Stefano Folli, il Sole 24 Ore 14/3/2013, 14 marzo 2013
IL LEGAME CON L’ITALIA C’È, MA LO SGUARDO SARÀ GLOBALE
Il Papa che «avete voluto andare a prendere quasi alla fine del mondo» ha parlato ieri sera, dal balcone di San Pietro, soprattutto come vescovo di Roma: subito adottato dai romani con l’entusiasmo popolare che accompagna l’elezione di tutti i papi. E tuttavia resta il fatto che questo figlio di un ferroviere piemontese è giunto dall’altra parte dell’oceano. Italiano d’origine, ma pur sempre il primo Papa extra-europeo, un pontefice latino-americano. Espressione di un mondo lontano e di una diversa sensibilità culturale e politica.
«Paladino dei poveri» lo ha definito Obama. «Il cardinale dei poveri diventa Papa», ha titolato il sito di un giornale tedesco. La definizione è convincente se si guarda alla storia personale di Jorge Mario Bergoglio. E la qualità del suo stile innovativo si è avvertita già nel modo di rivolgersi alla folla riunita in piazza. La semplicità e quasi l’umiltà che hanno colpito il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sono tratti evidenti nel messaggio del nuovo Papa. Un dialogo diretto e profondo con il popolo, un’attenzione speciale ai derelitti. Un Pontefice chiamato a rinnovare profondamente la Chiesa, a renderla - sono sue parole pronunciate in passato - sempre meno "clericale" e più collegiale. Dunque più vicina al popolo che in America Latina vuol dire, appunto, vicina ai poveri, agli "ultimi".
Quale sarà il rapporto fra questo nuovo padre dei cattolici e l’Italia?
Tutto lascia pensare che Francesco si muoverà nel solco tracciato dai suoi predecessori. Sia con Giovanni Paolo II sia con Benedetto XVI il Tevere si è allargato. Nel senso che la cura papale si è rivolta sempre più al mondo globale e sempre meno al piccolo orto della politica romana.
Gli intrecci e condizionamenti che segnarono una certa stagione della vita italiana nel dopoguerra (e che tanto dolore provocarono, ad esempio, ad Alcide De Gasperi) appartengono a un passato abbastanza remoto.
Altro sono i temi bioetici e i valori di fondo irrinunciabili per un cattolico dei quali sono stati severi testimoni sia Karol Woityla sia Joseph Ratzinger. Sotto tale aspetto sono tutti convinti che il gesuita Bergoglio si muoverà confermando la linea dottrinaria rigorosa. Una spiritualità forte fondata su principi solidi. Ma l’affermazione di tali principi sarà più che mai delegata alla Conferenza episcopale. Non vedremo mai qualche politico che attraversa il Tevere per cercare in Vaticano appoggio e sostegno al suo partito o alla sua corrente. Quel costume è acqua passata, tanto più con un Papa che arriva «quasi dalla fine del mondo». Senza sottovalutare però l’esigenza di una riforma che investa anche la "curia" e il governo vaticano: per cui sarà di cruciale importanza conoscere il nome del prossimo Segretario di Stato.
In ogni caso la vocazione sociale di Bergoglio, il suo aprirsi alle sofferenze del popolo, la sua vocazione di radicale riformatore che s’ispira a Francesco d’Assisi, il patrono d’Italia, tutto questo avrà inevitabilmente un riflesso anche sulla politica italiana. Un riflesso di tipo morale, ma pur sempre rilevante.
Se la Chiesa si rigenera e cerca un nuovo, caldo contatto con i ceti popolari, anche il modo d’intendere la politica a Roma finirà per esserne influenzato. Potrà ricavarne una spinta al rinnovamento, il che non sarebbe fuori luogo. Francesco ieri sera ha insistito sulla necessità di «evangelizzazione». Lo abbiamo inteso come un auspicio rivolto al mondo, ma in realtà egli si stava rivolgendo ai romani. E si capisce perché: il «Papa dei poveri» sa bene che la prima evangelizzazione deve svolgersi nelle società avanzate. E quindi anche in una città come Roma.