Diego Gabutti, ItaliaOggi 15/3/2013, 15 marzo 2013
I BIG DELLA POLITICA FANNO PIÙ DANNI DI QUANTI NE RISOLVANO
È una questione di principio: l’antipolitica ha torto anche quando ha ragione, e benché abbia quasi sempre ragione, semplicemente non si può consentire che la democrazia, con le sue regole, anche imperfette, venga sostituita dalla demagogia in salsa di web grillino. Un politico bugiardo e ladro, e persino un politico inetto e impotente, è da preferire agli Psicopatici al potere di cui parla Jon Ronson in un saggio in uscita da Codice Edizioni. Ma naturalmente è la crescente insignificanza della politica a spiegare la popolarità dell’antipolitica. Attuale direttore del Giorno, vice di Montanelli alla Voce, poi parlamentare in quota Popolo della libertà nella scorsa legislatura, Giancarlo Mazzuca spiega di quale sostanza sono fatti i sogni della politica, nel suo ultimo libro, Compagni di camera. Il «reality» segreto di una legislatura, Minerva Edizioni 2013, pp. 224, 15,00 euro. È il racconto minimalista, senza tanti paroloni, e senza un particolare sfoggio di princìpi, di un’esperienza politica dall’interno del Palazzo. Mazzuca, per raccontare la sua storia, s’ispira al classico memoir di Ferdinando Petruccelli della Gattina: I moribondi di Palazzo Carignano, Mursia 2011. Giornalista anche lui, Petruccelli della Gattina fu eletto, quale esponente dell’opposizione, nel primo parlamento italiano. Era il 1861, quando Torino (che oggi non è più la capitale dell’automobile e forse neanche più dei gianduiotti) era la capitale d’Italia e alla politica, che aveva unificato la nazione e che prometteva di modernizzarlo, non si guardava ancora con la diffidenza che sarebbe presto maturata. Petruccelli della Gattina fornì i primi argomenti a chi cominciava a temere il peggio: fu il primo a denunciare le immunità e i privilegi della casta, a mettere in burletta i tromboni che prendevano la parola in aula e i peones che non votavano secondo coscienza, come le costituzioni comandano, ma che votavano a comando, marionette nelle mani di quelle che già allora erano le «segreterie politiche». Mazzucca e il suo «sosia» ottocentesco hanno visto le stesse streghe: l’autoreferenzialità dei politici e la loro assoluta indifferenza per quelli che gli stessi politici (nel loro gergo piagnucoloso e ormai intollerabile) chiamano «i problemi della gente». Mazzucca racconta con umorismo e leggerezza la sua lunga e sterile stagione romana. Ma soltanto perché dev’essere un uomo di buon carattere, che lascia correre quando le sue opinioni sono ignorate e anche quando le sue proposte di legge, per quanto sensate, almeno ai suoi occhi, sono accolte e poi dimenticate, anzi scacciate come cattivi pensieri. Mazzuca, che non se la prende mai con nessuno, in parlamento s’è fatto degli amici, di cui parla con affetto, e inoltre ha imparato cose di cui prima non sapeva nulla, o poco, per esempio che le oligarchie politiche fanno più danni di quanti ne risolvano. Tanto gli basta per non giudicare perduti cinque anni della sua vita. Ma sono giusto i cinque perdutissimi anni che hanno fatto di Beppe Grillo e di Gianroberto Casaleggio due Onnipotenti, a capo di quella che, se gl’italiani non rinsaviscono in fretta, diventerà un’altra oligarchia, più pericolosa e nefasta di quelle che l’hanno preceduta. Attualizzazione dei Moribondi di Palazzo Carignano, Compagni di camera avrebbe potuto intitolarsi Gli zombies o i morti che camminano di Montecitorio, o anche Le facce da culo di Palazzo Madama. Se la democrazia formale, come denunciavano un tempo i suoi critici, è in realtà una creatura delle élites che di volta in volta interpretano o manipolano gli umori delle masse, be’, da noi non ci sono élites a interpretare e manipolare alcunché. Siamo soli e male accompagnati. In Italia, a parte Beppe Grillo e il Bundenstag, non c’è più nessuno.