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 2013  marzo 15 Venerdì calendario

QUELLE FALSE ACCUSE PER GLI ANNI BUI

Nella biografia ’alternativa’ di Jorge Mario Bergoglio i conti non tornano. I ’generali’ del presidente Videla, stando ad alcune ’veline’ piazzate negli ar­chivi del regime e ora emerse, considerava­no il futuro pontefice come un loro «colla­borazionista ». E già qui s’annusa il veleno della macchinazione. Per una ragione sem­plice: alla ’fonte Bergoglio’ non viene attri­buito nessun soprannome, nessun codice segreto, nessuna identità protetta. Mentre per gli altri informatori e doppiogiochisti, negli schedari venivano usati nomi di co­modo, così da occultarli e proteggerli. Per­ché mai si doveva rischiare di far saltare la copertura di una gola profonda così prezio­sa?
La montatura ha parzialmente dato i suoi frutti visto che ancora oggi c’è chi continua a domandarsi, come acriticamente stanno facendo alcuni mass media internazionali, se dare credito a quelle voci alimentate, co­me vedremo, da alcune foto grossolana­mente ritoccate. Dal New York Times fino al foglio argentino Pagina 12 , sono in diversi a riportare accuse di «connivenza» con i mili­tari. Secondo alcune testimonianze raccolte dal giornalista Horacio Verbitsky, diventato ’oracolo’ delle accuse al Papa, Bergoglio a­veva «tolto la protezione – riassume la Bbc – a due sacerdoti che operavano nelle ba­raccopoli » di Buenos Aires, allontanandoli dai gesuiti ed esponendoli alla rappresaglia dei militari. «Nel 2010 fu chiamato a testi­moniare sul caso, dichiarando di aver chie­sto ai vertici del regime il rilascio» dei due parroci poi effettivamente liberati, sottoli­nea la Bbc, secondo la quale il futuro papa è stato sentito dagli inquirenti anche «nel caso di Elena de La Cuadra, figlia di una del­le cofondatrici delle Abuelas de Plaza de Mayo, sparita quando era incinta». E Bergo­glio, aggiunge la rete britannica, è stato in­fine citato anche in una causa penale aper­ta in Francia per il sequestro e l’omicidio del sacerdote Gabriel Longueville, nel 1976. La notizia che manca, però, è che la giustizia ha sancito che sul suo operato non c’erano mac­chie, mentre altri sacerdoti sono stati con­dannati.

In seguito al colpo di Stato militare del 24 marzo 1976 contro Isabelita Peron, il gene­rale Jorge Videla divenne presidente, gui­dando una giunta militare che includeva il brigadiere generale Orlando Agosti e l’am­miraglio Eduardo Massera. In quel contesto, l’operazione tesa a far finire il nome del pa­dre gesuita tra quelli degli ’affidabili’ di re­gime, fu un tentativo, prevedibile e persino patetico, di macchiare la reputazione di Ber­goglio, così da indebolirlo e renderlo ’inaf­fidabile’ agli occhi dei dissidenti e degli in­domiti gesuiti di cui era il provinciale. Una modalità affatto nuova. In Polonia, come nell’Ungheria e nella Romania comuniste, accadeva lo stesso con i religiosi e gli intel­lettuali che non si piegavano ai ’rossi’. Il tarlo del dubbio instillato nell’opinione pub­blica – gli 007 di ogni dove lo sanno – può essere più efficace di intimidazioni e inter­rogatori condotti senza complimenti.

«Papa Francesco vicino alla dittatura milita­re argentina? Niente affatto», sostiene con de­cisione Adolfo Maria Perez Esquivel, difen­sore dei diritti umani e nel 1980 Premio No­bel per la Pace, conferitogli proprio per le de­nunce contro gli abusi dei militari negli an­ni Settanta. Perez Esquivel non esita ad af­fermare che nella Chiesa cattolica «vi siano stati ecclesiatici complici della dittatura», ma assicura che «Bergoglio non era uno di lo­ro ». L’ex arcivescovo di Buenos Aires, osser­va, «è sotto tiro perché dicono che non ha fatto quello che doveva per far liberare due sacerdoti (in realtà poi scarcerati, ndr) quan­do era superiore dell’ordine dei gesuiti. Ma io so personalmente – rivela il Nobel ar­gentino – che molti vescovi hanno chiesto alla giunta militare la liberazione di prigio­nieri e sacerdoti, e non fu concessa».

Tra le tante, c’è la testimonianza inedita di un oppositore, a quel tempo particolarmente inviso al regime. Una storia che sembra scrit­ta da John Le Carré, il maestro di spy story. «Alle volte Bergoglio ci faceva diventare paz­zi. Sembrava si trovasse in due posti nello stesso momento», raccontò una volta un vec­chio agente della polizia segreta. Padre Jor­ge Mario sapeva di essere finito nella lista ne­ra delle personalità da spiare notte e giorno. E con lui anche un giovane che finirà a la­vorare in Vaticano e che adesso, non volen­do riflettori su di sé, implora di restare ano­nimo. Bergoglio, che a quel tempo non era ancora vescovo, s’era accorto che il ragazzo gli somigliava parecchio. Fu proprio il futu­ro pontefice a fargli indossare gli abiti da sa­cerdote, tanto che i servizi segreti si mette­vano a pedinare quest’ultimo anziché il pa­dre gesuita. Episodio confermato dallo stes­so Bergoglio, quando venne interrogato dal­la commissione d’inchiesta sugli anni del re­gime. «Ho fatto scappare dal Paese, passan­do da Foz do Iguacu (città nel Sud del Bra­sile al confine con l’Argentina, ndr), un gio­vane che mi somigliava molto, dandogli la mia carta d’identità e vestendolo da prete: so­lo così potevo salvargli la vita».

Anche Graciela Fernandez Meijide, ex mem­bro della Commissione Nazionale sui desa­parecidos , creata dopo il ritorno alla demo­crazia, ieri è stata categorica: «Non mi risul­ta che Bergoglio abbia collaborato con la dittatura, lo conosco personalmente. Ho sof­ferto per la scomparsa di un figlio. Perez E­squivel è stato quasi ammazzato dai milita­ri. Ma non si può dire che tutti i religiosi e­rano complici della dittatura, è un’assurdità». Tra gli ex dissidenti, vi sono però voci di­scordanti. Estela Carlotto, a capo delle non­ne di Plaza de Mayo, dice di non avere un’o­pinione precisa sul comportamento «di Pa­pa Francesco al tempo della dittatura». Ma subito aggiunge: «L’importante per me è sa­pere che il Papa vuole promuovere la pace, la fratellanza e l’amore per il prossimo».

Ad alimentare la leggenda nera del ’gesuita traditore’ ci sono poi alcune immagini a suo tempo confezionate ad arte. Per esempio, come ha segnalato ieri ’ilpost.it’, la dida­scalia originale della foto nella quale Vide­la riceve la comunione da un sacerdote, ri­preso di spalle, non fa alcun riferimento a Bergoglio. Era il 1990 e il gesuita aveva po­co più di 50 anni, mentre nell’immagine si vede un celebrante piuttosto anziano porgere la particola al generale. «L’ex presidente ar­gentino Jorge Rafael Videla – si legge nella didascalia originale dell’immagine custodi­ta dall’agenzia Corbis – riceve la comunio­ne in una chiesa di rito cattolico romano a Buenos Aires, in questa foto del 20 dicem­bre 1990». Eppure, opportunamente ’ta­gliata’ in modo da rendere quasi impossi­bile l’identificazione del prete, quello scat­to è stato fatto passare per la prova regina del­la «contiguità» di Bergoglio anche dopo la caduta del regime, nel 1983.

Di tutto questo su certa stampa internazio­nale non c’è stranamente traccia. Neanche un interrogativo sul perché si siano agitate accuse così pesanti sulla base di elementi co­sì fragili, inconsistenti e manipolati. (1 - continua)