Paolo Conti, Corriere della Sera 14/03/2013, 14 marzo 2013
LA RINASCITA DEI GESUITI E QUELL’INCARICO INASPETTATO
«Ad maiorem Dei gloriam», per la maggior gloria di Dio, e il servizio del prossimo. È tutto qui, nella sua scarna e profonda semplicità, il motto della Compagnia di Gesù: ed è anche il fine che si prefigge. Gli strumenti sono indicati nei quattro voti che vincolano i Padri: povertà, obbedienza, castità e speciale obbedienza al Papa. Un’obbedienza, al pontefice e comunque ai superiori, che dev’essere «perinde ac cadaver», come un cadavere, come un corpo senza vita. Non poteva essere diversamente per la Societas Jesu, la Compagnia di Gesù, fondata da un ex soldato di nobile famiglia basca, sant’Ignazio di Loyola, che ritrovò la fede dopo essere rimasto ferito durante la battaglia di Pamplona nel 1521. Tempo dopo, guardando alla sua gioventù, disse di sé: «Fui uomo dedito alle vanità del mondo, e il cui piacere maggiore era quello di esercizi marziali, con un grande e vano desiderio di acquistarsi celebrità». Dunque una struttura di tipo quasi militare (obbedienza assoluta), una missione chiara (la maggior gloria di Dio), una totale noncuranza per i successi mondani («vano desiderio»).
Ignazio impiega non poco a far approvare la Regola dal pontefice (la Compagnia viene fondata nel 1534 e solo nel 1550 Giulio III emette la bolla «Exposcit debitum»). Ma immediatamente dopo la crescita degli adepti è esponenziale grazie a una vocazione missionaria e insieme pedagogico-culturale. San Francesco Saverio parte per le Indie e il Giappone ed apre a mondi lontani. Lo spinge il motto «per la maggior gloria di Dio». Lo stesso motore porta i membri della Compagnia ad approfondire studi umanistici e scientifici per riversarli nelle scuole e nei collegi che lentamente aprono in Europa e nel mondo conosciuto seguendo il Paradigma Pedagogico Ignaziano. Il frutto principale è il prestigiosissimo Collegio Romano, che per secoli istruisce i figli delle famiglie nobili della Roma papale. Da questa attitudine all’insegnamento e alla diffusione del sapere e dalla profonda cultura multidisciplinare dei suoi membri (scienziati, linguisti, astronomi, matematici, medici, teologi) nasce l’immagine della Compagnia come luogo di potere occulto, quindi solido e autentico. I gesuiti educano i rampolli dei regnanti cattolici, sono apprezzati confessori di personaggi illustri e contemporaneamente fondano missioni avanguardistiche (le «riduzioni») in Sudamerica. Il Preposito generale della Compagnia viene considerato così potente da essere chiamato «Papa Nero». Tanto contropotere fatalmente confligge col papato stesso: Clemente XIV scioglie la Compagnia nel 1773. E i gesuiti, fedeli all’obbedienza assoluta, accettano senza opporsi. Ma cinquant’anni dopo rinascono grazie a Pio VII e riprendono in Europa e nel mondo il loro ruolo. Molti i santi famosi, da Roberto Bellarmino a Luigi Gonzaga. Numerosi, in Italia, gli ex alunni famosi e spesso citati: da Mario Draghi a Mario Monti, da Luca di Montezemolo a Giuseppe De Rita. Gesuita era anche il cardinale Carlo Maria Martini, che nel 2005 sarebbe stato un sicuro papabile se non fosse stato consciamente malato.
Ora sono numericamente assai ridotti (21.000) rispetto agli anni Sessanta, quando erano addirittura 36.000, ma continuano a perseguire i loro compiti educativi (13 università solo in America Latina, ed è appena un esempio) e culturali, come testimonia il peso che tuttora ha la storica rivista «Civiltà cattolica». Con l’elezione di papa Francesco, c’è da scommetterci, ora le vocazioni torneranno a crescere.
Paolo Conti