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 2013  marzo 14 Giovedì calendario

AL VIA L’ERA DELLA SEMPLICITA’

Con la scelta del cardinal Bergoglio come 266° Papa della storia della cattolicità, la Chiesa ancora una volta stupisce se stessa e il mondo intero. Una convergenza inattesa e veloce del Conclave sul primate argentino, che spiazza tutte le previsioni di un Collegio cardinalizio diviso in cordate.
Un Collegio alle prese con negoziazioni e tensioni. Mai come oggi questa lettura ‘politica’ delle vicende ecclesiali è apparsa anacronistica e impropria. Le fonti ci dicono che colui che ha ardito chiamarsi Francesco I è un uomo austero, profondamente spirituale, che pur con lo zucchetto rosso ha sempre vissuto in semplicità a Buenos Aires; un vescovo che rappresenta l’anima più caritativa della chiesa, ha difeso a oltranza i suoi preti più esposti verso i poveri, gode di una fama integerrima nella sua vita personale. Tuttavia è anche un gesuita di cultura, portato a far dialogare fede e scienza, attento alle istanze di un mondo complesso.
Tre sono i segnali più immediati che il nuovo Papa ha trasmesso al mondo col suo affacciarsi un po’ impacciato alla Loggia della Basilica di San Pietro. Anzitutto il primato della spiritualità, emersa sia nel far pregare la moltitudine di fedeli che era accorsa nella piazza all’annuncio della fumata bianca, sia nel richiamo che “la speranza viene dal Signore”, che – anche attraverso questo evento che lo riguarda in prima persona – “Dio viene a trovare il suo popolo”. Continua dunque la strada del vangelo.
In secondo luogo, la semplicità coniugata per la prima volta con i riti. I cardinali l’hanno eletto Papa, ma per la sua legittimazione egli sembra domandare anche il consenso e la preghiera del popolo. Come a dire che anche l’investitura popolare è importante, per un profeta che non è tale senza la sua comunità. Il nome poi sembra evocare una nuova stagione per la chiesa e il suo rapporto col mondo. Tutti abbiamo pensato subito (e questa è l’interpretazione più logica e impegnativa) a Francesco d’Assisi, e quindi al richiamo ad una chiesa essenziale e profetica, che lascia i palazzi per condividere la vita di chi soffre e della gente comune. Ma la scelta potrebbe anche evocare San Francesco Saverio, il pioniere delle missioni nei tempi moderni, pure lui gesuita; come a dire che il cuore della chiesa guarda ai confini del mondo.
Ci sono dunque tutte le premesse perché questo Papa porti avanti quella riforma di cui la chiesa cattolica ha grande bisogno per essere all’altezza dello spirito del vangelo e delle sfide del tempo presente. Mettere ordine nella Curia Romana è il primo passo di questo non facile cammino. Questa riforma non nasce dall’idea che la chiesa di Roma possa fare a meno di strutture e dicasteri centrali atti a dirigere e orientare una cattolicità che conta ormai più di un miliardo e 200 mila fedeli, si articola in migliaia di diocesi, è diffusa in tutti i continenti, deve affrontare i problemi tipici di un’organizzazione che non ha uguali nel mondo, rappresentati dall’esercizio della carità, dalla produzione teologica, dalla cura delle vocazioni, dalla formazione del clero, da una forte presenza in campo educativo e assistenziale, dai rapporti con le altre confessioni religiose, dalle relazioni diplomatiche con i diversi Stati, ecc.
Tutto ciò, ovviamente, richiede un centro della cattolicità ben organizzato e efficiente, ma attento alle diverse situazioni, capace di far unità ma nello stesso tempo di lasciare autonomia alle chiese nazionali e locali, abile nel dare indirizzi e nel coordinare le risorse e nel sostenere le situazioni più difficili. Ma queste esigenze nulla hanno a che fare con una Curia che nel tempo (come ogni burocrazia) sembra aver ceduto alla tentazione di chiudersi su se stessa, che – a seguito del particolare carisma degli ultimi pontefici (più estroverso quello di Giovanni Paolo II, e più riflessivo e da teologo quello di Benedetto XVI) – è risultata come un corpo a se stante dentro la chiesa, esprimendo tensioni e conflitti interni (sullo Ior, su Vatileaks, ecc.) indicativi di gruppi che – magari a fin di bene – entrano in concorrenza su come governare la chiesa in questi tempi difficili. Certamente, la soluzione non può essere l’annullamento o il depotenziamento delle strutture della Santa Sede; ma la sua riconversione (magari accompagnata da uno snellimento) più ad una funzione di servizio della chiesa tutta che di struttura che agisce in essa in modo autonomo e separato. Ciò anche per evitare ciò che gli antiriformisti paventano da tempo, che la mancanza di coesione e di indirizzo porti la Chiesa di Roma ad un progressivo sfilacciamento, in linea con quanto è accaduto nella storia del protestantesimo mondiale. Dunque, unità nella differenza, ma pur sempre unità, a salvaguardia della cattolicità.
Ma la riforma della chiesa cattolica non può limitarsi al riorientameno o riallineamento della Curia romana. Altri compiti impegnativi rientrano nell’agenda della nuova stagione della chiesa. Tra questi, l’urgenza di dare una maggior autonomia ai luoghi e alle figure preposte ad approfondire il pensiero cristiano e la sensibilità cattolica troppo spesso in questi ultimi decenni resi afoni o timorosi di esprimersi da una chiesa centrale che apprezzava più il canto dentro il coro che nuove e vitali piste di riflessione e di ricerca.
Oltre a ciò, la necessità di ritrovare un equilibrio tra i diversi carismi di cui si compone la chiesa, che dopo le aperture del Concilio Vaticano II presenta al suo interno dei segnali involutivi, come l’emergere di un neo-clericalismo di ritorno; la perdurante poca valorizzazione dei laici credenti (e delle donne in particolare); il maggior peso dei gruppi e delle associazioni ecclesiali impegnate nell’affermazione dell’identità religiosa rispetto a quelle che si sporcano le mani con le miserie del mondo; un eccesso di ‘movimentismo’ nella chiesa che sembra investire più nei grandi eventi che nella pastorale ordinaria. E ancora il ruolo ovunque più dimesso oggi svolto dagli Ordini e dalle Congregazioni religiose rispetto al maggior protagonismo delle Conferenze episcopali e delle chiese diocesane.
Infine, il rapporto con la modernità avanzata, che non è soltanto il luogo della negazione di Dio, ma che esprime anche una tensione umana e spirituale sovente lontana dalle chiese e dalle religioni storiche. Occorre recuperare un dialogo con questo mondo controverso, con i molti che vivono situazioni irregolari per la chiesa, ma che sono alla ricerca di speranza e di salvezza.
Dalla prima apparizione in pubblico, Papa Francesco I ha fatto emergere che questa riforma della chiesa è possibile, usando parole (comunione, fratellanza, unità, uomini di buona volontà) che evocano una chiesa che nel farsi compagnia nelle vicende umane ricorda anzitutto a se stessa il primato dei valori dello spirito.