine. Dal nuovo papa ci si aspetta lo stesso.
LO IOR
La curia, con i suoi uomini e le strutture, «non deve essere come la corazza di Saul, che indossata dal giovane Davide gli impediva di camminare», disse una volta Ratzinger. L’Istituto per le Opere di Religione, la "banca" vaticana, è uno di questi ferrivecchi senza i quali la Chiesa sarebbe più libera. In passato, quando operava come un paradiso "off shore", lo Ior offriva ai suoi clienti di tutto il mondo opportunità che altri non davano, nel bene e nel male. Ma da quando Benedetto XVI ha voluto che si sottomettesse agli standard e ai controlli dei paesi della "white list", la sua particolarità è finita. Una sua chiusura recherebbe alla Chiesa solo vantaggi.
LA COLLEGIALITÀ
Una curia più snella consentirebbe anche un legame più diretto tra il centro e la periferia della Chiesa, tra il papa e i vescovi. È il capitolo della "collegialità", scritto dal Concilio Vaticano II ma rimasto in buona misura ancora da attuare. Come il papa è il successore di Pietro, così i vescovi sono la continuazione dell’insieme dei dodici apostoli, e assieme a lui devono governare la Chiesa. I criteri per la loro scelta sarà un altro dei punti in attesa di innovazione. Una pletora di nomine mediocri è stato uno dei motivi della decadenza della Chiesa in molti Paesi. Mentre il contrario è accaduto dove alla testa delle diocesi sono stati insediati vescovi di alto livello. Il caso più evidente di una Chiesa risorta grazie alla capacità di guida di una nuova squadra di vescovi di prima qualità è dato dagli Stati Uniti.
IL CASO CINA
I vescovi sono l’immagine vivente della nuova geografia della Chiesa cattolica. Sono 5 mila, di ogni popolo e lingua. La libertà nella loro nomina è una delle conquiste che la Chiesa ha più cara. E qui si apre sull’agenda del nuovo papa il capitolo Cina. Sarà la superpotenza del futuro, ma intanto le sue autorità si comportano come le vecchie monarchie d’una volta, pretendono di decidere loro quali vescovi insediare e quali altri deporre, con l’intento di contrapporre una loro Chiesa "patriottica" alla Chiesa universale. La mitica diplomazia vaticana avrà qui il suo più difficile terreno di prova. Ma la questione Cina è ben più vasta. La sua ascesa come potenza mondiale metterà alla prova la fede cristiana ancor più radicalmente di quanto faccia l’Islam. La religiosità cinese è priva della fede in un Dio che è persona, che si può invocare come Padre, che ha inviato il suo Figlio come uomo tra gli uomini. È una religiosità avvolgente, è una sapienza più che una fede. È l’alternativa più temibile che il cristianesimo può incontrare nei decenni futuri. Non è un caso che l’Asia, dove oltre alla Cina c’è l’India, anch’essa con una religiosità molto "inclusiva", sia il continente nel quale il cristianesimo ha trovato più difficoltà ad espandersi, nella storia. Ed è anche quello dove oggi è particolarmente osteggiato e perseguitato, sia in Cina sia in India, nonostante il profilo apparentemente pacifico delle religioni buddista e induista.
LA PRIORITÀ SUPREMA
E qui si arriva al cuore dell’agenda del nuovo papa. Perché quella che Benedetto XVI definì la «priorità» del suo pontificato sarà la stessa anche per il suo successore. «Il vero problema in questo nostro momento della storia», scrisse papa Ratzinger in una sua memorabile lettera ai vescovi, «è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più. Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del successore di Pietro in questo tempo».
Tutto il resto di cui hanno discusso i cardinali prima del conclave, il malgoverno della curia e delle finanze vaticane, l’onda lunga degli scandali sessuali, le guerre intestine tra ecclesiastici, non è che il rovescio buio di questa che è la ragione di vita della Chiesa: «Aprire agli uomini l’accesso a Dio». È la «sporcizia» che deve essere spazzata via con decisione, se si vuole che la Chiesa possa dedicarsi tutta, senza ombre che la oscurino, alla sua missione unica e vera: ravvivare la fede cristiana dove sta per spegnersi e propagarla dove non è ancora arrivata.
L’UOMO NUOVO
Prima e durante il conclave, nessuno dei cardinali ha osato prendere le distanze dalla diagnosi fatta da Benedetto XVI sulla crisi di fede di questo tempo. Il nuovo papa è sicuro che procederà nel suo solco. Crisi di fede ma anche mutamento radicale della visione dell’uomo. Perché le bioscienze sono ormai il nuovo verbo della modernità. Verbo onnipotente, perché non solo interpreta l’uomo, ma decide su di esso, e lo trasforma, e si appropria della sua stessa generazione. Il suo ultimo grande discorso programmatico, alla vigilia dello scorso Natale, Benedetto XVI l’ha dedicato a una critica dell’avanzante nuova filosofia della sessualità, quella del "gender", con l’uomo che si sostituisce a Dio come creatore della propria individualità corporea.
Alla Chiesa cattolica e quindi in primo luogo al suo successore, in quello stesso discorso papa Benedetto affidò una consegna: farsi custodi della «memoria dell’essere uomini di fronte a una civiltà dell’oblio». Anche per questo nel nuovo papa ci vorrà un grande «vigore», in tempi nei quali contro i discepoli di Gesù «diranno ogni sorta di male per causa mia» e proprio per questo saranno chiamati beati.