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 2013  marzo 09 Sabato calendario

LE ZAVORRE DEL PASSATO FRENANO LA CAPACITÀ DI USCIRE DALLO STALLO


C’è un odore acre di Seconda Repubblica, in quanto sta avvenendo in queste ore. L’ex premier Romano Prodi, come testimone, viene sentito dai magistrati di Napoli sulla compravendita dei voti parlamentari ai tempi del governo dell’Unione di sinistra, estendendo al piano giudiziario le origini tutte politiche della crisi del 2008. E un altro ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, suo avversario di allora, è in ospedale per una malattia agli occhi mentre la magistratura di Milano ammette a fatica il suo «legittimo impedimento»: come se temesse un tentativo di ritardare la sentenza sul caso Ruby. Insomma, il passato incombe come una maledizione sul dopo-elezioni. E Giorgio Napolitano ammonisce di non perdere tempo. È uno sfondo che fa capire quanto sia serio il rischio di una regressione dell’Italia; e come la maggior parte dei protagonisti sembri preoccupata o tentata più di calcolare il proprio vantaggio immediato che gli interessi del Paese.
Lo stesso Beppe Grillo, trionfatore alle elezioni del 24 e 25 febbraio, si guarda bene dal rispondere all’invito del capo del governo, Mario Monti, in vista del vertice europeo di Bruxelles del 14 e 15 marzo: un colloquio che servirebbe al premier per avere il «via libera» di tutte le forze del Parlamento, da offrire agli alleati dell’Ue per cancellare la sensazione di precarietà diffusa oltre confine; e confermare impegni economici ai quali è impossibile sottrarsi senza pagare un prezzo esoso. Ma Grillo per ora sembra deciso a perpetuare e anzi acuire una situazione instabile; e a puntare sulla permanenza di Monti a palazzo Chigi per non impegnarsi in nessuna coalizione e affrettare il ritorno alle urne dalla comoda postazione di oppositore totale. Il fatto che sia il leader del Movimento 5 Stelle, sia Berlusconi inseguano le «piazze» fa temere un’impennata demagogica e del conflitto istituzionale.
Per il primo si tratta di puntare alle elezioni anticipate in vista di un «azzeramento» del sistema che ha l’aria di un’operazione destabilizzante. Propone un’agenda che include la fine della moneta unica, la settimana lavorativa a 20 ore, e altre proposte irrealizzabili quanto «popolari»: perché non tengono conto del contesto internazionale e dei costi insostenibili che comporterebbero. Quanto al Cavaliere, aizza i fedelissimi contro giudici additati come persecutori e politicamente faziosi, chiamando il Pdl a manifestare il 23 marzo. Di più, ad occupare addirittura la sede del Consiglio superiore della magistratura.
Se confermate, sarebbero tentazioni estremiste che sconfinano nell’irresponsabilità ma lasciano capire quanto il pericolo di una deriva sia incombente. Colpisce anche un Pd che appare deciso a puntare tutto su un incarico a Bersani per formare il governo, con Grillo come alleato privilegiato: nonostante le reazioni sprezzanti del comico. È una prospettiva contraddittoria, per un segretario che aveva indicato l’europeismo come collante di qualunque alleanza: il Movimento 5 Stelle è infatti il più eurofobico del Parlamento, insieme con la Lega. Nonostante l’ex presidente della Commissione Ue continui a smentire, dai settori del Pd che non vedono bene questa operazione filtra la voce maliziosa secondo la quale Prodi medierebbe per portare in dote a Bersani i voti grillini.
Eppure, pochi scommettono sul successo di una manovra che implicherebbe la disponibilità del Movimento 5 Stelle a far parte di una coalizione dai numeri risicati, e un senso di responsabilità tutto da dimostrare. L’esito dell’operazione è, a dir poco, incerto. Ma il fatto che qualcuno la tenti complica la possibilità di avere un governo in grado di scongiurare elezioni a breve scadenza, e di presentarsi davanti alle istituzioni internazionali con le carte in regola. «I problemi non possono aspettare», pungola i partiti Napolitano. «Debbono ricevere risposte e dunque richiedono che l’Italia si dia un governo ed esprima uno sforzo serio di coesione». Lasciarli marcire, avverte, significa permettere che si ripercuotano «in modo drammatico sulle famiglie più disagiate». Il declassamento dell’Italia da parte dell’agenzia di rating Fitch rende il monito ancora più drammatico.