Raffaele La Capria, Corriere della Sera 15/03/2013, 15 marzo 2013
L’ INCESSANTE CARICA-E-SCARICA
Cos’è mai la vita? Non l’ombra d’un sogno fuggente ma un carica-e-scarica a ritmo incessante, ossessivo, inarrestabile. È il ritmo dell’universo intero, che dal minimo e infinitesimale muoversi di un verme al massimo inconcepibile viaggiare delle galassie, o al precipitare improvviso d’una stella nell’orrido del suo buco nero, ininterrottamente si ricarica e ininterrottamente si scarica senza un attimo di requie. A cominciare dal nostro corpo costretto per non morire a consumare cibo e a scaricarlo quotidianamente, mentre i nostri organi interni si danno da fare per consentire questo processo.
Ma non è solo il corpo, a noi più vicino, che è costretto a questo lavoro. Se dal corpo passiamo alla mente anche lei deve darsi da fare per sopravvivere e produrre ogni giorno pensieri, idee, parole ed opere, che finiranno scaricate in un libro, in un convegno, in una conversazione; e poi del libro si perderanno le tracce, il convegno sarà dimenticato, la conversazione svanirà nell’aria: sto parlando naturalmente del lavoro che facciamo con la mente quotidianamente per tirare avanti, sto parlando per fare un esempio, di questo articolo che sto scrivendo sul carica-e-scarica universale, che devo scrivere e mandare al giornale, ecco di che cosa sto parlando; e della carica che ci vuole per scriverlo e scaricarlo nelle colonne di un giornale, carica che spesso ti abbandona quando tutto, proprio tutto, intorno a te si decompone e si scarica di senso e significato, come appunto oggi sta avvenendo. E sto pensando ancora a quelli che lavorano nel giornale e ricevono questo mio articolo insieme a tanti altri, e ogni giorno caricano e scaricano titoli e notizie di ogni genere, ora esaltanti ora orripilanti, e comunque incessanti.
È questa del carica-e-scarica continuo e opprimente una sensazione che ho avvertito con forza e all’improvviso quando trovandomi nella mia Napoli di passaggio ho visto che i rifiuti scaricati nella strada erano a volte saliti all’altezza del primo piano dei palazzi: anche il gran corpo di Napoli oscenamente digeriva. E straripando con l’immaginazione ho visto l’accumularsi dei rifiuti nel territorio intorno alla città e nelle campagne e avvelenare la terra e l’aria. E poi pensando al mio mare, dio mio anche quello quanto inquinato, non mi fermavo più, e pensavo ai pesci che si contorcono scaricati sopra un bancone cosparso di ghiaccio al supermercato, e con l’occhio sbarrato ci rimproverano per lo sciupio incessante che facciamo delle loro vite, e alla bellezza argentea dei loro corpi scintillanti che dovrebbe indurci a pietà.
Pensavo a questa inesorabile condanna del caricarsi e scaricarsi che è poi la vita stessa, all’inutile fatica di Sisifo, al carica-e-scarica delle energie quotidiane necessarie per arrivare alla fine della giornata, e a quelle da me spese negli anni per arrivare alla fine della vita. Sto correndo coi pensieri a ruota libera perché preso anch’io e trascinato nel giro delle associazioni, che anch’esse si caricano e scaricano nella mia mente seguendo il moto perenne dell’universo. E a volte, così, per caso, mi viene da pensare che forse nella fine di questo affannarsi incessante sia la vera beatitudine, e dunque nella morte la vera salvezza dalla vita, la pace finalmente raggiunta. Ma sono questi forse solo i pensieri di un novantenne che nella vita troppo spesso si è caricato e scaricato e ormai è stanco e vorrebbe scaricarsi definitivamente di tutto.
Raffaele La Capria