Paolo Griseri, la Repubblica 15/3/2013, 15 marzo 2013
L’ALTARE RIVOLTO VERSO I FEDELI IL CONTO PAGATO E IL VIAGGIO IN BUS TUTTI GLI STRAPPI DEL NUOVO PONTEFICE
CITTÀ DEL VATICANO — Un uomo vestito di bianco in mezzo a un gruppo di tonache rosse: tutti sistemati sullo stesso pulmino che attraversa i giardini vaticani. Hanno negli occhi la piazza enorme, gremita e in silenzio, a pregare per il nuovo Papa. Che è lì, seduto in mezzo ai suoi elettori, tutti in viaggio verso il riposo dopo una giornata storica. Quel gesto rappresenta bene la scelta di essere certamente
primus ma inter pares:
come aveva preferito definirsi pochi minuti prima, apparendo dalla Loggia delle Benedizioni. Perché se Francesco è «vescovo di Roma » prosegue sulla strada tracciata da Ratzinger con il gesto delle dimissioni: il Papa è anche un uomo. E il vescovo, come tutti i vescovi delle altre diocesi, può avere
un «emerito» che è venuto prima di lui.
Il viaggio sul pulmino verso Santa Marta è solo uno dei molti atti simbolici della prima giornata da papa di Bergoglio. Parti di un unico linguaggio, il messaggio più forte finora lanciato dall’ultimo successore di Pietro. L’intento è quello di riavvicinare il vescovo di Roma ai fedeli, il pastore al popolo di Dio. Superando quella distanza che più del carattere di Ratzinger avevano contribuito ad aumentare i recenti scandali Oltretevere. L’umanizzazione del successore
di Pietro prosegue di prima mattina con la scelta di fare colazione insieme ad altri sei cardinali. Era la stessa semplicità di rapporti che aveva spinto Bergoglio a ricevere l’omaggio dei suoi 114 elettori rimanendo in piedi tra di loro e non sedendosi sul trono, come vorrebbe la tradizione.
E tra i gesti della povertà il più evidente è nella scelta del nome. Non scontato per un gesuita, il soldato del Papa a difesa dell’ortodossia, chiamarsi Francesco, come il poverello di Assisi a lungo in odore di eresia prima di veder riconosciuta
la sua regola. Ma la scelta della povertà è uno dei perni del linguaggio simbolico di Bergoglio. Che invita gli argentini a non venire a Roma martedì prossimo per l’inaugurazione del suo papato: «Risparmiate i soldi e dateli in beneficenza ai bisognosi». Che dopo la preghiera di prima mattina a Santa Maria Maggiore, va a fare le valigie alla residenza del clero di via della Scrofa dove aveva vissuto prima del Conclave. E chiede di pagare il conto come un turista qualsiasi. Se la questione del dio denaro era stato uno dei
nodi da sciogliere nell’ultimo tormentato periodo del papato di Joseph Ratzinger con le polemiche sulla gestione dello Ior, nulla come i gesti sulla povertà rappresenta il segnale della discontinuità.
Ma il gesto simbolicamente più forte della giornata di ieri è la scelta di far sistemare l’altare della Sistina rivolto verso i fedeli, nell’occasione i cardinali. A suo tempo Ratzinger aveva celebrato la stessa messa dando le spalle a chi sta seduto tra i banchi. Non certo perché Benedetto XVI volesse rimettere in discussione le innovazioni
liturgiche del Concilio di cui era stato a suo tempo uno dei più convinti sostenitori. Ma perché Ratzinger, così come poi avrebbe fatto nel corso del pontificato, aveva voluto provare a riaprire il dialogo con i tradizionalisti di Lefebvre. Un tentativo che anche recentemente non ha prodotto l’auspicato raddolcimento nelle posizioni della Confraternita di San Pio X. Così il gesto di Bergoglio, che ha voluto ripristinare la sistemazione dell’altare secondo la liturgia conciliare, può essere letto come un messaggio ai tradizionalisti sul fatto che la Chiesa di Roma non è disposta ad ulteriori compromessi.
Gesti e messaggi che nelle prossime settimane potrebbero diventare decisioni concrete e scelte di governo della Chiesa. Per annunciare che la barca di Pietro uscirà dalla tempesta con un deciso
cambio di rotta guidato da Francesco con quel «vigore» che Benedetto aveva annunciato al mondo di non avere più. Rottura e discontinuità non solo di stile ma anche di sostanza. Che mette fuori gioco la vecchia Curia incapace, suo malgrado, di entrare in sintonia con il linguaggio simbolico del nuovo Papa. Così l’ultima scena da raccontare è in realtà il prosieguo della prima. Con il pulmino del Papa e dei cardinali che avanza nei giardini vaticani verso Santa Marta. Seguito dall’auto vuota targata Scv1, la vettura di rappresentanza che il nuovo Papa non ha voluto utilizzare. In fondo, a chiudere il corteo, l’automobile del Segretario di Stato occupata dal solo Tarcisio Bertone. Isolato nel nuovo mondo, chiuso in una strana di carrozza di Varenne che tenta invano di fuggire dal cambiamento.