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 2013  marzo 14 Giovedì calendario

LA PRIMA VOLTA DI UN GESUITA E L’OMBRA DEL «PAPA NERO»

Un gesuita a capo della Chiesa è cosa strana, so­prattutto per chi ha sem­pre identificato la Compagnia di Gesù con una straordinaria macchina di potere. Basta una breve passeggiata su internet per fare la conoscenza delle mi­gliaia di spropositi di cui l’ordi­ne fondato da Sant’Ignazio di Loyola sarebbe il titolare, dal controllo del sistema bancario americano a quello della curia romana (non a caso il Generale dei Gesuiti è comunemente chiamato «il papa nero») fino al­la responsabilità dell’attentato dell’11 settembre 2001. C’è chi sostiene perfino che gli arabi, che furono visti festeggiare il crollo delle Twin Towers, non fossero altro che gesuiti en trave­sti .
Ma anche gli eccessi di imma­ginazione hanno, si sa, la loro ra­dice nella realtà delle cose. Nel­la storia del movimento gesuita si può indubbiamente ravvisa­re un disegno preciso, mirato al­la diffusi­one della Chiesa innan­zitutto nell’Europa non più cul­turalmente unita dopo lo sci­sma anglicano e la riforma lute­rana.
I grandi ordini mendicanti e predicatori, che avevano domi­nato gli ultimi secoli del Medioe­vo con un’evangelizzazione «dal basso»,dovevano essere af­fiancati da­una stirpe di evange­lizzatori capaci di dialogare con re e diplomatici, di confutare le tesi dei maggiori filosofi, di di­scutere da pari a pari con scien­ziati e artisti, caricandosi sulle spalle il peso di una «mondani­tà » che per qualcuno forse non dovette essere poi così pesante.
Nacque così l’immagine, in gran parte fuorviante, del gesui­ta coltissimo ma anche un po’ ci­cisbeo, cortese con i potenti ma capace di cose terribili e alme­no in apparenza poco cristiane, come la teorizzazione della «ri­serva mentale» o quella, assai densa di conseguenze,della«ra­gion di Stato». Fino a vedere un gesuita dietro tutte le pagine oscure della Chiesa nei tempi moderni: su dieci persone da me personalmente interrogate, nove si sono dette persuase che il grande inquisitore Tomás de Torquemada fosse gesuita, mentre era domenicano.
Tuttavia, la scelta del nome Francesco per il pontificato di Jorge Mario Bergoglio ci aiuta a leggere un altro pezzo della sto­ria dei Gesuiti, che è il pezzo più grande e importante. I latinoa­mericani so sanno bene, per­ché a questo pezzo di storia so­no legati come nessun popolo al mondo.
All’inizio di una storia senza uguali fuori e dentro la Chiesa c’è un pugno di ragazzi, riuniti a Parigi da un uomo più anziano di loro, un ex-grande uomo d’ar­mi spagnolo, di altissimo lignag­gio, che durante una convale­scenza, leggendo un volume sulle Vite dei Santi si era conver­tito a Gesù Cristo.
Il nome di quest’uomo era Íñi­go López Loiola, ossia Ignazio di Loyola. Tra i ragazzi che deci­sero di seguirlo sulle orme di Cri­sto c’era il giovane studente di teologia Francesco Saverio, ori­ginario della Navarra. Se il no­me scelto da Bergoglio richia­ma immediatamente France­sco d’Assisi - e mille ragioni ci impongono di pensare al rinno­vamento che il Poverello portò nella Chiesa di allora, forse non poi tanto dissimile da quella, at­traversata da tanti scandali, dei nostri giorni- non possiamo pe­rò dimenticare la vicenda di questo ragazzo, che forte delle lettere di Ignazio (che tenne sul cuore fino al giorno della mor­te) partì alla volta della Cina con l’intento folle e santo di conver­ti­re quel grande e misterioso Pa­ese, già amato da Marco Polo. In realtà non riuscì mai a sbarca­re in Cina e morì di una febbre maligna su un’isola di fronte al continente, mentre ancora at­tendeva il permesso.
Nella vicenda, apparente­mente segnata dalla sconfitta, di Francesco Saverio, c’è tutta la natura della Chiesa, la cui forza non sta nell’occupare posti di potere (come qualche gesuita dei tempi successivi sembrò pensare) ma nel seguire la via della Croce di Cristo, i cui dise­gni spesso non coincidono con i sogni, anche i più belli e giusti, degli uomini.
Francesco d’Assisi e France­sco Saverio - uno fondatore e l’altro co-fondatore dei due più importanti movimenti religiosi della storia della Chiesa, insie­me ai Benedettini - si trovano entrambi, credo, ben fermi nel cuore del nuovo Papa: simboli della libertà che si sposa all’ob­bedienza, della «ingenua bal­danza » (Giussani) della fede unita alla fiducia più totale in Colui che, solo, opera il bene in questo mondo. Un cristiano, in fondo, non è che un servo, e il Pa­pa è il «servo dei servi».