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 2013  marzo 14 Giovedì calendario

DEL TURCO VITTIMA DEI PM PERÒ NESSUNO LO RISARCIRÀ

Altra storia da brivido. Quella ancora in corso, ma sul punto di finire be­ne per lui, di Ottaviano Del Tur­co, sindacalista, parlamentare socialista, poi governatore (ap­poggiato dal Pd) della Regione Abruzzo, imputato in un proces­so per tangenti, già detenuto nel carcere di Sulmona perché accusato di essere un delin­quente. «Delinquente un cor­no », scrissi nell’estate del 2008, avendo fiutato che quanto attri­buitogli di illegale fosse una panzana. Ovviamente non mi diedero retta, cosicché Del Tur­co fu privato della libertà per sei mesi, costretto a dimettersi dal vertice regionale, sputtanato su ogni fronte, emarginato come un lebbroso dal suo partito. Vogliamo ridere alle sue spal­le? L’inchiesta che lo inchiodò partì dalla confessione di Vin­cenzo Angelini, proprietario di cliniche convenzionate con l’ente presieduto dall’ex sinda­calista: «Ho versato al governa­tore 6 milioni di euro per poter lavorare». Basta la parola di un uomo a incastrare un altro uo­mo? Nossignori. Ma Angelini ­padrone di strutture sanitarie ­non è uno sprovveduto e, per suffragare le proprie afferma­zioni, esibisce addirittura una foto in cui si vedono frutta, ver­dura e mazzette. Caspita, una prova schiacciante. Lo è per la Procura. Che pertanto si affret­ta a ingabbiare il ( presunto) cor­rotto. Cominciò così il calvario di Del Turco, dopo una vita spec­chiata, sobria per non dire mo­desta. Con una macchia: l’ac­quisto di un paio di immobili. Gli chiedono: dove hai preso i soldi per comprare le casette? Risposta: dai miei risparmi, co­me usano le persone oneste. E aggiunge, ingenuamente, di aver accantonato un po’ di de­naro grazie alle indennità pri­ma di deputato, quindi di gover­natore. Non la bevono, i signori apoti. E lui rimane in cella a rimi­rare le crepe del soffitto. Dima­grisce, si dispera. Si difende ma­le. Da buon innocente, non ha nemmeno la furbizia di inven­tarsi qualche balla per ridurre i danni. È un classico: chi non ha commesso il reato che gli conte­stano si comporta processual­mente da pirla. E i magistrati si convincono che, in realtà, sia colpevole, talmente colpevole da non avere la forza di intorbi­dare le acque.
Quando uno sta per lungo tempo dietro le sbarre, è abban­donato da tutti: dai colleghi, da­gli amici, talvolta dai parenti. I quali si giustificano così: sai, te­miamo di essere importuni, non vorremmo metterlo in im­barazzo, aspettiamo che le cose si chiariscano. E intanto se ne fottono del poveraccio, il cui sta­to d’animo è simile a quello di un cane lanciato, ad agosto, da una macchina in corsa sull’au­tostrada. Non giova al detenuto essere trattato in questo modo, ne va della sua salute fisica e mentale. Chi ha vissuto espe­rienze del genere senza meritar­le non le racconta volentieri, ma spesso si ammala. Qualcu­no muore: per esempio Enzo Tortora, per citare il più famo­so.
Andiamo avanti. Del Turco in questi giorni è sotto processo. L’aula non è affollata di giornali­sti dato che non si parla né di Ru­by Rubacuori né di bunga bun­ga. Le udienze si susseguono, in­tervengono gli avvocati e i Pm, il presidente ascolta e coordina. Il solito rito, il solito clima. A uno a uno, cadono gli indizi fin­ché arriva il colpo di scena: la fo­to ortofrutticola, e arricchita dalle mazzette, è farlocca. Lo hanno stabilito i periti, dimo­strando come sia stata scattata un anno prima rispetto alla da­ta indicata da Angelini. Quella che era la prova regina è una bu­fala: come direbbe Beppe Gril­lo, riformatore della lingua ita­liana e del galateo, è andata af­fanculo.
Ottaviano è stato vittima di un tarocco, ma anche di un sistema giudiziario che definire imper­fetto forse non è eccessivo. Al­meno spero. Perché non deside­ro parlare male della magistratu­ra, avendo la coda di paglia e il terrore di essere condannato al­la carriera, come dice scherzan­do (ma non troppo) mio figlio Mattia. La prudenza non è mai troppa. Del Turco sarà assolto, però difficilmente la politica lo riaccoglierà quale martire of­frendogli i posti e gli onori che gli spetterebbero. Ormai è fuori gioco. E fosse soltanto questo il problema.L’uomo è stato morti­ficato. Vilipeso. Esposto al pub­blico ludibrio, peggio: al sospet­to- quasi una certezza- di essere un ladro. Alcuni che hanno su­bìto i medesimi torti, si sono la­sciati travolgere dalla depressio­ne. Le loro difese immunitarie sono diminuite con gravi conse­guenze: malattie distruttive. Non sarà di sicuro il caso di Otta­viano. Ma chi gli restituisce quanto gli è stato tolto? Chi lo ri­sarcisce? Chi ricostruisce la sua personalità violentata?
Delle sofferenze degli inno­centi perseguitati non importa nulla a nessuno: non solo a chi le ha provocate, ma neanche allo Stato che continua a considera­re corretta la carcerazione pre­ventiva. Nei programmi dei par­titi che abbiamo votato tre setti­mane orsono non si accenna al proposito di cancellarla.