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 2013  marzo 15 Venerdì calendario

IL PAPA CHE PAGA IL CONTO E RIFIUTA L’AUTO BLU —

«Bisogna uscire, andare verso chi ha bisogno, annunciare il Vangelo nelle periferie». Quando Francesco si rivolge per la prima volta ai cardinali è ancora la sera dell’elezione, a cena nella Domus Sanctae Martae si è sciolta la tensione del Conclave, gli elettori intonano un «tanti auguri a te» e Jorge Mario Bergoglio sorride, «che Dio vi perdoni!». Il nuovo Papa, salutato il «popolo» dalla loggia di San Pietro, è sceso, ha respinto con un gesto la berlina scura targata SCV1 — la targa più esclusiva del pianeta, quella del Pontefice — ed è salito assieme ai cardinali sul pullmino che nei due giorni di Conclave ha fatto da navetta tra la Sistina e l’albergo vaticano. Uscire, muoversi. La frase riportata dal cardinale Fernando Filoni, «ci ha detto che l’evangelizzazione suppone zelo apostolico», è solo la premessa a ciò che Francesco dirà nella Sistina, nell’omelia della messa «pro Ecclesia» celebrata ieri pomeriggio, come da tradizione, nel luogo dell’elezione. Per tradizione il Papa dovrebbe anche pronunciare un’«allocuzione» in latino, di solito preparata nella notte dagli uffici. Francesco, invece, parla a braccio in italiano. E dice che bisogna muoversi, «chiedo che tutti noi abbiamo il coraggio, proprio il coraggio, di camminare in presenza del Signore», perché «quando non si cammina, ci si ferma» e «quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo». Poi resta in piedi sorridente, anziché sedersi sulla «sedia del Papa», per ricevere l’omaggio dei cardinali.
Sono parole che ricordano l’esortazione di Benedetto XVI perché la Chiesa «si liberi del suo fardello mondano». Il nuovo Papa allarga le braccia, come a dire che la dignità della carica non basta: «Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo vescovi, preti, cardinali, papi, ma non discepoli del Signore». È un richiamo alla Chiesa delle origini e all’essenziale della fede, come quando dalla loggia si è definito «vescovo di Roma»: l’annuncio implicito di una maggiore collegialità tra il Papa e i vescovi e insieme un ritorno ai fondamentali, il Papa è tale e ha il primato in quanto vescovo di Roma, non viceversa. Ma soprattutto è un monito contro il fariseismo, un tema ricorrente nel suo pensiero. Sei anni fa il mensile «30 giorni» gli chiese: secondo lei qual è la cosa peggiore che possa capitare alla Chiesa? L’allora cardinale Bergoglio non la mandò a dire: «È quella che Henri de Lubac chiama "mondanità spirituale". È il pericolo più grande per la Chiesa, per noi, che siamo nella Chiesa. "È peggiore", dice de Lubac, "più disastrosa di quella lebbra infame che aveva sfigurato la Sposa diletta al tempo dei papi libertini". La mondanità spirituale è mettere al centro se stessi. È quello che Gesù vede in atto tra i farisei, voi che vi date gloria. Che date gloria a voi stessi, gli uni agli altri...».
Così i gesti di Francesco nel suo primo giorno da Pontefice non sono «colore» né la semplice espressione di un’indole austera e aliena dallo sfarzo. Già nella «stanza delle lacrime», appena eletto, Francesco aveva indossato solo la semplice talare bianca e congedato il cerimoniere Guido Marini che gli porgeva la mozzetta di velluto rosso bordata d’ermellino e croce d’oro dei Papi, «io mi tengo la mia croce di ferro». Ieri mattina s’è alzato prima dell’alba per le preghiere, nella stanza 201 riservata al pontefice nella Casa Santa Marta — sono stati tolti i sigilli all’Appartamento, ma occorrerà qualche settimana per sistemarlo —, e ai cerimonieri che volevano portarlo dal sarto ha detto: prima si va dalla Madonna. Alle otto del mattino — un piccolo mazzo di fiori in mano — era già a Santa Maria Maggiore, «lasciate la basilica aperta, sono un pellegrino e voglio andare da pellegrino tra gli altri pellegrini», per pregare davanti alla «Salus populi romani», la Theotókos (Madre di Dio), un’icona venerata a Roma che la devozione popolare attribuisce a San Luca e tra l’altro è particolarmente cara ai gesuiti: ne portavano con sé delle copie missionari come Francesco Saverio e Matteo Ricci ed è la prima immagine della Vergine arrivata in Cina. Del resto, per il primo Papa gesuita della storia, quel luogo è particolarmente importante: nella cripta della «cappella Sistina» della basilica, all’altare col presepe di Arnolfo di Cambio, il fondatore della Compagnia di Gesù, Ignazio di Loyola, celebrò la sua prima messa nella notte di Natale del 1538. Così Francesco si ferma in preghiera nella cappella e sosta davanti alla tomba di San Pio V. Poi incontra i confessori e raccomanda loro: «Siate misericordiosi». Di fronte alla Basilica i ragazzi della scuola Albertelli lo salutano dalle finestre, il traffico si blocca, un giovane si avvicina tenendo per mano la moglie incinta, «la benedizione per mio figlio, Padre Santo», «quanto?», «cinque mesi, cinque mesi!», e Francesco le posa la mano sulla pancia mormorando una preghiera. La gente s’avvicina, il Papa mette un po’ in difficoltà i gendarmi ma vuole camminare tranquillo, «non mi servono le guardie, non sono un indifeso!». Nella basilica c’è pure il cardinale Law, arciprete emerito — costretto a lasciare Boston per aver coperto lo scandalo pedofilia, nel 2004 fu mandato lì — ma il Papa non lo incontra, solo un saluto formale poi Law si tiene a distanza.
Ma il colpo di scena deve ancora arrivare. «Grazie di tutto, quanto vi devo?». Alla Domus Paolo VI di via della Scrofa — l’antico collegio teutonico di Sant’Ignazio —, ieri mattina erano basiti. È la «casa del clero» (pensione completa 85 euro, mezza 72,50, solo camera e prima colazione 60) dove il cardinale Jorge Mario Bergoglio aveva lasciato alcune valigie prima di andare in Vaticano. Finito il Conclave papa Francesco è tornato a prendere le sue cose. E ha pagato il conto. «Per dare il buon esempio», ha spiegato tranquillo il padre gesuita Federico Lombardi.
Gian Guido Vecchi