Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  marzo 14 Giovedì calendario

LADRI DI PRIVACY GRAZIE A STREET VIEW L’ULTIMO SCANDALO DELLE SPIE DI GOOGLE

DAL NOSTRO INVIATO
SAN FRANCISCO — Le auto con telecamera di Google per Street View non si limitavano a fotografare strade e piazze per costruire e aggiornare la mappatura delle nostre città. Spiavano anche noi, intercettando i segnali wi-fi di casa nostra s’impadronivano di password, email, perfino conti bancari e informazioni mediche. Spionaggio sfacciato, violazione della privacy su vasta scala, con milioni di vittime ignare: noi. Per anni e anni. Scoperta nel 2010, Google dapprima negò. Poi minimizzò la quantità d’informazioni saccheggiate. Infine sostenne di averle perdute. Cercò di scaricare tutta la colpa su un solo ingegnere. Martedì quella montagna di bugie è crollata. Google ha dovuto ammettere la sua colpevolezza. Ha patteggiato, in una causa promossa da 38 Stati Usa, riconoscendo l’ampiezza del danno e la
propria responsabilità.
Il colpo è duro per l’immagine del colosso californiano dell’economia digitale. Stupisce invece a prima vista la lieve entità della pena: solo sette milioni di dollari di multa, un’inezia per un gruppo che ha avuto un fatturato di 50 miliardi l’anno scorso. «L’importanza di questo patteggiamento — precisa il procuratore generale del Connecticut, George Jepsen, che guidava l’accusa — va oltre i suoi contenuti economici». La giustizia americana stavolta non ha fatto il botto, con una di quelle
megamulte che catturano l’attenzione dell’opinione pubblica. Con una scelta forse più pragmatica, i magistrati che rappresentano i 38 Stati hanno preferito “rieducare” il criminale anziché punirlo. Realistico, perché per colossi come Google qualsiasi multa forse è inefficace: hanno spalle finanziarie troppo robuste, assorbono ogni shock, e poi tra l’altro lo scaricano sugli azionisti o sui clienti. L’importanza di questo accordo sta altrove, nei doveri che vengono imposti a Google per “redimerla” dai suoi vizi. Per la prima volta l’azienda sarà obbligata a controllare i propri dipendenti in modo stringente per garantire che non violino la privacy degli utenti. Dovrà anche spendere risorse per informare il pubblico e consigliarlo su come proteggere la riservatezza dei propri dati.
I tribunali attendono Google al varco. Entro sei mesi dovrà presentare un piano dettagliato con
le nuove regole che applicherà per rispettare la privacy. Dovrà adottare dei piani di formazione dei suoi dipendenti, per educarli al rispetto dei diritti degli utenti. Dovrà creare un video divulgativo
su YouTube che spieghi in modo chiaro agli utenti come devono “crittare” i loro dispositivi wi-fi per renderli più sicuri. Dovrà fare pubblicità a pagamento sui giornali dei 38 Stati per mettere nero su bianco gli stessi consigli agli utenti di Internet, sull’auto-protezione dei dati. Inoltre il patteggiamento con l’ammissione di colpevolezza crea le premesse per altre battaglie contro Google
nelle aule giudiziarie.
La prima che spunta all’orizzonte riguarda Google Glass, gli occhiali con micro-computer portatile che l’azienda sta promuovendo. Se quegli occhiali venissero usati da un acquirente per spiare conversazioni private in locali pubblici, o i movimenti del vicino di casa, le cause per violazione di privacy potrebbero colpire la stessa azienda produttrice. Il patteggiamento coi 38 Stati è l’ultima di una serie di sconfitte giudiziarie per l’azienda di Mountain View. L’estate scorsa Google fu multata (22,5 milioni) dall’authority del settore, la Federal Trade Commission (Ftc), per avere manipolato le regole di privacy sul suo browser Safari. Nel 2011 Google aveva dovuto accettare di essere una “vigilata speciale” da parte della Ftc per 20 anni, dopo avere ammesso di usare metodi ingannevoli nella promozione del suo social network Buzz.