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 2013  marzo 15 Venerdì calendario

ELETTO CON PIÙ VOTI DI RATZINGER GLI AMERICANI SCATENANO LA VALANGA DOPO IL VETO DEI CURIALI SU SCOLA

CITTÀ DEL VATICANO — Dentro il Vaticano si parla di «larga elezione » per Papa Francesco, sembra addirittura con più voti di quanti ne prese Joseph Ratzinger nel 2005. Con le diverse fazioni che sono salite una dopo l’altra sul carro vincente. Fin dal primo scrutinio Jorge Mario Bergoglio ha preso i voti di molti riformatori, anzitutto i voti degli extra europei. Poi quelli degli americani, convinti dall’arcivescovo di Washington Donald Wuerl, rivelatosi inatteso Pope maker dentro la Sistina, che era lui la soluzione giusta per «purificare» e «riformare » la Chiesa. Poi si sono decisi anche alcuni europei — fra questi l’arcivescovo di Parigi André Vingt-Trois — accortisi fin da subito che il nome di Angelo Scola non guadagnava i consensi previsti.
Già dall’inizio, insomma, l’arcivescovo di Milano è rimasto di molto sotto le aspettative. Ma ancora più al di sotto è stato il candidato dei curiali, il brasiliano di origini tedesche Odilo Scherer. Una sconfitta netta la sua, che ha obbligato, non senza un discreto tempismo, prima il decano del Conclave il cardinale Giovan Battista Re (e con lui i fedelissimi di Angelo Sodano), e alla fine anche i bertoniani, a votare Bergoglio, a schierarsi col porporato argentino per non vedersi compromessa almeno sulla carta una qualche chance per il dopo.
Beninteso, i cardinali elettori
non parlano, non confidano il segreto del Conclave, restano fedeli al giuramento fatto. Eppure, da mezze parole e qualche accenno, questo sembra essere il quadro di un Conclave sostanzialmente breve: di pochissimo sotto la media dei 5,33 scrutini degli ultimi tre Conclavi, i due del 1978 e l’ultimo del 2005.
Bergoglio ha visto crescere la propria candidatura dopo il proprio intervento nell’Aula Paolo VI, durante le Congregazioni generali. Qui, senza usare tutti i cinque minuti concessigli, ha parlato di «purificazione» e «carrierismo ». Due parole come fuoco, nel cuore dei suoi confratelli cardinali. In tempi di Vatileaks e dissidi interni — nessuno si scorda dell’esistenza della Relatio riservata lasciatagli da leggere dai tre cardinali inquisitori — , il richiamo alla purezza del Vangelo, alla necessità di rinnovare daccapo spiriti e strutture, ha scosso nel profondo il Collegio. I cardinali non si sono confidati l’emozione che ha dato loro il 76enne arcivescovo di Buenos Aires, ma al momento del voto si sono resi conto d’essere in tanti ad aver provato la stessa cosa. Molti dei riformatori, in un’Aula Paolo VI faticosamente protetta dalle incursioni esterne, hanno deciso per lui. Anzitutto i sudamericani, che dopo il durissimo intervento del prefetto dei Religiosi, il brasiliano
João Braz de Aviz che aveva tuonato contro i mali della curia romana, hanno preso coraggio e hanno scelto l’opzione di un voto di svolta totale.
Già domenica Bergoglio sentiva che qualcosa stava crescendo intorno a lui. Piazza San Pietro non era del tutto piena in assenza del consueto appuntamento dell’Angelus. Bergoglio si concedeva una camminata fra le colonne del Bernini come ad assaporare l’attesa di un momento epocale. E incontrando un amico cardinale gli confidava: «Chiedo preghiere perché non so cosa stanno pensando per me gli altri
cardinali». Già domenica un qualche movimento in suo favore era dunque iniziato. E lui, pur riservato e solitario, l’aveva percepito.
Entro le mura leonine i gesti e le parole hanno un peso diverso. Decisive in questo senso certe frasi pronunciate da Angelo Sodano
durante la “Missa pro eligendo” poche ore rima dell’extra omnes. Lo scontro fra curiali e riformatori era conclamato, aperto, diretto. E Sodano, il più prestigioso esponente della scuola diplomatica vaticana che ha le sue radici in piazza della Minerva a Roma, non si sa quanto inconsapevolmente apriva a un profilo di un Papa diverso da quanto fino a quel momento i curiali sembravano prospettare: serve «un Papa dal cuore generoso », che abbia una forte connotazione «pastorale». Come la richiesta di un qualcosa di nuovo. Come la disponibilità ad accettare
qualcosa di differente.
Dopo l’extra omnes del liturgista Guido Marini, il primo scrutinio. Qui tre enormi sorprese: da subito l’inconsistenza dei voti di Scherer; i voti per Scola ampiamente al di sotto delle aspettative; e una già buona preferenza accordata a Bergoglio. Di qui in poi è stato un crescendo inarrestabile. Scola si è reso conto che molti di coloro che gli avevano promesso il voto poi non glielo hanno accordato. Gli italiani, in particolare, sono andati su altri candidati, spaventati di ciò che il cardinale cresciuto nella fila di Comunione e liberazione rappresenta:
l’idea di una Chiesa forte, della presenza attiva e influente nella società come nella politica, il ritorno alla missione decisamente carismatica del pontificato giovanpaolino. Ma insieme agli italiani anche gli americani, spinti su Bergoglio dal loro principale Pope Maker: l’arcivescovo di Washington Donald Wuerl.
Il resto l’ha fatto il passo indietro di Scola, la resa e i suoi voti lasciati liberi per Bergoglio. E poi Giovan Battista Re e i sodaniani
che anch’essi scelgono, prima dei bertoniani, il cardinale argentino. Ma anche per i bertoniani il motivo dell’ultima scelta è sostanzialmente il medesimo: meglio Bergoglio di Scola, tutto tranne che il principale rivale italiano.