Roberto Giardina, ItaliaOggi 14/3/2013, 14 marzo 2013
GLI ABITI CONSENTITI AI DIPENDENTI
Il premier turco Erdogan ha ordinato alle deputate di indossare in parlamento il velo, che Ataturk aveva abolito, anzi proibito, nei lontani anni Venti. Le ragazze turche, quando cadde il Muro, giravano per Berlino in minigonna, oggi le loro figlie sfoggiano il velo islamico, che poi è il fazzoletto con cui si coprivano i capelli le donne nel nostro Meridione fino a mezzo secolo fa.
Una catena di prodotti cosmetici ha assunto una ragazza musulmana come commessa, era elegante «all’europea». Dopo qualche mese anche lei ha cominciato a sfoggiare il velo. La direzione l’ha licenziata, non per ragioni religiose, semplicemente riteneva che una commessa dovesse essere un testimonial delle qualità estetiche della società. Un tribunale ha dato ragione alla ragazza.
In generale, un’azienda può decidere l’abbigliamento dei dipendenti? Una Sparkasse, una cassa di risparmio, nei pressi di Münster, in Westfalia, ha stabilito con precisione cosa dovessero indossare uomini e donne impiegati nelle filiali, e che cosa fosse assolutamente proibito, pena ammonizioni e licenziamento. Ad esempio, camicie classiche a tinta unita e di colore chiaro, ma vietati sandali e scarpe da ginnastica, le gonne lunghe fino al ginocchio, calze obbligatorie per le signore. E cravatte anonime senza pupazzetti o tinte orripilanti. Gli ordini non sono piaciuti ai dipendenti, che hanno denunciato la banca, anche se valevano pure per il personale direttivo. Il giudice ha evitato di decidere, invitando le parti a un compromesso: si mettano d’accordo tra loro sulle questioni di eleganza.
Il caso non è isolato. Un’agenzia di sicurezza ha preteso che le guardie impiegate all’aeroporto di Colonia per controllare i passeggeri non avessero la barba di tre giorni, come va di moda, o unghie troppo lunghe e laccate. Questi consigli sono stati accettati, ma perché pretendere perfino di indicare il colore della biancheria intima? E la banca svizzera Ubs ha mandato ai dipendenti un manuale di abbigliamento lungo 44 pagine. Forse un po’ esagerato. Tra l’altro, prevede l’obbligo di andare dal parrucchiere almeno una volta al mese, e di non usare tinture, né gli uomini né le donne. Vietati anche toupet per gli uomini che non vogliono assomigliare al pelato Bruce Willis.
La giurisprudenza al riguardo è complessa. Va rispettata la libertà individuale: un impiegato di banca ha il diritto di preferire una camicia celeste a una bianca, oppure di sfoggiarne una a strisce, ma non deve arrivare a pretendere di travestirsi come un cowboy con camicia a scacchi. Una banca può chiedere che i dipendenti portino giacca e cravatta, e perfino indicare un colore scuro. Pretendere di scegliere la marca e lo stile del reggiseno va un po’ oltre.
Nel caso dell’agenzia di sicurezza, il giudice ha dato ragione ai dipendenti riguardo capelli e unghie, sono scelte private, ma, a sorpresa, ha sancito che l’azienda poteva decidere il colore della biancheria: in estate sotto camicie leggere o quasi trasparenti non è elegante vedere che cosa indossa una poliziotta. Per finire, anche i parlamentari sono invitati a frequentare il Bundestag in giacca e cravatta, ma il presidente Lammert non ha avuto il coraggio di dare consigli alle deputate.