Fabrizio Filosa, la Repubblica 9/3/2013, 9 marzo 2013
HOMO SAPIENS CHE RAZZA D’UOMO
Quanti anni hai?” e “Da dove vieni?” sono domande che in termini genetici e antropologici oggi hanno una sola risposta, che vale per tutti gli abitanti della Terra: “Ho 200mila anni e vengo da una piccola valle dell’Etiopia”. Perché nel Dna di noi Homo Sapiens si legge il cammino della nostra specie, che dall’Africa si è diffusa ovunque evolvendosi da uno sparuto gruppo di individui. Se è così, e la genetica lo conferma, le razze non esistono e tutti gli esseri umani sono figli della stessa “Eva mitocondriale”. È uno di quei casi in cui le scoperte della scienza hanno conseguenze culturali e politiche, ed è anche una delle confortanti rivelazioni della mostra Homo Sapiens. La grande storia della diversità umana che si è aperta a Novara. Se volete sapere da dove veniamo, quali innovazioni ci hanno trasformati in quelli che siamo e in che modo abbiamo prodotto un meraviglioso ventaglio di diversità culturali e linguistiche, la mostra ha le risposte. Ne parliamo con Telmo Pievani, docente di Filosofia delle scienze biologiche a Padova, che con il genetista Luigi Luca Cavalli Sforza ha curato l’esposizione.
Dunque possiamo finalmente seppellire la teoria delle razze…
«La moderna genetica ha dimostrato l’insensatezza di ogni classificazione degli esseri umani sulla base della biologia. Nell’Ottocento si pensava che l’Homo Sapiens fosse così antico da aver permesso la suddivisione della specie in popolazioni con caratteristiche genetiche distinguibili. Oggi sappiamo che noi siamo una specie molto giovane, nata 200mila anni fa in Africa, che all’inizio contava non più di 25-30mila individui molto “mobili”. Non c’è stato il tempo per separarci dal punto di vista genetico».
Quindi siamo uguali ma diversi?
«La specie umana ha una duplice chiave di lettura: l’unità e la molteplicità. Facciamo parte della stessa famiglia, ma da questa unità abbiamo sviluppato una grande diversità culturale e di strategie di sopravvivenza grazie alle migrazioni».
La tendenza a spostarsi, a migrare, è una caratteristica della nostra specie?
«L’Homo Sapiens è l’unica specie migratoria, il che è un grande vantaggio. Essere stanziali non produce infatti trasformazione e il cambiamento è il motore dell’evoluzione. È una delle ragioni per cui forse sono scomparse le altre specie umane con cui abbiamo coabitato a lungo sul pianeta. Il dato sorprendente è che la trama di queste migrazioni ha lasciato un segno sia nei geni sia nelle lingue: l’albero delle parentele dei popoli della Terra corrisponde quasi esattamente a quello delle grandi famiglie linguistiche».
Quali sono le altre specie umane contemporanee al Sapiens?
«Ce n’erano almeno altre quattro, come è stato scoperto. Prima si era certi solo della convivenza in Europa e Medio Oriente con il Neanderthal, ma ora si sa che fino a 30-40mila anni fa sulla Terra vivevano contemporaneamente l’Homo Floresiensis, una specie incredibile trovata sull’isola di Flores, in Indonesia, l’Homo Erectus di Giava e una misteriosissima specie di cui siamo certi dell’esistenza perché abbiamo rinvenuto il genoma, ma solo pochi reperti, in una grotta in Siberia: è l’Homo di Denisova, che viveva in quella caverna in compagnia dei Neanderthal e dei Sapiens».
E perché solo noi siamo riusciti a colonizzare il pianeta e ad arrivare a oggi?
«Probabilmente il Sapiens si è moltiplicato a dismisura e ha soverchiato gli altri sul piano demografico e di capacità di adattamento culturale. Vale a dire che è stato più mobile e capace di adattarsi a ecosistemi diversi da quelli originari. E sicuramente ha contato il linguaggio articolato, cioè la capacità di condividere informazioni in modo astratto e immaginifico, che forse le altre specie non avevano così sviluppato. Il linguaggio produce un’organizzazione sociale più complessa e quindi un’espansione demografica più virulenta. Tutto ciò ha portato il Sapiens a diventare una specie cosmopolita invasiva».
Vuol dire che siamo il cancro della Terra?
«Qualcuno lo sostiene, ma noi non usiamo un termine così drammatico. Cosmopolita invasiva è un’espressione usata dagli ecologi per definire quelle specie, come i ratti e gli insetti, capaci di adattarsi a moltissimi ecosistemi e di moltiplicarsi a dismisura. E in verità è quello che ha fatto l’Homo Sapiens».
Che cosa hanno rivelato le ricerche sulla natura spirituale dell’uomo?
«Sappiamo che 60mila anni fa avvenne quella che si chiama Rivoluzione Paleolitica, prodotta forse dal linguaggio articolato. L’Homo Sapiens inizia ad avere comportamenti assenti nelle altre specie: sepolture rituali raffinate, pitture rupestri, pitture sul corpo, musica... Nella mente della nostra specie sono scattate capacità di vedere il mondo con occhi diversi, sono nate l’immaginazione, l’astrazione e di conseguenza la spiritualità».
Quale lezione si può trarre da queste novità, oltre all’assurdità del razzismo?
«Facciamo spesso l’errore di credere che l’evoluzione e la natura portino all’equilibrio, ma i fenomeni di rottura delle armonie ci sono, e l’Homo Sapiens nella sua storia ha rotto moltissimi equilibri precedenti a lui: ha estinto specie viventi, ha bruciato e devastato territori. È dunque ora che noi Sapiens facciamo i conti con la nostra innata attitudine a reprimere la diversità intorno a noi».