Giacomo Galeazzi, La Stampa 14/3/2013, 14 marzo 2013
SCOLA TRADITO DAGLI ITALIANI FIN DALLA PRIMA VOTAZIONE
Che per il super-favorito Scola le cose potessero complicarsi lo si era già visto martedì. Pochi istanti dopo l’extra omnes e la meditazione in Sistina, a sorpresa Bergoglio aveva ottenuto subito il maggior numero di voti. Però al primo scrutinio i consensi erano troppo sparpagliati per delineare un quadro realmente indicativo. Si trattava comunque di un campanello d’allarme per l’arcivescovo di Milano, accreditato di tali chance di vittoria che ieri, a pochi minuti dall’annuncio del protodiacono, uno sfortunato comunicato del segretario generale della Cei esprimeva «i sentimenti dell’intera Chiesa italiana nell’accogliere la notizia dell’elezione del cardinale Angelo Scola a Successore di Pietro».
A sbarrare a Scola la strada verso il Sacro Soglio è stata la confluenza di due cordate e di due ordini di valutazioni nettamente distinte: quella extraeuropea (e soprattutto sudamericana) intenzionata a portare per la prima volta il papato fuori dal Vecchio continente e quella curiale dei nemici-alleati Bertone e Sodano irriducibilmente ostili a Scola. «Per antiche invidie e rivalità», commentano nelle Sacre Stanze. A Bertone non è mai andato giù il consiglio di Scola al Papa in un incontro a Castel Gandolfo durante la bufera per la grazia al vescovo negazionista Williamson: la sua sostituzione alla guida della Segreteria di Stato. Da parte sua, invece, Sodano si è trovato su opposte barriere rispetto a Scola in varie partite di potere per il controllo di istituzioni cattoliche. Lo stesso Ruini, pur stimando Scola, non ha dato indicazioni di voto a suo favore ai conclavisti come l’australiano Pell che hanno chiesto di potergli fare visita prima del conclave. Insomma, i 28 elettori italiani non hanno remato tutti nella stessa direzione e così hanno vanificato la possibilità di riportare un loro connazionale sul Soglio di Pietro 35 anni dopo Luciani.
Neppure tra gli arcivescovi residenziali italiani c’è stata totalità di consensi per Scola, al quale perciò non potevano più bastare i consensi di numerosi elettori europei. Inoltre i conclavisti vicini alla comunità di Sant’Egidio (per esempio, Sepe) non vedevano di buon’occhio la vicinanza di Scola a un movimento distante dalla loro impostazione come Comunione e Liberazione. Nelle ultime ore non erano mancati segnali che la candidatura fortissima di Scola fosse un gigante dai piedi d’argilla. A parole tutti riconoscevano la sua eccezionale statura di vescovo e intellettuale, però poi, a scavare un po’ oltre le frasi di circostanza, affioravano distinguo e riserve. E soprattutto prendeva sempre maggior campo quella suggestione per il “volo oltre oceano” che faceva vacillare l’opportunità di ripiegarsi su un pontificato italiano mentre la gran parte della sua crescita la Chiesa la sta sperimentando in Sud America, Africa, Asia. «Non può esserci sempre il pastore a monte e il gregge a valle», sintetizzò un porporato africano in congregazione.
Inoltre poco prima dell’avvio del conclave, il sodaniano Lajolo aveva pubblicamente dato voce al fastidio della Curia per il protagonismo della pattuglia statunitense e pochi vi colsero il gradimento del partito del decano per uno stile più sobrio. Proprio la cifra di basso profilo, l’etichetta rispettata da Bergoglio per l’intera durata della sede vacante. Pochissima esposizione, uscite pubbliche ridotte al minimo e congregazioni generali vissute alla stregua degli altri peones del collegio cardinalizio malgrado nel 2005 avesse ottenuto nell’elezione pontificia più consensi di chiunque altro ad eccezione di Ratzinger. E Benedetto XVI non ha mai fatto mistero della sua considerazione per l’austero gesuita che ha «purificato» la Chiesa argentina dalle compromissioni con il regime militare.
Per Bergoglio ora come otto anni fa il luogo fatale è stata Santa Marta. Ma stavolta con risultato opposto. Ciò che è accaduto ieri alle 13,30 nella Domus conta più dei primi scrutini senza esito nella Sistina. Alle fumate nere, infatti, sono seguiti i conciliaboli domestici nella residenza degli elettori. Bertone e Re hanno parlato con Bergoglio garantendogli il loro sostegno. Prima i conclavisti mangiavano e dormivano nella cappella affrescata da Michelangelo, dal 2005 rientrano (in navetta o a piedi) per i pasti e il pernottamento nell’albergo fatto ristrutturare da Giovanni Paolo II. Durante i pranzi e le cene i cardinali discutono liberamente ed entrano in azione i pontieri che offrono una possibile conciliazione tra le diverse fazioni. Otto anni fa, fu proprio nel refettorio di Santa Marta che la partita si chiuse a favore di Ratzinger. «Dall’ultima cena in poi, nella Chiesa le cose importanti vengono decise a tavola», spiega sorridendo un elettore di Ratzinger.
Nel conclave del 2005, dopo le prime tre votazioni, Bergoglio si rivolse ai commensali con un discorso destinato a cambiare immediatamente le sorti di quella elezione pontificia. Chiese espressamente ai suoi quaranta sostenitori di smettere di votarlo. Insomma davanti a un piatto di pasta al sugo o a un digestivo si è deciso anche stavolta chi si dovesse affacciarsi vestito di bianco dal balcone di San Pietro. Le ore trascorse a Santa Marta, tra salottini, confessionali e cappella interna, hanno offerto occasioni per concordare informalmente l’uscita di scena dei candidati con minori consensi, a tutto vantaggio del papabile che nei primi tre scrutini avevano ottenuto più voti.
Abboccamenti in extremis che, nello stallo delle votazioni, sono risultati determinanti. I dubbi sono diventati scomposizione di cordate e l’appannamento della stella di Scola si è tramutato nella polarizzazione attorno al mite Bergoglio.