Paolo Rodari, la Repubblica 14/3/2013, 14 marzo 2013
IL CONCLAVE SI RIBELLA AL PARTITO DELLA CURIA — CITTÀ DEL VATICANO
Ha perso il «partito romano » e hanno perso i curiali.
Hanno vinto i cosiddetti riformatori e con loro gran parte degli extra europei, americani in testa. L’attacco durissmo mosso durante le Congregazioni generali da molti cardinali contro la «corruzione » romana, la curia vaticana che puntava sul brasiliano membro della Commissione cardinalizia dello Ior, Odilo Scherer, si è riverberato in modo drammatico durante un Conclave durato in tutto venticinque ore e mezzo e che ha visto gradualmente i sudamericani e gli statunitensi puntare su una figura aliena a Roma, spirituale, il Vangelo del popolo e della terra dell’arcivescovo di Buenos Aires.
Insieme un gesuita, e dunque un uomo formato al comando: sant’Ignazio, fondatore dei gesuiti, era un militare oltre che un uomo di grande spiritualità e di spirito ascetico.
Nel 2005 Bergoglio prese prima dieci, poi trentacinque, poi quaranta e infine ventisei voti. E cedette il passo a Ratzinger. Questa volta la sensazione è che sia stato un crescendo graduale e che l’arcivescovo argentino sia stato eletto dopo che al terzo scrutinio Angelo Scola ha indirizzato i suoi voti verso di lui. Fra gli americani da subito ha creduto in lui l’arcivescovo di Washington, il cardinale Donald Wuerl. Gli altri sono andati prima su Timothy Dolan, arcivescovo di New York, poi su Marc Ouellet, prefetto dei Vescovi e poi in scia ai sudamericani su Bergoglio. Un’elezione che è una vittoria per i latinoamericani, mai così forti e uniti nonostante nessuno credesse in loro. Uniti anche in favore di un cardinale che in passato ha subìto attacchi da giri curiali legati alla cultura del dossieraggio. C’era chi lo dipingeva a Roma come un porporato «legato agli aspetti meno ortodossi della teologia della liberazione », quando invece egli era l’opposto. E i riformatori hanno voluto riconoscerglielo perché, dicono fonti vaticane, per loro Bergoglio è come l’eroe del film Mission del 1986 diretto da Roland Joffé, che si fa uccidere per gli ultimi e non cede di fronte alle prepotenze delle gerarchie. Il Conclave riconosce che è questa la Chiesa e non quella del potere della curia.
A perdere non è soltanto la curia romana del decano del collegio cardinalizio Angelo Sodano e del camerlengo Tarcisio Bertone, segretario di Stato di Benedetto XVI. A uscire sconfitti sono anche i cardinali italiani in generale. Scola, seppure anti-curiale, è stato di fatto ritenuto troppo vicino a Roma per garantirsi l’elezione. Troppo sicuri di sé gli italiani, troppo sicura delle proprie possibilità la Conferenza episcopale italiana che nel porgere gli auguri al nuovo Pontefice saluta, con una gaffe abbastanza clamorosa, con «gioia e riconoscenza il cardinale Angelo Scola a successore di Pietro». Scola entrava favorito, ma è uscito cardinale. Scola per la Cei aveva già vinto e invece non è andata così. Scola ha pagato il fatto che italiani sono stati in questi sette anni e mezzo i collaboratori di Be-
nedetto XVI, una governance romana che ha mostrato pecche gravi e ha portato Benedetto XVI fino alla rinuncia. Certo, ora la strada è quella dell’unità oltre le divisioni. Lo dice a chiare lettere anche Dolan: «Francesco I come successore di Pietro, il nostro primo Papa rappresenta una figura di unità per tutti i cattolici, ovunque essi si trovino. I vescovi degli Stati Uniti e i fedeli delle nostre 195 diocesi pregano per il nostro nuovo leader e gli promettono lealtà».
Erano cresciuti nelle ultime ore anche Marc Ouellet, franco canadese prefetto dei vescovi e Peter Erdo primate d’Ungheria. Ma entrambi sono stati visti da troppi come
un compromesso al ribasso in favore di una tregua coi curiali che poco avrebbe cambiato le sorti della Chiesa. C’era bisogno di aria nuova e alla fine anche gli europei grandi elettori di Scola, sia Christoph Schönborn primate di Vienna che André Armand Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, hanno deciso di ripiegare su Bergoglio per evitare soprese curiali.
L’impressione è invece che Scherer, candidato dei curiali, non sia mai stato davvero in partita. Non tutti i brasiliani, infatti, erano disposti a votarlo. Nel 2011, quando dovettero scegliere il presidente della Conferenza episcopale, gli preferirono Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida. E cdosì ancora oggi: gli hanno preferito Bergoglio.
Benedetto XVI è rimasto in disparte durante le Congregazioni generali e anche durante il Conclave. Non ha voluto interferire. Eppure precedentemente l’elezione aveva sempre affermato privatamente di non ritenere Bergoglio un proprio avversario. Anche questo giudizio positivo di Papa Ratzinger sul cardinale arcivescovo di Buenos Aires ha infliuto nell’elezione. Adesso molto dipenderà da chi Francesco I sceglierà come suo principale collaboratore in segreteria di Stato. L’impressione è che deciderà autonomamente dalle logiche passate. Non è escluso che non scelga un italiano. Ora, insomma, tutto è possibile. Anche quella a lungo auspicata riforma della curia romana in chiave collegiale che mai Papa Ratzinger è riuscito a realizzare. Durante il pre Conbclave la riforma della curia è stato un tema decisivo. Bergoglio sembra disposto non solo a riformare ma anche a destrutturare la stessa curia, dandole un carattere più orizzontale come da più parti è stato richiesto.