Massimo Franco, Corriere della Sera 15/03/2013, 15 marzo 2013
PER LA SUCCESSIONE A BERTONE NON E’ ESCLUSO UNO STRANIERO
Chi era lì, accanto al Papa appena eletto, racconta che alcuni esponenti della Curia romana avevano facce di cera. Più che paura, mostravano smarrimento: la perdita della bussola da parte di un mondo che si sente di colpo superato, scavalcato. Destinato a cambiare o a finire. La vera notizia è che nessuno, almeno in apparenza, è in grado di prevedere che cosa abbia in testa Francesco sul prossimo segretario di Stato vaticano; sulla riorganizzazione della Curia; sul futuro dello Ior, la controversa «banca del Papa». E la prospettiva che voglia prendersi qualche settimana di tempo prima di decidere non viene percepita come un segno di esitazione, o della volontà di temporeggiare. Tutti sentono che alla fine, e fra non molto, le decisioni arriveranno, e apriranno in modo indiscutibile una pagina nuova.
Si guarda molto al momento in cui Tarcisio Bertone lascerà la Segreteria di Stato, perché la figura del suo successore indicherà le intenzioni di Francesco. Eppure, per quanto certo il cambio della guardia non offre certezze, ma solo presagi di rottura con il passato. L’ipotesi che un pontefice argentino non possa che nominare come suo «primo ministro» un italiano in nome di una sorta di compensazione per la mancata elezione in Conclave, è tutta da verificare. L’unico elemento sul quale qualcuno azzarda previsioni, è che il «primo ministro» venga scelto fra le file dei diplomatici vaticani, trascurati nell’era di Benedetto XVI. L’esigenza di ricostruire un’agenda internazionale che negli ultimi anni è apparsa sfilacciata e piena di smagliature, è sentita in modo acuto. Per il resto, Jorge Bergoglio in realtà è un italoargentino e dunque in teoria «copre» la casella di due nazionalità. Ma soprattutto, la sua candidatura è maturata e lievitata in silenzio e seguendo dinamiche nuove, negli episcopati americani del Nord, del Centro e del Sud.
La sensazione è che il nome aleggiasse da tempo, senza che i cardinali europei se ne rendessero conto fino in fondo, se non al mattino di mercoledì, a giochi quasi chiusi; e mentre il numeroso «partito italiano» accarezzava ambizioni e perpetuava conflitti destinati a spiazzarlo. Filtra un episodio indicativo. Domenica scorsa, quando mancavano due giorni all’apertura del Conclave, Bergoglio aveva incrociato in piazza Navona, a Roma, Thomas Rosica, canadese, presidente della televisione «Salt and Light», «Sale e Luce». Il sacerdote gli aveva chiesto se fosse nervoso. «Un po’», aveva replicato l’allora arcivescovo di Buenos Aires. «Pregate per me, perché non so che cosa i miei fratelli cardinali mi stiano preparando». Sembra di capire che già allora una porzione potente e compatta del Conclave «guardava a Ovest», come ha sintetizzato ieri il quotidiano finanziario The Wall Street Journal, con orgoglio americano prima che statunitense: lo stesso che il giorno prima aveva imputato al cardinale italiano Angelo Scola legami stretti con la politica.
Il problema è che adesso Francesco sta cominciando a guardare a Roma, e i piccoli gesti che compie sono potenzialmente così di rottura da far pensare a cambiamenti più radicali di quelli avvenuti nel 1978 con l’elezione di Giovanni Paolo II. «È la fine del papa re e della corte vaticana», scolpisce un conoscitore profondo dei riti e delle logiche della Roma pontificia. Si registra una certa concordia nel ritenere che il suo mandato sia quello di fare pulizia nella Curia, e di evitare che si ripetano le tensioni che hanno sfigurato l’episcopato italiano. Una delle tante leggende che cominciano già a fiorire, racconta che quando subito dopo l’elezione il cerimoniale gli ha porto la mantellina rossa bordata di ermellino, il pontefice avrebbe risposto: «Monsignore, questa la metta lei. È finito il Carnevale». Vero o no, l’istinto di sopravvivenza della Curia ha captato subito che il Vaticano potrebbe essere all’inizio di un rinnovamento radicale, una «rivoluzione della frugalità e dell’esempio».
Probabilmente era un cerimoniale che Benedetto XVI subiva più che volere; ma che ha finito per apparire la cifra controversa di una Chiesa messa a confronto con una crisi non solo della fede e delle vocazioni, ma dell’economia mondiale. C’è chi reagisce alla novità con un conformismo ai confini del servilismo, sostenendo di avere sempre pensato a Bergoglio come vero candidato; e annuendo alle rotture del passato dicendo che «era ora». E chi, più cautamente, cerca di decifrare le intenzioni di questo gesuita argentino chiamato a ridisegnare la mentalità, prima che le strutture del governo vaticano. «Bergoglio non è solo un papa che sta con i poveri, ma un papa povero, che da tempo ha compiuto questa scelta». Chi lo fa presente, però, invita a non sottovalutarlo: la biografia di Francesco è quella di un uomo determinato. E se anche le nomine verranno dopo, «fra qualche settimana», si spiega, è solo perché vuole scegliere qualcuno che impedisca alla Curia di imbrigliarlo. Il nuovo Papa è chiamato ad archiviare un Vaticano. E lo farà.
Massimo Franco