Marco Tosatti, La Stampa 14/3/2013, 14 marzo 2013
QUEL BALLOTTAGGIO PERSO CON RATZINGER NEL
2005 -
Papa Francesco ha fatto la prima telefonata al suo predecessore Ratzinger e oggi lo incontrerà. I due furono protagonisti del Conclave del 2005: oggi viene eletto come successore al Soglio di Pietro un cardinale che nel Conclave precedente non solo si era opposto – non si sa quanto di propria iniziativa e quanto perché era funzionale a un’opposizione – a quello che poi sarebbe stato scelto; ma che a un certo punto aveva chiesto a chi lo votava di desistere. Lucio Brunelli qualche anno fa ha avuto accesso al diario di un cardinale presente nella Cappella Sistina, e ha dato un resoconto preciso di ciò che accade in quei giorni di aprile, dopo la morte di Giovanni Paolo II. E’ vero che il candidato principale, quasi da sembrare unico, era Joseph Ratzinger; ma dall’andamento delle votazioni il panorama appare molto più frastagliato di quanto si potrebbe pensare.
Ratzinger aveva bisogno della stessa maggioranza (77 voti) minima necessaria nel Conclave che si è appena chiuso.
La non disponibilità del cardinale Carlo Maria Martini a un’eventuale candidatura aveva lasciato però quanti si opponevano a Joseph Ratzinger senza un vero punto di riferimento. Fra questi certamente Karl Lehmann, tedesco, e Godfried Danneels, arcivescovo di Bruxelles. A loro si aggiungevano alcuni cardinali di Curia, alcuni latino americani e degli Stati Uniti.
Nella prima votazione Ratzinger ha 47 voti; Bergoglio 10, e Martini 9. Nella seconda votazione Ratzinger sale a 65, e Bergoglio a 35, mentre scompaiono i voti per Martini. Il terzo scrutinio porta il Prefetto della Congregazione della Fede a 72 voti, e l’arcivescovo di Buenos Aires a 40. Ma qualche cosa sta accadendo nell’animo del cardinale gesuita, figlio di emigranti piemontesi. Il cardinale che stende il suo diario annota infatti: «Lo guardo mentre va a deporre la sua scheda nell’urna, sull’altare della Sistina: ha lo sguardo fisso sull’immagine di Gesù che giudica le anime alla fine dei tempi. Il volto sofferente, come se implorasse: Dio non mi fare questo».
Che cosa passava nella mente di Bergoglio? Forse era il timore di essere scelto, e di non sentirsi adeguato per un tale peso. E di questo, e di una seconda versione, lievemente diversa da questa, parleremo fra poco. O forse era la consapevolezza di essere utilizzato per bloccare una candidatura. Infatti se i 40 voti di cui disponeva fossero rimasti costanti, Ratzinger non avrebbe potuto raggiungere il quorum necessario all’elezione, e sarebbe stato giocoforza trovare un terzo candidato. E nella quarta votazione Ratzinger sale a 84, sette oltre il limite; un consenso non travolgente, ben lontano dai 98 voti che Andreotti attribuisce a Luciani, e ai 99 di Wojtyla. Più vicino ai tre voti oltre il minimo ottenuti da Paolo VI. E forse non è un caso che si sia trattato di due pontificati non poco travagliati. Bergoglio a quel punto ottiene ancora 26 consensi: uno zoccolo duro che sembra un segnale lanciato al nuovo pontefice, una resistenza abbastanza straordinaria, se si vuole; dal momento che in genere, quando il risultato in un Conclave appare indiscutibile, si tende a confluire sul nome prescelto, indipendentemente da quanto è accaduto negli scrutini precedenti. C’è da dire anche che l’immagine di candidato «progressista» contro il «conservatore» Ratzinger (e la storia anche recente, pare abbia fatto sufficiente giustizia di questi stereotipi) stava molto stretta a Bergoglio. Gesuita come Martini, ma piuttosto in disgrazia ai tempi del padre Arrupe e dell’epoca più «avventurosa» della Compagnia; aperto sul piano sociale, di una povertà di vita esemplare, ma molto saldo sulla dottrina, veniva definito dal cardinale autore del diario in Conclave «Uomo di preghiera, che rifugge la scena mediatica e conduce uno stile di vita sobrio ed evangelico».
Esiste anche – e ne siamo venuti a conoscenza solo qualche settimana fa – una seconda versione di quanto è accaduto nel Conclave del 2005; e anche se non così precisa e dettagliata come quella che si basa sul diario dell’anonimo porporato, proviene da fonti molto attendibili. In realtà in quei giorni dell’aprile 2005 sarebbe avvenuto uno scontro di voti e di preferenze fra il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e il cardinale argentino di origini piemontesi Jorge Maria Bergoglio, molto più ravvicinato di quanto finora era emerso.
Un braccio di ferro che si sarebbe concluso solo quando il porporato argentino avrebbe chiesto, «quasi in lacrime», a quanti lo votavano, di desistere. E solo in quel momento il 79enne Ratzinger avrebbe cominciato a prevalere in maniera decisa, ma non tale da fargli raggiungere la maggioranza di grande rilievo di cui avevano potuto godere Karol Wojtyla e Albino Luciani. Una rinuncia «preventiva» che ha fatto sì che l’arcivescovo di Buenos Aires non apparisse nelle previsioni della vigilia. Anche se la storia della sua elezione, ancora da scrivere, fa pensare a un candidato di «sicurezza» dopo che altri sono venuti meno.