Gian Guido Vecchi, Corriere della Sera 14/03/2013, 14 marzo 2013
CUCINA DA SOLO, SI SPOSTA IN BUS. E RICORDA IL DIALETTO PIEMONTESE —
Curet primo Deum, anzitutto curati di Dio. Bisogna partire dalla Formula di Sant’Ignazio di Loyola, la regola del fondatore della Compagnia di Gesù, per capire la semplicità di Francesco, il primo gesuita vestito di bianco della storia. L’austerità di Jorge Mario Bergoglio, 76 anni, è leggendaria. A Buenos Aires gira in autobus, non vive nell’episcopato ma in un piccolo appartamento, raccontano si prepari la cena da sé e del resto la sera mangia poco o niente, un tè, della frutta. Quando Giovanni Paolo II lo creò cardinale, 21 febbraio 2001 (nello stemma aveva il cristogramma IHS, per il greco Iesous, dei gesuiti), si dice che i fedeli avessero preparato una colletta per fare festa ed accompagnare il suo viaggio a Roma: ma lui chiese loro di restare in Argentina e dare i soldi raccolti ai poveri, a Roma festeggiò quasi da solo. Il suo motto episcopale era miserando atque eligendo, scusando e scegliendo. Nelle biografie preparate dai cardinali per la sala stampa della Santa Sede la sua è tra le più corte, una mezza pagina.
Bergoglio è solido nella dottrina e insieme riformatore, molto attento alle questioni sociali. «In questa città la schiavitù non è abolita, è all’ordine del giorno sotto diverse forme», sillabava poco tempo fa denunciando lo sfruttamento dei lavoratori nelle officine clandestine, il rapimento di donne e bambine per avviarle alla prostituzione. E poi la povertà, il debito sociale: «Per coloro che hanno abbastanza i più poveri non contano, c’è una immorale, ingiusta e illegittima violazione al diritto di sviluppare una vita piena».
Sarà anche che suo padre faceva il ferroviere: si chiamava Mario come lui ed era un piemontese di Portacomaro, in provincia di Asti, emigrato a vent’anni in Argentina per sbarcare il lunario. Lui, Jorge Mario, è nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936, da ragazzo fece le pulizie in fabbrica e si diplomò come perito chimico prima di entrare, a 21 anni, nella Compagnia. Studi umanistici, laurea in Filosofia e poi in teologia, una tesi dottorale in Germania. A 37 anni era già «provinciale» e quindi superiore dei gesuiti in Argentina. Durante la dittatura militare si mosse sottotraccia per salvare sacerdoti e cittadini dai torturatori ed è molto rispettato dalle madri di Plaza de Mayo, che non hanno certo risparmiato condanne alle connivenze della gerarchia cattolica.
Ora passerà alla storia anche per essere il primo Papa latinoamericano. È appassionato di tango, ma le origini italiane e piemontesi restano. Francesco si ricorda ancora il dialetto astigiano e conosce Rassa nostrana, «libera e testarda», il canto degli immigrati. Del resto oltre allo spagnolo e all’italiano parla inglese, francese, tedesco. Coltissimo e umile, parla duro se necessario, come quando pochi mesi fa, a novembre, deplorò il fariseismo di alcuni preti della sua diocesi: «Lo dico con dolore, se suona come una denuncia o un’offesa perdonatemi: nella nostra regione ecclesiastica ci sono presbiteri che non battezzano i bambini delle madri non sposate perché non sono stati concepiti nella santità del matrimonio». Contro tale «sequestro» dei sacramenti, contro gli ipocriti che «allontanano il popolo di Dio dalla salvezza» («magari una ragazza che non ha voluto abortire si trova a pellegrinare di parrocchia in parrocchia, chiedendo che qualcuno le battezzi il bimbo») le parole di quell’omelia suonano oggi fondamentali dopo un Conclave che ha avuto al centro la nuova evangelizzazione: «Gesù non fece proselitismo: lui accompagnò. E le conversioni che provocava avvenivano precisamente per questa sua sollecitudine a accompagnare che ci rende fratelli, che ci rende figli, e non soci di una Ong o proseliti di una multinazionale».
L’essenziale sta nella spiritualità ignaziana. Ieri i gesuiti erano così commossi da faticare a parlare, «è un Papa latinoamericano, anzitutto, e sono colpito dal nome, Francesco, scelto per la prima volta con un coraggio notevole, molto espressivo di uno stile di semplicità e di testimonianza evangelica», diceva con la voce incrinata («sono sotto choc, non riesco ad aggiungere altro») padre Federico Lombardi. Padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, è emozionato come un bimbo: «Per il Santo Padre il voto di povertà è molto importante, del resto Ignazio ci teneva molto e Francesco e Domenico sono stati i suoi modelli ispiratori...». Ma non c’è solo questo. L’immagine di ieri sera è il Papa che si inchina davanti ai fedeli in piazza, a ricevere la preghiera. Che si definisce anzitutto «vescovo» e si rivolge al «popolo» accorso in piazza, poiché il pontefice è tale in quanto vescovo di Roma: «Adesso vorrei dare la benedizione ma vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica...». A 21 anni, per una polmonite, gli asportarono la parte superiore del polmone destro, ma è un uomo forte. E la spiritualità di Francesco promette molto in tema di riforma della Chiesa: «Bergoglio è una persona dolce ma ferma, un uomo che ha le idee molto chiare e le pone in maniera assolutamente evangelica, e il suo stile di vita rivela questo tratto», sorride padre Spadaro. «Non si imporrà con gesti forti, credo che lo scopriremo pian piano...».
Gian Guido Vecchi